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Attualità

La tutela degli investitori nel lending crowdfunding

30 Luglio 2025

Francesco M. Stocco, Partner, Alma LED

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il regime di tutela per gli investitori in piattaforme di lending crowdfunding connesso all’ipotesi di ritardo o insolvenza nella restituzione del finanziamento concesso.


1. I termini del problema

Uno dei temi che si sta presentando nella prassi di mercato è la forma di tutela degli investitori in piattaforme di lending crowdfunding nel momento in cui il soggetto finanziato ritarda il pagamento, entra in uno stato di crisi o si verifica il definitivo default.

Il tema presenta diversi angoli di osservazione, il primo di questo riguarda l’effettività della tutela dell’investitore, a cui segue, in diversa prospettiva, il rischio di moral hazard da parte del proponente il progetto, per poi snodarsi sul ruolo della piattaforma e sull’adeguatezza dell’attuale quadro normativo (con particolare riguarda alle previsioni del Codice della Crisi e del Regolamento in materia di crowdfunding  Regolamento UE 2020/1503).

A livello di fattispecie concreta, quando un proponente (debitore) non è più in grado di restituire il finanziamento concesso dagli investitori, o ha difficoltà nel farlo, può trovarsi a dover interloquire con una pluralità di soggetti (gli investitori crowd) che non sempre hanno investito importi rilevanti e per i quali quindi (a) un’azione di recupero si dimostrerebbe anti-economica; (b) difettano singolarmente di quella “massa critica” da poter fare azioni di concrete (anche in termini di pressione) nei confronti del debitore.

Di contro, a fronte di questo scenario, il debitore può essere spinto ad atteggiamenti di moral hazard considerato che l’investitore crowd non ha strumenti di adempimento spontaneo al pari delle banche, società finanziarie, società di cartolarizzazione dei crediti (che possono segnalare alle centrali di allarme) o dell’erario (tramite l’iscrizione a ruolo).

2. La prassi di mercato

Nei termini sopra accennati, il problema ha ricevuto una prima e “facile” lettura nella elezione della piattaforma di crowdfunding come ente esponenziale delle istanze degli investitori-creditori, mediante la formulazione di clausole che (con vario tenore) prevedono il conferimento da parte dell’investitore di un mandato alla piattaforma di agire per conto di tutti gli investitori nei confronti dell’offerente (debitore).

Le clausole hanno una latitudine in sé simile, potendosi solo distinguere tra operatori che richiedono il conferimento di un mandato con rappresentanza (“in nome e per conto”) e altri che lo limitano ad un potere di attivarsi per conto degli investitori. Da un punto di vista oggettivo, le clausole registrano un ampliamento dei poteri della piattaforma: dal mero mandatario dell’investitore, fino al  potere di nominare avvocati e procedere in via giudiziale per il recupero del credito.

Queste clausole che, all’evidenza, rispondono ad un’esigenza minima di tutela dell’investitore, incontrano nell’attuale quadro normativo (e anche alle luce delle regole previgenti) alcuni limiti.

In primo luogo, con l’attuazione della Secondary Market Directive  (Direttiva 2021/2167) e l’attuazione in Italia del Dlgs. 116/2024, l’attività di recupero di credito può essere svolta esclusivamente dai soggetti iscritti all’albo prefisso dell’articolo 114.1 del testo unico bancario o, in altri limiti, dagli iscritti all’albo previsto dall’articolo 115 Tulps.

Tale limite si accompagna, più in generale, al limite per gli operatori in crowdfunding di avere un oggetto limitato, in via esclusiva, all’attività di gestione della piattaforme e alle altre previste dal Regolamento 2020/1503 (che non contempla le attività di recupero del credito).

La stessa possibilità di nomina di un avvocato, in realtà, risente (quanto alla sua concreta praticabilità) della circostanza che vi sia una parità di forma tra  (i) il mandato alle liti dalla piattaforma di crowdfunding all’avvocato e (ii) la procura conferita dall’investitore alla piattaforma per tale fine. Per il principio di parità delle forme previsto dall’articolo 1350 c.c. la rappresentanza processuale alla piattaforma di crowdfunding necessità di un mandato conferito dall’investitore nelle forme della scrittura privata autenticata o di un atto equipollente (es. firma digitale c.d. forte).

Non sempre questo nella prassi accade: l’accettazione delle condizioni generali di contratto non passa, infatti, da una sottoscrizione con tali requisiti di forma o equipollenti a quelli necessari per il conferimento di un mandato alle liti.

Resta anche sullo sfondo, un tema di legittimazione attiva generale, relativo al fatto che la piattaforma di crowdfunding non è non può essere creditrice nei confronti di un titolare di progetto: non si può quindi ricorrere ad alcuni escamotage presenti in altri settori del mercato del debito nei quali il rappresentante dei creditori acquisisce in proprio una porzione di debito al solo fine di azionare il credito o eventuali garanzie (cfr in questo senso il Considerando 11  del Regolamento 2020/1503 “senza che il fornitore di servizi di crowdfunding agisca in alcun momento come creditore del titolare di progetti”) .

3. Ulteriori limiti fattuali alle clausole

Ulteriori limiti di carattere fattuale ed economico a tali clausole risiedono, poi, nei costi associati all’attività di recupero. Anche per questo profilo va rilevato che, generalmente, in sede di redazione del contratto standard di finanziamento non esistono previsioni specifiche sull’allocazione dei costi di recupero del credito in caso di inadempimento.

Infine, sempre osservando la prassi, residua il tema dell’offerente che proponga una transazione di “saldo e stralcio” ai propri investitori. Ci si chiede se, sulla base del mandato conferito, la piattaforma possa o meno accettare le proposte formulate, agendo per conto degli investitori.

La questione, in sé, si complica nel momento in cui il proponente attivi uno strumento di composizione della crisi (come un accordo di ristrutturazione) che richiede per il suo perfezionamento una firma autentica: anche in questo, infatti, occorrerà implementare delle procedure di firma non sempre agevoli alla luce del numero di investitori.

4. Prime conclusioni sulla validità delle clausole di mandato

In linea di principio, e salve le considerazioni appresso svolte, le clausole di mandato oggetto di analisi potrebbero considerarsi valide.

Non sembra, infatti, ricorrere un’ipotesi di nullità ai sensi dell’articolo 1418 c.c. per contrarietà all’ordine pubblico, considerato che l’interesse sotteso alla pattuizione (la tutela dell’investitore) è sicuramente meritevole di tutela.

Da altra prospettiva, non pare che la mancata menzione di tale operatività nel Regolamento 2020/1503 possa determinare una contrarietà ad ordine pubblico e un divieto della piattaforma a tutela gli investitori: di contro, l’assenza di un espresso divieto e l’accessorietà (seppur intesa in modo ampio) della prestazione resa al servizio di lending crowdfunding pare confermare l’ipotesi di un’operatività consentita.

Qualche perplessità potrebbe residuare considerando, del caso, l’atto estraneo all’oggetto sociale: nei limiti dell’orientamento giurisprudenziale sugli atti ultra vires (2384 c.c.), tuttavia, tale circostanza potrebbe determinare, al più, l’annullabilità dell’atto.

Certo è che consentire ad un operatore di crowdfunding la disposizione di un diritto patrimoniale di un investitore, anche se in un’ottica di convenienza economica, è una soluzione che richiede una particolare robustezza di elementi a livello di fattispecie concreta, come anche dimostrato dai limitati casi in cui ad un rimedio simile giunge il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza nei casi di estensione a terzi degli accordi di ristrutturazione (art. 61 CCII).

In particolare, non è sempre certo che gli interessi degli investitori siano allineati (i) tra di loro (es. un investitore potrebbe avere maggior interesse ad accettare un’ipotesi di stralcio, un altro investitore ad attendere un periodo più lungo per il rimborso dell’esposizione debitoria) e (ii) tra gli interessi degli investitori e quelli della piattaforma.

Se, dunque, l’efficacia del mandato si esplica in via prevalente in un’opzione di engagement che la piattaforma potrà fare nei confronti del debitore; la sua concreta operatività sia nel momento in cui la piattaforma decide di accordare una proroga a un titolare di un progetto o nel caso, ancora più definitivo, di accettazione di una proposta di saldo e stralcio dovrà passare da una attento vaglio nella fattispecie concreta per valutare se il mandato conferito sia stato esercitato nel miglior interesse degli investitori e secondo i parametri della buona fede, per poi apprezzare eventuali conseguenze risarcitorie in caso di esecuzione non conforme.

Si tratta, all’evidenza, di una soluzione interpretativa che porta molte complessità e criticità, anche un punto di rischio di contenzioso per la piattaforma alla luce di possibili contestazioni sul corretto esercizio del mandato e dei costi associati e, nella prospettiva di sistema giuridico, della estensione delle regole di buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.) e, soprattutto, della gestione di affari altri (art. 2028 c.c.).

5. Possibili soluzioni pratiche

Se, dunque, una soluzione di segno pratico risiede nell’affidamento a un soggetto terzo di un’attività maggiormente incisiva in punto di esperimento dei rimedi giudiziali nei confronti dell’offerente del progetto, con un mandato ampio a negoziare e del caso decidere anche per conto dell’investitore, tale soluzione presenta evidenti limiti operativi e di mercato.

Come osservato, in primo luogo, al fine di poter consentire a tale soggetto di agire in via esecutiva, le firme raccolte da parte degli investitori dovranno avere il requisito della scrittura privata autenticata o della firma digitale “forte”, così da poter consentire l’attribuzione di un mandato alle liti ad un legale incaricato. Questa procedura nella prassi si presenta alquanto complessa.

Ulteriore limite, risiede nella difficoltà pratica di trovare un operatore disponibile ad accollarsi il rischio di eventuale contenzioso per esecuzione non conforme alle istruzioni impartite (alla luce del numero degli investitori e dei diversi possibili orientamenti).

Infine, una deprivazione ab origine e dei diritti del creditore renderebbero lo strumento del crowdfunding molto meno appetibile di quanto già nell’attuale contesto non lo sia.

6. … e nuovi interventi normativi

Di qui, l’auspicio che a livello normativo si adotti una soluzione analoga a quella adottata nell’ambito delle emissioni di prestiti obbligazionari con la nomina di un rappresentante degli investitori che, come il rappresentante comune degli obbligazionisti o il security agent, abbia la legittimazione processuale ad agire per conto degli investitori (art. 2418 c.c.) o la legittimazione attiva a divenire parte di un atto di garanzia (art. 2414 bis c.c.).

L’estensione del disposto di queste norme renderebbe molto più efficace la gestione dei casi di default  degli investimenti in lending crowdfunding, consentendo ad un soggetto professionale, indipendente dalla piattaforma e ingaggiato secondo regole precise (consenso a maggioranza) di poter rappresentare gli interessi degli investitori nei confronti dei titolari di progetto nei casi di moral hazard e di rendere maggiormente certo l’investimento nel mercato.

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