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Attualità

La nozione di beneficiario effettivo alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali

13 Settembre 2019

Elisabetta Costanza Pavesi e Erika Scuderi, Chiomenti

Di cosa si parla in questo articolo

La sentenza della Commissione tributaria Regionale del Lazio, del 9 maggio 2019, n. 2791, ha confermato la definizione di beneficiario effettivo già espressa dalla Corte di cassazione con le ordinanze nn. 32840, 32841 e 32842, depositate il 19 dicembre 2018 (le “Ordinanze”).

Con il presente articolo si vogliono esaminare tali decisioni (con particolare riferimento a quelle della Corte di cassazione), per svolgere alcune considerazioni in merito al concetto di beneficiario effettivo.

1. Premesse

La Corte di cassazione, con le ordinanze sopra citate, si è pronunciata in merito a delle liti tributarie scaturenti da una verifica fiscale condotta, nel 2007, dall’Agenzia delle entrate nei confronti di una società residente in Italia (la “Società Italiana”) che aveva corrisposto delle royalties ad una società fiscalmente residente in Germania (la“Società Tedesca”) e pagato degli interessi passivi ad una società fiscalmente residente in Lussemburgo (la “Società Lussemburghese”). Ad esito della verifica, alla Società Italiana venivano notificati cinque avvisi di accertamento, relativi ai periodi di imposta dal 2002 al 2006, mediate i quali l’Agenzia delle entrate contestava l’infedele presentazione della dichiarazione per aver:

  1. erroneamente determinato le ritenute sulle royalties corrisposte alla Società Tedesca, in quanto agiva quale mera società conduit; e
  2. omesso di applicare le ritenute sugli interessi passivi corrisposti alla Società Lussemburghese, pur in assenza di idonea documentazione dalla quale potesse desumersi la natura di “beneficiario effettivo”.

La ricorrente impugnava gli atti impositivi dinanzi la competente Commissione tributaria provinciale di Torino (“CTP Torino”) la quale, con riferimento alle annualità 2002-2003, in accoglimento parzialmente del ricorso: (i) con riguardo alle royalties passive, dichiarava applicabile l’aliquota del 10% prevista dalla Convenzione Italia-USA riconoscendo la natura conduit della Società Tedesca[1]; mentre (ii) con riguardo ai pagamenti di interessi passivi, considerando la Società Lussemburghese quale beneficiario effettivo del reddito, riconosceva l’applicazione dell’aliquota del 10% ai sensi della Convenzione Italia-Lussemburgo.

Diversamente, con riguardo alle annualità 2004, 2005 e 2006 la CTP Torino: (i) ammetteva l’applicabilità della ritenuta ridotta al 5% sulle royalties in applicazione della Convenzione Italia-Germania; mentre (ii) considerava applicabile l’aliquota ordinaria pari al 12,5% sul pagamento di interessi passivi, non ritenendo sussistere le condizioni per qualificare la Società Lussemburghese quale effettiva beneficiaria del flusso reddituale.

Ad esito dell’appello proposto sia dalla contribuente, sia dall’Amministrazione finanziaria, la Commissione tributaria regionale del Piemonte (“CTR Piemonte”), con le sentenze n. 34/12/12 (per i periodi di imposta 2002-2003), n. 27/12/12 (per i periodi di imposta 2004-2005) e n. 28/12/12 (per il periodo di imposta 2006), annullava il recupero a tassazione con riferimento alle royalties corrisposte alla Società Tedesca, ma riteneva non soddisfatto lo status di beneficiario effettivo in capo alla Società Lussemburghese con riferimento agli interessi passivi ad essa corrisposti dalla Società Italiana.

Le Ordinanze della Corte di cassazione, in parziale riforma delle sentenze della CTR Piemonte, hanno escluso che la Società Tedesca potesse considerarsi quale beneficiario effettivo delle royalties corrisposte dalla Società Italiana, svolgendo il ruolo di mera intermediaria della casa madre statunitense, effettiva proprietaria dei marchi e brevetti il cui sfruttamento era stato concesso alla Società Italiana e alla quale trasferiva gran parte delle royalties ricevute dalle controllate europee, assoggettando a tassazione in Germania il reddito costituito da una esigua quota dalle stesse, trattenuta a titolo di provvigione per l’attività svolta.

Tali pronunce concedono l’occasione per riflettere, da un lato, sul tema del riconoscimento dello status di beneficiario effettivo e, dall’altro sull’idoneità ai fini probatori della documentazione rilasciata dalle autorità fiscali estere, nonché sull’entità della responsabilità gravante sul sostituto d’imposta che acquisisca tale documentazione.

2. Brevi riflessioni in merito al riconoscimento dello status di beneficiario effettivo e alla valenza probatoria del certificato fiscale

La Corte di cassazione, con le Ordinanze, ha evidenziato la necessità di valorizzare l’indagine circa l’esistenza di obblighi di retrocessione a terzi delle somme corrisposte a società estere, nonché l’effettiva disponibilità giuridica ed economica di tali somme da parte del soggetto sottoposto alla giurisdizione dell’altro Stato contraente.

L’orientamento espresso dalla Corte di cassazione si pone in linea con il principio espresso a livello internazionale nel Commentario al modello di convenzione OCSE, a mente del quale una società conduit non può essere considerata quale beneficiaria di un flusso reddituale qualora, pur potendosi qualificare come possessore formale del reddito, abbia in pratica poteri molto limitati che la rendono mera amministratrice che opera per conto delle parti interessate[2]. La medesima conclusione è stata raggiunta anche dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio la quale, con la sentenza 9 maggio 2019, n. 2791, conformandosi a quanto affermato dalla Corte di Cassazione, ha ribadito: “lo status di beneficiario effettivo deriva, come si è detto al di là del dato formale, dall’effettività dei poteri di dominio e di controllo sul reddito (potere di decidere se conservare presso di sé la disponibilità acquisita, ovvero trasferirla ad altri) con pieno diritto di utilizzare e disporre del provento, non vincolato da un obbligo contrattuale di trasferire il pagamento ricevuto ad un altro soggetto”.

Con riguardo al caso di specie, dalle Ordinanze si evince che le informazioni e la documentazione raccolte confermavano il ruolo di conduit company svolto dalla Società Tedesca, ragion per cui l’attribuzione a tale società dello status di beneficiario effettivo si sarebbe posta in contrasto con il dettato del paragrafo 9 del Protocollo alla Convenzione Italia-Germania a mente del quale “La persona che percepisce dividendi, interessi e canoni è considerata beneficiario effettivo ai sensi degli articolo 10, 11 e 12 se ad essa spetta il diritto al quale tali pagamenti si ricollegano”[3].

Sotto tale aspetto, a parere di chi scrive, sono condivisibili sia il percorso logico-giuridico sia l’esito delle pronunce della Corte.

Sotto altro profilo,la CTR Piemonte affermava che (a) con riguardo alle royalties, le certificazioni fiscali delle autorità tedesche avessero indubbia valenza probatoria, mentre, (b) con riguardo agli interessi passivi, all’atto della presentazione delle dichiarazioni, la Società Italiana non disponesse della necessaria attestazione dell’autorità fiscale lussemburghese e per tale ragione avrebbe dovuto applicare, in qualità di sostituto d’imposta, la ritenuta ordinaria[4].

Con riferimento a tali considerazioni, tuttavia, la Corte di cassazione ha ritenuto che il collegio avesse omesso di considerare l’attestazione della società di revisione internazionale che suggeriva che la Società Tedesca non fosse il beneficiario effettivo delle royalties. Invero, secondo la Corte di cassazione “il percorso logico-giuridico sotteso alla decisione della lite fiscale è fragile e lacunoso” poiché avrebbe dovuto scrupolosamente tener conto del fatto che la Società Tedesca “svolgeva il più marginale ruolo di ‘conduit company’, mera intermediaria della casa-madre statunitense, alla quale, infatti, trasferiva gran parte delle royalties ricevute dalle controllate europee, in tal modo assoggettando a tassazione, in Germania, (come certificato dall’autorità fiscale tedesca), il reddito costituito da un’esigua quota (pari al 20% circa) del percepito, che essa tratteneva – appunto – a titolo di provvigione per l’attività finanziaria svolta, consistente nella concessione di licenze all’intera platea delle società europee del gruppo (…)”. Inconclusione, secondo la Corte di cassazione “è chiaro che tale aspetto fattuale, se apprezzato e non pretermesso dalla Commissione piemontese, ne avrebbe probabilmente orientato il processo decisionale (…) lungo altre direttrici.

Le conclusioni espresse dai giudici risultano condivisibili nella misura in cui, ai fini della valutazione della sussistenza in capo ai percettori di redditi della qualifica di beneficiario effettivo, prediligono un approccio basato sulla prevalenza della sostanza sulla forma[5]. Tuttavia, tale principio dovrebbe essere circoscritto alla valutazione secondo canoni di ordinaria diligenza della sussistenza dei requisiti per la qualificazione di una società quale beneficiario effettivo e non dovrebbe condurre, invece, all’affermazione dell’esistenza di ulteriori e complessi obblighi di “indagine” gravanti sul sostituto di imposta tali da sostituire i poteri dell’Amministrazioni finanziaria[6].

Vale la pena evidenziare che in passato[7], invece, con riferimento alla diversa valutazione circa la valenza probatoria di una dichiarazione di residenza prodotta dall’Autorità olandese, la Corte di cassazione si era conformata all’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia nella causa C-206/94[8], secondo la quale ciascuno Stato membro avrebbe l’obbligo di riconoscere i documenti prodotti dalle altre Amministrazioni comunitarie nel rispetto dei principi di mutuo riconoscimento e leale cooperazione.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra esposte, si ritiene che l’orientamento della Corte di cassazione, volto a privilegiare gli elementi fattuali piuttosto che le circostanze meramente formali, giunga a postulare il principio secondo cui la dimostrazione circa l’effettiva titolarità (giuridica ed economica) del reddito in questione richieda un’analisi complessiva delle circostanze di fatto.

Tuttavia, a parere della Corte di cassazione, il rispetto dei requisiti formali appare prodromico – e dirimente – rispetto alla valutazione sostanziale circa l’esistenza dei requisiti per beneficiare delle minori ritenute stabilite dalle Convenzioni internazionali. Per l’effetto, in mancanza della necessaria attestazione da parte dell’autorità fiscale estera, non potrebbe procedersi ad ulteriori analisi.

Infine, si ritiene che l’indagine da parte del sostituto d’imposta debba limitarsi alla verifica della regolarità formale della documentazione acquisita e non debba essere estesa a tal punto da postulare un obbligo di accertamento/indagine circa la veridicità delle informazioni contenute nelle dichiarazioni.



[1] Nello specifico, da un documento rilasciato da una società di revisione internazionale, emergeva chiaramente che la Società Tedesca rappresentava una tipica holding company, i cui componenti positivi di reddito consistevano in proventi finanziari (canoni o royalties) e la cui attività principale era rappresentata dalla concessione di licenze per lo sfruttamento di diritti immateriali di proprietà della casa madre americana che agiva in qualità di licenziataria esclusiva dei diritti immateriali.

[2] In senso conforme, inter alia, CTR Abruzzo, n. 1041, 12 novembre 2018; CTR Lombardia, n. 2707, 13 giugno 2018; CTR Lazio, n. 3535, 24 maggio 2018; Cass. n. 27112, 28 dicembre 2016; Cass. n. 27113, 28 dicembre 2016; Cass. n. 27115, 28 dicembre 2016; Cass. n. 27116, 28 dicembre 2016; Cass. n. 25281, 16 dicembre 2015.

[3] Cfr. Commentario al modello di convenzione OCSE, ove si legge: “the direct recipient of the [dividend/interest/royalties] is not the ‘beneficial owner’ because that recipient’s right to use and enjoy the [dividend/interest/royalties] is constrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person” (art. 10, § 12.4; art. 11, § 10.2; art. 12, § 4.3).

[4] Sul punto, la Commissione tributaria provinciale di Milano si è pronunciata in senso opposto affermando che “i diritti riconosciuti dalla normativa dell’Unione Europea, qualora siano soddisfatti i relativi requisiti sostanziali, non possono essere disconosciuti per il mancato rispetto dei requisiti puramente formali. Pertanto, quando sia stato assodato che siano stati soddisfatti i requisiti sostanziali, l’Amministrazione finanziaria non può subordinare la fruizione di tali diritti al rispetto di ulteriori requisiti formali. (…) Giustappunto, il requisito formale sollevato dall’ufficio non può prevaricare il requisito sostanziale per l’accesso al regime invocato. Quindi è la sostanza che prevale sulla forma” (cfr., CTP Milano, del 2 dicembre 2015, n. 9819, in seguito richiamata da CTR Pescara 4 ottobre 2017, n. 825).

[5] In senso conforme, ex multis, cfr. CTR Abruzzo, 12 novembre 2018, n. 1041; CTR Lombardia, 13 giugno 2018, n. 2707; CTR Lombardia, 17 novembre 2016, n. 5986.

[6] Cfr. CTR Lombardia, 13 marzo 2018, n. 1068, a mente della quale “La verifica circa l’effettività e la corrispondenza delle dichiarazioni tese da terze parti contraenti, non può essere esigibile nei confronti del sostituto d’imposta che abbia dimostrato di ottemperare agli obblighi imposti dalla legge usando l’ordinaria diligenza, a meno di non snaturare il ruolo attribuito dalla legislazione fiscale”. Nello stesso senso, ex multis, CTR Pescara 4 ottobre 2017, n. 825. Di diverso avviso, invece, altra parte della giurisprudenza ha inteso conferire indubbia valenza probatoria vincolante alla documentazione ufficiale proveniente da altre amministrazioni finanziarie, ritenendo che tale certificazione costituisse una condizione sufficiente a godere dell’esenzione dalle ritenute alla fonte sui pagamenti in uscita dal territorio dello Stato (cfr.,ex multis, CTR Lazio, 24 maggio 2018, n. 3535; CTR Lombardia, 13 marzo 2018, n. 1068; CTR Lombardia, 27 novembre 2017, n. 6579; CTR Abruzzo, 4 ottobre 2017, n. 825; CTP Milano, 2 dicembre 2015, n. 9819; CTR Lombardia, 29 giugno 2015, n. 2897; CTR Piemonte, 4 maggio 2012, n. 28; Cass. Sent. 3 febbraio 2012, n. 1553; CTR Abruzzo, 30 giugno 2009, n. 154).

[7] Cfr. Cass. Sent. 3 febbraio 2012, n. 1553.

[8] Cfr. Corte di Giustizia, 2 maggio 1996 causa C-206/94.

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