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Giurisprudenza

La natura imperativa delle norme in materia di nomina degli amministratori

18 Ottobre 2017

Manfredi Sclopis, Trainee presso Linklaters LLP

Cassazione Civile, Sez. I, 13 giugno 2017, n. 14695 – Pres. Didone, Rel. Campese

Di cosa si parla in questo articolo

La sentenza in esame si sofferma su due fondamentali principi del diritto societario relativi, rispettivamente, alla nomina degli amministratori e alla durata massima del loro incarico ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 2364 e 2383 comma 2 del codice civile, nonché all’attribuzione della delega di funzioni gestorie agli amministratori, la cui validità è subordinata alla predeterminazione e limitazione dei relativi poteri ai sensi dell’articolo 2381 comma 3 del codice civile.

Nel caso in esame, il ricorrente, nominato amministratore delegato di una società a tempo indeterminato in forza di un contratto di lavoro subordinato, eccepiva la mancata corresponsione da parte della società di una somma pari a tre volte il proprio compenso annuo lordo, somma che la società avrebbe dovuto garantirgli ai sensi di apposita clausola contenuta nel contratto di lavoro subordinato per avere il ricorrente esercitato il proprio diritto di recesso dall’incarico di amministratore. La società, dal canto suo, resisteva in giudizio eccependo l’invalidità del contratto di lavoro per contrarietà a norme imperative ex articolo 1418 del codice civile.

La Suprema Corte rigetta il ricorso, argomentando la propria decisione sulla base di un ragionamento che riprende i principi cardine del diritto privato, e, più in particolare, dei contratti. Come sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, per sottrarre un contratto dal sindacato di legittimità del disposto di cui all’articolo 1418 del codice civile, non è sufficiente che il contratto in esame abbia un’unica interpretazione possibile, ma che quella data dal giudice sia solo una di quelle possibili. Se è infatti fuor dubbio che il contratto o le singole clausole contrattuali devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno ai sensi dell’articolo 1367 del codice civile, è altresì pur vero che tale principio non è assoluto ed è anzi sussidiario rispetto al fondamentale principio del diritto civile di cui all’articolo 1362 del codice civile, che in tema di interpretazione del contratto sottolinea come debba sempre aversi riguardo alla volontà negoziale delle parti, dalla quale in nessun modo il giudice può discostarsi. Ne consegue che, a prescindere dalla norma di cui al 1367 del codice civile, la Suprema Corte non può che rilevare la nullità del contratto di lavoro in essere tra il ricorrente e la società, poiché la volontà negoziale delle parti nel sottoscrivere il contratto di lavoro in essere era chiaramente quella di derogare a norme imperative di legge, come quella che attribuisce all’assemblea il potere inderogabile di nominare gli amministratori, e quella che limita la durata del loro incarico e i poteri attribuiti loro in forza di apposita delega. In conclusione, dunque, il ricorrente non ha, secondo la Suprema Corte, alcun diritto ad ottenere la somma rivendicata in sede di giudizio, stante la nullità del contratto di lavoro per contrarietà a norme imperative di legge ex articolo 1418 del codice civile.

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