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Approfondimenti

Initial Coin Offerings (ICOs): Italia-Francia, due approcci regolatori a confronto

15 Gennaio 2020

Paolo Carrière, Of Counsel, CBA

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: Premessa. 1. Le medesime finalità perseguite dai due diversi approcci regolatori, alla luce del diverso quadro normativo di riferimento. 2. Il (sostanzialmente) medesimo oggetto dell’intervento regolatorio con alcune (non irrilevanti) differenze definitorie. 3. La diversa filosofia dell’intervento regolatorio. 4. La diversa tecnica di regolazione. 5. I (parzialmente diversi?) contenuti dell’intervento regolatorio. 6. Una prima possibile conclusione (da sottoporre a verifica empirica).

 

Premessa.

Come noto, lo scorso 19 marzo 2019 la Consob ha pubblicato un “Documento per la discussione” (di seguito, il “Documento”) avente ad oggetto “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività”[1], dando avvio ad un’ampia consultazione pubblica che in data 21 maggio 2019 ha visto una public hearing presso l’Università Bocconi. La consultazione, chiusasi il 5 giugno 2019, è ora sfociata nell’elaborazione del “Rapporto finale” pubblicato il 2 gennaio scorso (di seguito, il “Rapporto”), nel quale la Consob, fornendo riscontro alle questioni emerse in tale sede, conferma sostanzialmente l’impianto regolamentare adottato nel Documento[2].

Il quadro è quindi oggi sufficientemente consolidato per delineare in maniera più precisa quello che risulta (sin qui) l’approccio regolamentare – che pur dovrà essere successivamente definito in sede di emanazione della relativa normativa regolamentare (di primo e secondo livello) – adottato nel nostro ordinamento finanziario per disciplinare (seppur parzialmente) questo nuovo fenomeno della più ampia galassia fintech, consentendone quindi un utile e interessante primo confronto con quello – affatto marginalmente diverso – adottato recentemente in Francia.

In tal senso, si osservi come oltralpe si sia tempestivamente intervenuti già a livello di normativa primaria a normare il nascente fenomeno, agevolando l’intervento dell’Autorità di vigilanza (Autorité des marchés financiers, AMF)[3]. In Italia, viceversa, in assenza di un intervento legislativo, è stata la Consob a doversi muovere tempestivamente, meritoriamente e con accortezza – nell’ambito degli spazi ad essa consentiti dall’ordinamento e nel rispetto della sua mission istituzionale – dapprima con attività di warning agli investitori e di moral suasion verso gli operatori, poi con interventi di vigilanza ad hoc interpretando e leggendo il nuovo fenomeno nei confini dati dal quadro normativo vigente, infine con l’iniziativa qui in commento, destinata a sfociare in interventi normativi regolamentari nel prossimo futuro.

1. Le medesime finalità perseguite dai due diversi approcci regolatori, alla luce del diverso quadro normativo di riferimento.

L’obiettivo sotteso ad entrambe le regolamentazioni appare chiaramente quello di favorire il fenomeno delle ICOs di (come ora vedremo, fondamentalmente, utility) tokens creando un primo quadro di disciplina che garantisca requisiti di affidabilità in capo agli “emittenti” a tutela degli investitori, riconoscendo al contempo la specificità tecnico-operativa del fenomeno, evitando quindi di “ingessarlo” in contesti normativi preesistenti non ad esso adeguati, frustrandone così la dilagante diffusione sul mercato (globale); stante la sua natura inedita, globalizzata, dematerializzata e disintermediata, la sfida a cui sono chiamati i regolatori appare comunque davvero difficile[4].

Ciò detto, l’approccio regolatorio appare nei due casi qui presi in esame assai diverso, essendo ciò (almeno parzialmente) riconducibile al diverso contesto normativo in cui ci si muove, il che determina a sua volta diversi spazi di manovra e diverse esigenze di regolazione.

In Francia, come detto, il quadro normativo risulta oggi assai più completo; alla normativa primaria – ilCode monétaire et financier , di seguito “Code” – di recente modificato ad opera della c.d. Loi PACTE , n. 2019-486 del 22 maggio 2019[5] è seguita quella regolamentare di primo livello (essendosi modificato a tal fine il Réglement général de l’Autorité des marchés financiers, con l’introduzione del nuovo Livre VII – Émetteurs de jetons et prestataires de services sur actifs numériques, Titre I – Offre au public de jetons) e quella di secondo livello (essendosi emesse le Instruction DOC-2019-06: Procédure d’instruction et établissement d’un document d’information devant être déposé auprès de l’AMF en vue de l’obtention d’un visa sur une offre au public de jetons ).

Il fenomeno è dunque oggi collocato più armoniosamente nell’ambito dell’ordinamento finanziario, e disciplinato ad hoc – essendosi introdotto un nuovo capitolo II, (Emetteurs de jetons) nel Titolo V (Intermédiaires en biens divers et émetteurs de jetons) del Libro V (Les prestataires de services) delCode – “lateralmente” a quello degli strumenti monetari e finanziari ( disciplinati dai Libri da I a IV del Code) dei “finanziamenti partecipativi” ( disciplinati dal Libro V, Titolo IV, Cap. VIII del Code) e dei “biens divers” (disciplinati dal medesimo Titolo V del Libro V, al Cap. I )[6].

In Italia, il fenomeno delle ICOs[7] non conosce un riconoscimento normativo primario che lo collochi dunque nell’ambito del nostro ordinamento e, in particolare, del TUF; le esigenze di regolazione, sin qui meritoriamente perseguite da Consob – nella latitanza del legislatore – muovono, come anticipato, da una particolarità normativa domestica che prevede – a fianco della nozioni eurounitarie di “strumenti finanziari” e di “prodotti di investimento” – una nozione più ampia di “prodotti finanziari”, nell’ambito della quale possono talora essere ricompresi i tokens[8]; e questa infatti è stata la strada sagacemente adottata da Consob per consentire una prima linea di difesa del mercato domestico e degli investitori italiani rispetto ad iniziative, spesso del tutto improvvisate, che altrimenti sarebbero sfuggite ad ogni controllo.

2. Il (sostanzialmente) medesimo oggetto dell’intervento regolatorio con alcune (non irrilevanti) differenze definitorie.

Sia in Italia che in Francia l’intervento di regolazione del fenomeno è partito dalla consapevolezza di come il quadro normativo europeo sia tuttora in divenire, come ben emerge dall’analisi del recente Advice elaborato dall’ESMA[9]; analisi questa che si è focalizzata sulle problematiche di (possibile/eventuale) applicazione della disciplina dei servizi di investimento, per quei token che fossero qualificabili (descrivibili o assimilabili) come “strumenti finanziari”/”prodotti di investimento” (e definiti ormai nella prevalente letteratura specialistica e regolamentare come “security-like/investment-type token/asset token”, sinteticamente“security tokens”), limitandosi poi essa a suggerire, senza peraltro proporre univoche scelte normative, l’opportunità di valutare una regolamentazione per quei token che, invece, non si possano qualificare come tali (v. in particolare par. 8 ESMA Advice 2019).

In tal senso come ben chiarisce AMF, la disciplina introdotta dalla Loi PACTE per le ICOs, “ne s’applique pas à l’émission de jetons assimilables à des titres financiers (Security Token Offering, «STO») mais exclusivement à l’émission de jetons dits de service (« utility token »)”[10] (evidenza aggiunta.

Questa stessa impostazione viene ora ribadita dalla Consob nel “Rapporto finale” come già era ben chiarito in apertura del secondo paragrafo del Documento, intitolato “aspetti definitori”, dove emergeva la dichiarata intenzione della Commissione di adottare una impostazione definitoria che fosse idonea “a tipizzare le cripto-attività diverse da strumenti finanziari, quale autonoma categoria…” (evidenza aggiunta), funzionalmente a quello che risulta essere l’approccio regolatorio perseguito. La delimitazione oggettiva dell’intervento regolamentare prospettato da Consob con il Documento nel senso ora indicato, emergeva ulteriormente e chiaramente dalle esplicite affermazioni che potevano leggersi nel “Riquadro 1”, ove si evidenziava come quello intrapreso risultasse essere “un esercizio definitorio che viene condotto al di fuori del perimetro degli strumenti finanziari e dei prodotti di investimento (PRIIP, PRIP e IBIP), disegnato dal legislatore UE”.

In ossequio ad un approccio di “neutralità tecnologica” e di rispetto della sovraordinata competenza europea, una tale opzione metodologica adottata in entrambi gli ordinamenti risulta dunque, innanzitutto e condivisibilmente, escludere (perlomeno in questa fase e fuori da un armonizzato approccio europeo) alcun intervento sulla nozione normativa domestica di “strumenti finanziari” di derivazione MIFID, al fine di ricomprendervi esplicitamente quei token che risultino descrivibili e/o assimilabili a “strumenti finanziari” e, quindi, qualificabili come security tokens.

Né, conseguentemente, in nessuno dei due ordinamenti presi in esame si è ritenuto di intervenire ad adattare alle numerose specificità che i security tokens presentano, ladisciplina che già oggi potrebbe risultare conseguentemente applicabile ad essi (disciplina di varia natura: da quella dei servizi di investimento a quella del prospetto; da quella della market abuse, a quella dello short selling, etc.). Tale attività di “adeguamento” disciplinare, come ben rilevato da ESMA, potrebbe risultare assai delicata; correttamente la Commissione non ritiene dunque di dover intervenire (almeno per ora) unilateralmente al di fuori di un coordinato intervento armonizzato in sede europea.

Sia in Italia che in Francia, per gli operatori occorrerà dunque e non sempre facilmente, interrogarsi, di volta in volta, se e in che misura risulti già (automaticamente?) applicabile la disciplina MIFID (TUF/Code) laddove, con riguardo al token analizzato, ricorrano “per analogia” – ad esito di una attività ermeneutica che, certo ma inevitabilmente, non risulterà sempre semplice o dai risultati inequivoci, alla luce delle peculiarità del fenomeno, come ben sottolineato anche nell’Advice di ESMA – i tratti costitutivi e qualificanti della (variegata e articolata) categoria “strumenti finanziari” “prodotto di investimento”, a prescindere dunque dal supporto tecnologico (digitale e crittografico) di cui ci si avvalganella loro “emissione/collocamento”.

In definitiva, volendosi dunque escludere – in base alla sopra ricostruita scelta regolatoria sia di AMF che della Commissione – dal novero dei token oggetto della specifica e circoscritta prospettiva regolatoria, quelliriconducibili alla categoria deisecurity tokens, deve concludersi comele tipologie di tokens oggetto di ICOs da sottoporre a regolazione dovranno essere fondamentalmente quelli descrivibili in termini di tipo utility e (ivi comprese quelle fattispecie c.d. “ibride” riconducibili a tale categoria, in virtù di un criterio di prevalenza dei loro specifici tratti). Tale affermazione è, come visto, esplicitamente formulata senza timidezza da AMF sia nel documento della consultazione svoltasi nel 2017,[11] che nei suoi comunicati, ove, appunto, si individua negli “utility tokens” l’oggetto specifico di regolazione; più timidamente da parte di Consob che pare preferire non farsi ingessare da definizioni “liquide” (seppur oggi consolidate e invalse a livello internazionale). Ma appare comunque assai chiaro che a questa fattispecie anch’essa si riferisca quando nel Rapporto la Commissione chiarisce come “ambito oggettivo di applicazione” sia quello“degli investimenti aventi caratteristiche di finanziarietà, in forma di token, che incorporano il diritto a una prestazione futura, che può anche consistere nella possibilità di utilizzare un bene o ricevere un servizio che l’emittente/promotore promette di realizzare o ha in corso di realizzazione”[12].

Ciò detto in via generale, però, la sfida di definire in termini giuridicamente più precisi la fattispecie da sottoporre a regolazione, viene affrontata in maniera diversa nei due ordinamenti, con ricadute evidentemente non indifferenti in ordine alla perimetrazione dell’oggetto di intervento.

In Francia, viene introdotta dalla Loi PACTE una definizione generale di “tokens” (jetons) all’Articolo L552-2 del Code che pare dunque riferibile a qualsiasi tipologia di crypto-assets; dopodiché, in via negativa, il campo di applicazione della disciplina delle ICOs ivi introdotta ex novo nel corpo del Code col nuovo Cap. II del Titolo V del Libro V, viene delimitato solo a quei “jetons” che – per i loro tratti ne contenuti – non risultassero disciplinati dalla disciplina degli strumenti finanziari (v. art. L552-1, secondo par.)

In Italia, la scelta confermata dalla Consob nel “Rapporto finale” è invece quella di fornire una definizione ad hoc – in via positiva – dei soli crypto assets che si vogliono sottoporre a regolazione (sostanzialmente riconducibili, come visto, ai soli utility tokens); tale pur comprensibile opzione concettuale, non pare però coerente con l’utilizzo per essi di una locuzione definitoria di “cripto attività” dal connotato semantico immediatamente generico. Alla luce del circoscritto e specifico ambito di intervento dell’approccio regolatorio adottato dalla Consob, infatti, una tale definizione rischia di apparire fuorviante, nel momento in cui risulta essere la traduzione letterale in italiano del termine “crypto-asset”, termine ormai invalso a livello internazionale (anche da parte dei principali regolatori internazionali[13]) per identificare in via generale l’intero fenomeno dei token (nelle sue varie articolazioni: payment token, utility token e security token) e non solo quel suo più circoscritto sotto-insieme (costituito da utility token)che dovrebbe essere invece oggetto esclusivo della prospettata regolazione domestica a cui quella definizione è funzionale; pur riconoscendo che il tema è meramente uno di convenzione linguistica “formale”, il rischio è quello di generare fraintendimenti e ambiguità nella lettura e comprensione dell’apparato regolamentare italiano, specie da parte di osservatori e interlocutori stranieri e/o comunque non avvezzi al quadro normativo domestico, nei suoi presupposti e nelle sue implicazioni. Meglio sarebbe garantire una “comparabilità” e “compatibilità” terminologica tra categorie concettuali omogenee, riservando dunque il termine “cripto-attività” al fenomeno genericamente inteso dei crypto-asset (e comprensivo, dunque, anche dei security token, esclusi invece dall’ambito di intervento della categoria che si intende regolare) e prevedendosi una diversa locuzione disambiguante per quella parte di esso che è oggetto di specifica considerazione e disciplina[14].

Venendo al contenuto della categoria concettuale “jetons”/”cripto-attività”, possono segnalarsi alcune differenze non marginali. In Francia ,l’Articolo L3552-2 del Code definisce i tokens (jetons) nei seguenti termini: “tout bien incorporel représentant, sous forme numérique, un ou plusieurs droits pouvant être émis, inscrits, conservés ou transférés au moyen d’un dispositif d’enregistrement électronique partagé permettant d’identifier, directement ou indirectement, le propriétaire du dit bien”; i tratti qualificanti della fattispecie vengono dunque identificati essenzialmente (i) nel ricorso alla tecnologia DLT e (ii) nell’elemento della identificabilità dei titolari dei diritti.

La definizione di “cripto-attività” prefigurata in Italia dalla Consob, appare invece assai più “mirata” e “circoscritta”, e ora ritraibile dal Rapporto finale sostanzialmente in questi termini: le “attività diverse dagli strumenti finanziari di cui all’art. 1 comma 2 TUF e da prodotti di investimento di cui al comma 1, lettere w-bis.1, w-bis.2 e w-bis.3, consistenti nella rappresentazione digitale di diritti connessi a investimenti in progetti imprenditoriali, emesse, conservate e trasferite mediante tecnologie basate su registri distribuiti, nonché negoziate o destinate a essere negoziate in uno o più sistemi di scambi”. Pur risultando ora, tale definizione, più “pulita” di quella inizialmente prevista nel Documento – essendosi omesse espressioni ambigue, seppur a-tecnicamente utilizzate, quali quelle di “finanziamento” (di progetti imprenditoriali)[15] – la Consob, oltre all’elemento della sottostante tecnologia DLT, in termini sostanzialmente equivalenti alla definizione francese, conferma però la centralità nel suo approccio regolatorio di due altri elementi invece totalmente estranei in quella: (i) la riferibilità ad un sottostante “progetto imprenditoriale” e; (ii) la negoziabilità o destinazione alla negoziazione.

Quanto al primo elemento sub (i), ciò vale ad escludere dal campo, per esplicita scelta regolatoria della Commissione “le operazioni di mera tokenizzazione di diritti connessi con il trasferimento di beni mobili o immobili o parti di essi (es. diritti connessi con la proprietà di opere d’arte, immobili, …)”[16]. Tale scelta è consapevolmente giustificata dalla volontà di evitare che queste tipologie di tokens, “nella misura in cui non sono ancorate a progetti imprenditoriali concreti e non comportino, quindi, la promessa di un bene/servizio da realizzare, possono prestarsi a comportamenti opportunistici, tesi a raccogliere risparmio in assenza del quadro di tutele tipico garantito dalle vigenti norme di diritto societario, fallimentare e dei mercati finanziari, con riferimento all’attività di impresa, che consentono la più agevole verificabilità della sussistenza dell’attività sottostante”.

Quanto all’elemento sub (ii), il tratto della “negoziabilità o destinazione alla negoziazione” delle criptoattività, viene confermato dalla Consob come elemento definitorio centrale alle istanze regolatorie da essa perseguite, prefiggendosi così essa “lo scopo di offrire tutela ai soggetti che acquistano i token anche con l’intento di ottenere un provento riveniente dalla rivendita degli stessi su una piattaforma di negoziazione/scambio.” Certo, questo elemento – del tutto estraneo nella disciplina francese – determinerà un significativo ridimensionamento della platea di ICOs che potranno accedere al safe harbour disegnato dalla Commissione, atteso che ad oggi tale elemento non può dirsi tipico e qualificante della fattispecie degli utility tokens[17]; né la Consob ha ritenuto di aderire alla soluzione che era stata prefigurata in sede di consultazione[18] di imporre il ricorso a piattaforme di negoziazione/scambio autorizzate – al fine di potersi avvalere, in base all’opt-in, del safe harbour disegnato nell’ordinamento per le “cripto-attività” – solo in tanto in quanto sia effettivamente osservabile o prevista una negoziazione dei tokens daemettersi; la Consob ha infatti ribadito, come visto, di ritenere tale elemento della negoziabilità un imprescindibile requisito costitutivo della fattispecie “cripto-attività”, a garanzia della liquidabilità dell’investimento[19].

Infine può notarsi come l’elemento – presente nella definizione francese – dell’”identificabilità” dei titolari dei diritti rappresentati dai/nei tokens, inizialmente considerato anche nel Documento, sia stato volutamente espunto dalla Commissione[20], pur essendosi essa riservata di prevedere nella successiva normativa regolamentare di prossima emanazione, che tale elemento debba essere verificato e accertato dai gestori delle piattaforme di offerta.

3. La diversa filosofia dell’intervento regolatorio.

Quanto sopra consente (almeno in parte) di comprendere le due ben diverse filosofie di approccio adottate nei due ordinamenti per leggere e disciplinare il fenomeno in esame.

In Francia, come detto, esso viene collocato sistematicamente nell’ambito del più ampio fenomeno dell’”intermediazione finanziaria” fuori da ma a fianco dell’ambito degli “strumenti finanziari”, assieme agli (altri) “biens divers”. E di tale fenomeno ci si limita dunque a disciplinare essenzialmente il profilo “sollecitatorio”, la fase dell’offerta pubblica, estendendo ad esso – opportunamente adattata alle sue peculiarità tecniche – la disciplina ordinariamente prevista per essa, di natura essenzialmente informativa, imperniata sulla pubblicazione di un documento da sottoporre (volontariamente, in base ad un approccio opt-in) al “visto” preventivo dell’Autorità di controllo. Da questo punto di vista, la AMF, evidenzia con enfasi come “si le visa est optionnel et qu’à ce titre, les ICO sans visa demeurent légales, seules les offres au public de jetons ayant reçu le visa de l’AMF pourront faire l’objet, en France, d’un démarchage auprès du public”[21]. Alla luce di tale affermazione, la natura “volontaria” del regime di disciplina previsto non può che apparire una vuota petizione di principio, atteso che ogni ICOs – nella sua articolazione tipica – costituisce di per se e immancabilmente una “offerta/collocamento” di “natura pubblica”, con la conseguenza che, in assenza del “visto”, nessuna ICOs potrà nei fatti svolgersi sul mercato francese (essere commercializzata presso investitori residenti in Francia[22]).

In Italia, invece il chiaro e circoscritto approccio regolamentare seguito dalla Commissione pare coerente con l’obiettivo dichiarato in apertura del Documento di “dare certezza ai relativi destinatari e neutralizzare un eventuale obiettivo elusivo che potrebbe essere sotteso all’attività di ingegnerizzazione di quei token che si differenziano dagli strumenti finanziari ma che, al tempo stesso, potrebbero presentare elementi eventualmente suscettibili di integrare la nozione domestica di prodotto finanziario, inteso quale investimento di natura finanziaria diverso dagli strumenti”.

In particolare, l’intervento della Commissione pare dunque (innanzitutto e principalmente) sostenuto da una volontà “agevolatrice” dello specifico fenomeno, in quanto volto a disegnare per esso un regime di “deroga” (disapplicazione) dalla disciplina dei prodotti finanziari, ove questa risultasse altrimenti applicabile in base alla ricorrenza, nelle fattispecie di token prese in esame caso per caso, degli elementi qualificanti di quella fattispecie; elementi che, in base alla risalente elaborazione fatta dalla Commissione, pur non risultando sempre di facile e immediata enucleazione e descrizione appaiono per più versi (se non proprio tipici) più che compatibili con, in particolare, gli utility token.

E infatti, il pregio che la Commissione stessa attribuisce a tale approccio, veniva già nel Documento ben individuato “in primo luogo, con la possibilità di contenere l’onere di condurre (da parte sia del mercato sia dell’autorità) un’analisi case-by-case volta all’individuazione della sussistenza (o meno) delle caratteristiche del prodotto finanziario”. E inoltre, sottolineava ancora la stessa Commissione, “la previsione di una disciplina speciale delle cripto-attività consente di affrontare la materia tenendo conto delle sue peculiarità, evitando quindi ai promotori dell’iniziativa (emittente/offerente/proponente) (…) di essere soggetti, al ricorrere degli elementi caratterizzanti la nozione di prodotto finanziario (inteso quale investimento di natura finanziaria diverso dallo strumento finanziario), alla disciplina stabilita a livello nazionale per questi ultimi (in materia di prospetto e offerta a distanza)”.

In particolare, deve qui allora ricordarsi come per effetto della possibile qualificazione di un token come “prodotto finanziario”[23] – a parte l’eventuale applicabilità della disciplina del prospetto ove non ricorrano specifiche ipotesi di esenzione – conseguirebbe la necessità[24] di avvalersi obbligatoriamente di soggetti abilitati[25] tenuti al rispetto di specifici standard comportamentali (ex combinato disposto dell’art. 32 TUF con l’art. 127 Regolamento Intermediari), tutte le volte in cui la loro “promozione e collocamento” avvenga (i) anche a clienti non professionali; e (ii) con modalità che configurano l’impiego di “mezzi di comunicazione a distanza”[26]. Entrambe condizioni che nella ricorrenza di una ICO risulteranno sempre (e inevitabilmente) soddisfatte.

Alla luce di una corretta comprensione del modello tecnologico e operativo sottostante ad ogni ICOs[27], deve però osservarsi come appaia oggi del tutto impossibile o velleitario pensare che operatori (o piattaforme) diverse dall’emittente/collocatore, possano assumere un ruolo “interno” al descritto processo di “creazione/collocamento” di tokens, processo di per sé non “intercettabile” e sottoponibile ad un regime domestico di regolazione; appare infatti assai difficile (se non impossibile) ipotizzare che intermediari “tradizionali” possano efficacemente inserirsi nel sopra-descritto processo di articolazione operativa di una ICO, potendone gestire direttamente le fasi operative che sono invece tipiche dell’”emissione” di strumenti finanziari” (la interazione con gli “investitori”, la ricezione degli ordini, la esecuzione, il pagamento, l’”emissione”, il collocamento, etc.), così da poterne garantire l’affidabilità tecnica e giuridica. Tutte quelle fasi – nell’ambito di una ICO – avvengono, in maniera inestricabile e simultanea, nell’ambito dell’unico contesto decentralizzato, disintermediato, automatizzato (tramite ricorso ai c.d. smart contract) e globale della sottostante infrastruttura DLTdi cui si avvale imprescindibilmente la ICO stessa.

Da questo punto di vista, la natura opt-in anche della prefigurata opzione regolatoria italiana – al pari, come visto sopra, di quella francese – appare solo teorica; alla luce del descritto modello di business, appare infatti tecnicamente incompatibile e operativamente improponibile anche solo ipotizzare di poter affidare la fase di “promozione e collocamento/emissione” a tradizionali intermediari abilitati, come richiederebbe l’applicazione della disciplina ex art. 32 TUF ove si ritenesse di non optare per il safe-harbour.

Deve infine ricordarsi come, dall’impostazione adottata dalla Consob,emerge una ulteriore (seppur secondaria) istanza regolatoria, volta a disegnare un percorso di incentivazione all’accesso volontario ad “offerte regolate” (in virtù di benefici meramente “reputazionali” che per effetto di ciò possano conseguirsi) anche per quei tokens che non fossero qualificabili e/o descrivibili in termini di “prodotti finanziari”, non necessitando dunque di godere di alcuna esenzione da una disciplina già di per sé ad essi non applicabile.

E però chiaro che qualsiasi ICOs di tokensche non fossero descrivibili in termini di “prodotti finanziari” rimane oggi in Italia liberamente effettuabile secondo se le sue intrinseche e inevitabili modalità sollecitatorie pubbliche – diversamente allora dalla situazione francese, alla luce della natura solo teoricamente opt-indella disciplina d’oltralpe – non dovendosi sottoporre né alla disciplina (volontaria) ad hocdisegnata per le “cripto-attività” né, in mancanza di tale opzione volontaria, alla disciplina “tradizionale” applicabile ai “prodotti finanziari”.

4. La diversa tecnica di regolazione.

Come visto sopra, in Francia, la soluzione regolatoria adottata risulta concentrata esclusivamente sui profili informativi, sollecitatori, estendendo alle offerte sotto forma di ICOs, una disciplina informativa sostanzialmente ritagliata su quella del “prospetto” che prevede l’ottenimento di un “visto” da parte dell’Autorità di vigilanza preposta, su un “documento” predisposto dall’”emetteur”, secondo un modello standard di riferimento e sottoposto preventivamente al vaglio della AMF prima di poter essere diffuso al pubblico con la pubblicazione sul sito internet della ICO. A corollario è poi prevista una disciplina della connessa documentazione pubblicitaria e promozionale, una disciplina dell’informazione successiva all’offerta e continuativa. Da questo punto di vista il modello regolatorio francese pare pienamente rispettoso del, e coerente col, modello operativo e tecnico oggi tipico di ogni ICOs, ed essenzialmente della sua natura disintermediata che vede una attività di offerta/collocamento inestricabilmente e contestualmente svolta ad opera dell’”emittente” in via diretta, (tendenzialmente) senza l’intervento di alcun altro soggetto. E in tal senso, infatti, il perno della regolazione delle ICOs introdotta dalla Loi PACTE è il solo “emetteur”, non prevedendosi alcun altro soggetto sottoposto a regolazione in relazione al suo svolgimento[28]; si osservi a tal riguardo come i c.d. Prestataires de services sur actifs numériques ( o digital assets services providers, DASP) di qualsiasi tipo di servizio relativo a cripto-attività, anche in ambito di ICOs (trattasi sostanzialmente dello stesso tipo di servizi che costituiscono i “servizi e attività di investimento”, andandosi dalla fornitura di servizi di wallet, alla gestione di exchanges o di servizi di trading, a gestioni patrimoniali, a “collocamento”, fino alla consulenza) non sono oggetto di specifica disciplina nell’ambito della regolamentazione delle ICOs come regolate nel Code. Tali figure di “nuovi intermediari” dell’ecosistema crypto, sono state disciplinate in Francia in un ben diverso ambito del medesimo contesto normativo, rispetto a quello qui considerato, avente ad oggetto la specificadisciplina delle ICOs (e, in particolare nel nuovo Capitolo X –Prestataires de services sur actifs numériques – del Titolo IV del Libro V del Code, similmente introdotto dalla Loi PACTE), prevedendosi che essi possano optare volontariamente per l’adesione ad un regime autorizzativo, sotto la vigilanza dell’AMF, purché abbiano sede legale in Francia e rispettino certi requisiti organizzativi e comportamentali, oltreché di sicurezza e resilienza tecnologica. In assenza di adesione al regime opt-in l’attività da parte degli operatori cripto resterà comunque liberamente effettuabile in Francia, pur non potendo svolgere alcuna “sollecitazione pubblica”, ma mera attività pubblicitaria. Sottoposizione a vigilanza dell’AMF e obbligo di iscrizione ad un apposito registro sono imposti solo a quei “prestataires de services sur actifs numériques” che svolgano servizi di custodia o di compravendita ditokens a fronte di moneta legale (fiat money)[29].

La scelta regolatoria operata in Italia dalla Consob appare da questo punto radicalmente diversa e – perlomeno a prima vista – più “invasiva”, intervenendo essa direttamente sul processo operativo e tecnologico – il modus operandi – tipico delle ICOs, imponendo agli operatori (emittenti) il ricorso obbligato (ove ci si voglia collocare nel safe harbour) ad una serie di nuovi “operatori”, il che in qualche modo tende a pregiudicare il carattere eminentemente “disintermediato” di quella modalità tecnica di raccolta di capitali (pur non dovendosi esaltare più di tanto questo tratto, rischiandosi altrimenti di aderire acriticamente al mito anarcoide di crypto-assets, totalmente disintermediati e svincolati dal “signoraggio” imposto da autorità monetarie e da intermediari bancari o finanziari; tale rivelandosi, nella realtà, poco più di una leggenda metropolitana, riemergendo anche nell’ecosistema crypto, spesso nella diffusa inconsapevolezza dei più, consolidate logiche di intermediazione che fruttano ovviamente lucrosi margini a chi le gestisce[30], sottraendosi però a qualsiasi forma di controllo volta a garantire standard minimi di affidabilità e sicurezza).

E infatti, come detto, la possibilità per gli operatori di “rifugiarsi” nelsafe harbour così disegnato, beneficiando del regime di “deroga” e sottraendosi conseguentemente e automaticamente alla disciplina dei “prodotti finanziari” che altrimenti potrebbe spesso risultare applicabile[31], risulta condizionata alla circostanza – rimessa alla libera determinazione degli operatori (opt-in) – che “siano impiegate piattaforme dedicate e vigilate dalla Consob rispondenti ai requisiti di seguito tratteggiati”; dalla complessiva analisi del Documento quale confermata nel Rapporto finale, la Commissione intende riferirsi qui ad un “doppio binario”, costituito dal ricorso a piattaforme di “offerta” autorizzate e,al contempo, a piattaforme di “negoziazione” ovvero “sistemi di scambio” autorizzati[32] a cui si faccia ricorso “in stretto collegamento con le offerte (in fase di primario) che sono state condotte per il tramite di piattaforme dedicate e regolamentate”.

Tale scelta, come detto, seppur non pienamente rispettosa del modus operandi oggi tipico di ogni ICOs, non è però certo incompatibile con esso; in base al loro modello operativo e tecnologico appare infatti come le due fasi della “creazione/collocamento” e dell’”offerta” – sebbene normalmente coincidenti oggettivamente e soggettivamente – possano comunque esser tenute logicamente, tecnologicamente e giuridicamente distinte e distinguibili, affidandole a soggetti diversi, nell’ambito di quel medesimo, articolato, processo che caratterizza ogni ICO (Offering, “offerta” qui, allora, in senso lato). E, infatti, la scelta di affidare a soggetti distinti quelle fasi del processo non può ritenersi del tutto estranea (anche se non certo, oggi, tipica) al fenomeno, come rilevato anche da ESMA[33] quando, nel delineare gli attori e i ruoli tipicamente osservabili in una ICO, segnala come “some digital platforms have specialised in the promotion of ICOs”; trattasi sostanzialmente di attività promozionale e commerciale dell’offerta che, evidentemente, non può prescindere da o sostituirsi ai meccanismi di “creazione/collocamento” dei token rimessi imprescindibilmente in capo all’”emittente”.

La fase dell’”offerta” in senso stretto – sulla quale si impernia l’intervento regolatorio prefigurato dalla Commissione – in quanto “isolabile” tecnologicamente e giuridicamente dalla fase di “creazione/collocamento” dei token da parte dell’”emittente”, per essere allora affidata a tali distinti operatori (o piattaforme) “dedicati”, deve qui intendersi “tecnicamente” riferita (ricorrendo alla tradizionale e vigente definizione normativa) ad “ogni comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni dell’offerta e dei prodotti finanziari offerti così da mettere un investitore in grado di decidere di acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari[34]. In conclusione, la scelta della Consob di intervenire, nella regolazione del fenomeno, solo su questa fase – come detto, efficacemente isolabile da quella di “creazione/collocamento” – se non oggi tipica, non pare in definitiva affatto inconciliabile col modello operativo di ogni ICO.

Ciò detto, è però allora solo in relazione a questo particolare approccio regolatorio che deve intendersi la scelta della Commissione – ribadita nel “Rapporto finale” – di riferirsi al modello del crowdfunding[35] e alla regolamentazione di esso – giovandosi dunque della relativa curva di esperienza normativa, che pur dovrà però esser opportunamente adeguata alla ben diversa sottostante realtà [36] – per innestare sui gestori di quelle piattaforme (ma non riservando ad essi la nuova operatività) la nuova regolamentazione dell’incipiente fenomeno, laddove invece in Francia – alla luce del ben diverso approccio regolatorio adottato – la AMF espressamente ritiene non assimilabili i due modelli[37]. Ma l’accostamento tra i due fenomeni deve arrestarsi qui; dal carattere necessariamente disintermediato, decentralizzato e globalizzato che qualifica la peculiare modalità di “creazione/collocamento” di tokens, non può applicarsi al fenomeno qui indagato un approccio analitico tipico di un “modello intermediario” – quale risulta invece quello “classicamente” adottato nell’ordinamento domestico per regolare il fenomeno del crowdfunding – nel quale le piattaforme intervengono essenzialmente a intermediare tra “emittenti” e “sottoscrittori”, gestendo la fase distributiva. Modello intermediario che non pare dunque in alcun modo applicabile al caso dell’ “emissione” (creazione) di utility tokens, ove, tipicamente, i confini tra “collocatore” ed “emittente” sfumano impercettibilmente, caratterizzandosi esso proprio per la marcata disintermediazione che comporta rispetto ai consueti modelli di “collocamento”/”raccolta e trasmissione ordini”[38].

Infine, deve segnalarsi come la Consob si sia mostrata particolarmente sensibile nel Rapporto a cogliere le istanze che in sede di consultazioni avevano suggerito una più puntuale attenta regolamentazione dei servizi di custodia delle cripto-attività, tale costituendo il momento più critico del processo, quello che sin qui è parso – nella casistica internazionale – il più esposto al rischio di condotte truffaldine a danno degli investitori[39]. Da questo punto di vista la soluzione regolatoria prefigurata nel Rapporto pare in linea con quella adottata in Francia, nei termini sopra delineati, con riferimento alla disciplina obbligatoria di quei DASP che svolgano servizi di custodia o di compravendita ditokens a fronte di moneta legale (fiat money).

5. I (parzialmente diversi?) contenuti dell’intervento regolatori.

Pur con i due ben diversi obiettivi e modelli regolatori sopra descritti, entrambi formalmente (ma come visto non sostanzialmente) basati su una filosofia di opt-in – quello francese di tipo “diretto” che vede l’Autorità di vigilanza richiesta di rilasciare all’emittente (emetteur) un “visto” (visa) per l’ICOs che questo voglia promuovere al pubblico sul mercato francese, previo controllo e verifica dei necessari requisiti di affidabilità; quello italiano di tipo “indiretto”, attraverso l’imposizione dell’obbligo di avvalersi di gestori autorizzati per l’offerta e la negoziazione dei tokens al fine di poter beneficiare del safe harbour rispetto alla possibile applicazione della disciplina dei prodotti finanziari, mettendo poi in capo a tali soggetti l’onere di controllo e verifica dei necessari requisiti di affidabilità della ICO – l’obiettivo perseguito è in entrambi i casi quello di selezionare le tipologie di operazioni che possono andare sul mercato, a tutela degli investitori. I criteri di selezione parrebbero per certi versi diversi.

Innanzitutto, in Francia, l’accesso al mercato domestico delle ICOs risulta limitato soggettivamente solo a soggetti che abbiano natura societaria (personne morale)[40] – con approccio assai più rigido e non coerente alla sottostante realtà delle ICOs, laddove in Italia, la Consob si è mostrata invece certamente più sensibile a quella, nel momento in cui riconosce come gli “emittenti “ possono spesso ben essere oltre a società, anche “persone fisiche o networks di sviluppatori di prodotti”[41] (…) “potendo trattarsi di progetti in uno stato embrionale così come di attività in uno stato di maggiore avanzamento, che possono essere portate avanti tanto da network di sviluppatori (come tipicamente avviene nell’ecosistema Fintech) quanto da imprese che assumono una tradizionale forma societaria”[42].

Inoltre – e con scelta che in maniera scontata potrebbe bollarsi come alquanto “sciovinistica” – l’accesso al mercato francese in qualità di émetteur des jetons è limitato alle sole società “établie ou immatriculée en France”[43], scelta che sottende la necessità di poter godere di strumenti di enforcement ma forse anche l’opzione di voler riservare l’accesso al mercato domestico solo a quelle ICO che appaiano meritevoli in base a valutazioni di politica industriale nazionale. Può però sin d’ora osservarsi come un tale approccio risulta in evidente controtendenza rispetto alla intrinseca e specifica sua natura, massimamente ispirato ad una filosofia di globalizzazione, decentralizzazione e disintermediazione (“democratizzazione”[44]), escludendo dunque, in radice, qualunque possibilità di commercializzare tokens a soggetti investitori residenti in Francia, per tutte quelle ICO (ad oggi, la gran parte del fenomeno) progettate/e create/collocate all’/dall’estero e/o da soggetti esteri privi di stabilimento, nell’ambito quindi dei più diversi contesti giuridici di riferimento.

Peraltro, che tale medesimo possa poi risultare l’approccio che verrà adottato anche in Italia in sede di puntuale regolamentazione del fenomeno – seppur ad oggi mai esplicitato dalla Commissione – potrebbe forse evincersi dalla circostanza che la Commissione anche nel “Rapporto finale” conferma la scelta già indicata nel Documento di affidare in capo alle piattaforme di offerta autorizzate compiti di “selezione dei progetti imprenditoriali meritevoli di accedere alla piattaforma” . In tal senso, nel delineare nella normativa regolamentare di secondo livello quelli che dovranno essere i criteri di selezione a cui dovranno attenersi le piattaforme, potrebbe allora adottarsi la stessa prospettiva regolatoria adottata dal legislatore francese e ispirata da esigenze di enforcement e (forse anche) dal perseguimento di obiettivi di politica industriale nazionale, riservando la possibilità di offerta di ICO a soggetti residenti in Italia, esclusivamente a quelle che vedano – come sottostante – progetti imprenditoriali perseguiti, ad esempio, esclusivamente imprese (tipicamente start-up o PMI) localizzate nel territorio nazionale[45]. Se così fosse si finirebbe allora con l’escludere in radice ogni possibilità di avvalersi del safe harbour, tramite il ricorso a “piattaforme di offerta” autorizzate ad offrire a soggetti investitori residenti in Italia, per tutte quelle ICO progettate/ create/collocate dall’/all’estero e/o da soggetti esteri. Peraltro, alla luce di tutta l’analisi sin qui condotta, risulta evidente come un tale approccio inquinerebbe la filosofia di regolazione del fenomeno che sembra consapevolmente adottata dalla Commissione scegliendo di “intercettare” e sottoporre a regolazione la sola fase – giuridicamente e operativamente isolabile e “controllabile” – dell’”offerta” e non invece quella, sottostante e preliminare, della “creazione” del tokens, di per sé decentralizzata, disintermediata e automatizzata.

Da questo punto di vista, si può, infine sottolineare quella che appare, ancora una volta, una non marginale diversità nella filosofia di intervento tra le due esperienze qui considerate. In Francia, infatti, come detto, l’approccio appare essenzialmente volto a verificare, in capo all’”emittente”, che l’offerta avvenga sulla base di un apparato informativo da rendere pubblico che risulti chiaro, completo e trasparente, tramite la pubblicazione di un documento “destiné à donner toute information utile au public sur l’offre proposée et sur l’émetteur” con “contenu exact, clair et non trompeur et permettent de comprendre les risques afférents à l’offre”[46]. La regolamentazione di primo e secondo livello emanata dall’AMF ha poi dettagliatamente specificato i contenuti che il documento da pubblicare deve prevedere, in relazionea“toutes les informations sur l’émetteur de jetons et sur l’offre de jetons projetée nécessaires pour permettre aux souscripteurs de fonder leur décision d’investissement et de comprendre les risques afférents à l’offre”[47]. Oltre alle dettagliate informazioni sull’emittente, sui tokens, sulle modalità di adesione all’offerta etc., viene richiesta “une description détaillée du projet de l’émetteur de jetons, de l’offre de jetons, des raisons de l’offre et de l’utilisation prévue des fonds et des actifs numériques recueillis dans le cadre de l’offre”[48]. La disciplina regolamentare prevede dunque che previa sottoposizione all’Autorità di tutta la documentazione richiesta e della bozza di documento, quest’ultima “a l’issue de l’examen du dossier, (…) décide d’apposer ou de refuser son visa”. Pur non essendo indicati i criteri di valutazione e i margini di discrezionalità a cui l’Autorità debba attenersi[49], l’intero impianto pare limitare l’intervento di quest’ultima al profilo della completezza e correttezza informativa della documentazione richiesta, e non invece al “merito” del sottostante progetto (imprenditoriale).

Anche da questo punto di vista la scelta operata dalla Commissione in Italia appare per certi versi diversa; pur evidenziandosi come anche in Italia, il focus debba ritenersi quello della “trasparenza informativa” che ruota attorno al c.d. White Paper (di natura preventiva, periodica e straordinaria[50]), il “Rapporto finale” chiarisce infatti bene come sia una chiara e consapevole opzione regolatoria quella di voler affidare “in capo ai gestori delle piattaforme la verifica degli adempimenti legati alle verifiche della validità delle operazioni proposte, anche in considerazione della tipologia degli investitori cui le offerte si rivolgono. Tali tipi di verifiche potranno essere dettagliate con misure di secondo livello”[51]. E da questo punto di vista la scelta seppur pienamente giustificata dalle sottese esigenze di tutela degli investitori, sembra davvero difficile da “normare”, parendo davvero arduo da ipotizzare un ruolo di valutazione/validazione del contenuto imprenditoriale dei progetti sottostanti alle ICOs – il loro “merito” – se non altro per la molteplicità dei contenuti e dei modelli di business che essi possono assumere, per contenuti e fasi di sviluppo, nell’impossibilità quindi di loro standardizzazione e traduzione in “rating”, modelli valutativi, o anche solo descrittivi, significativi e comparabili.

Viene invece espressamente esclusa, nel nostro contesto, l’imposizione in capo agli emittenti di “requisiti organizzativi/patrimoniali”.

Infine, con riguardo al profilo della affidabilità tecnologica, si prefigurano due possibili modelli di intervento – con funzione di validazione/certificazione dei protocolli tecnologici adottati, sulla base di quelli che dovranno essere standard tecnologici definiti anche con l’intervento di AGI – da parte dei gestori delle piattaforme, ovvero di “sponsors tecnologici”[52].

6. Una prima possibile conclusione (da sottoporre a verifica empirica).

Alla luce dell’analisi sopra condotta, può conclusivamente tentarsi una primissima valutazione comparativa che dovrà sottoporsi alla prova dei fatti.

1. Il raggio applicativo nella disciplina disegnata in Francia appare a prima vista più ampio, intercettando qualsiasi tipologia di tokens purché non sia riconducibile/assimilabile ad uno strumento finanziario/prodotto di investimento, (anche, dunque, i tokens meramente rappresentativi di diritti connessi al trasferimento di beni mobili o immobili, espressamente esclusi dall’ambito regolatorio in Italia) e a prescindere dal tratto della loro “negoziabilità”, confermato invece dalla Consob come un elemento costitutivo della fattispecie “cripto-attività” da sottoporre alla prefigurata regolazione ad hoc. Ciò detto, non è però affatto scontato quale dei due approcci risulti, nei fatti, più rigido, vista la diversa filosofia dell’intervento regolatorio: di tipo prescrittivo/positivo, per quanto formalmente “volontario” in Francia, avente tendenzialmente l’effetto di consentire l’esecuzione di ICOs sul mercato francese solo a quelle che ottengano il “visto” dell’AMF; di tipo “derogatorio” in Italia, finalizzata a rimuovere l’applicabilità della disciplina dei “prodotti finanziari”, per quelle ICOs che abbiano ad oggetto tokens che come tali possano esser qualificati, agevolandone l’effettuazione disegnando per esse un safe harbour. In Italia, infatti, da un lato, parrebbe lasciato, di fatto, campo libero alle ICOs che avessero ad oggetto tokens che non siano qualificabili come “prodotti finanziari”, ove queste non vogliano assoggettarsi volontariamente alla disciplina delle “cripto-attività”, al fine di ottenere vantaggi di tipo meramente reputazionale, dall’altro, paiono invece oggi esclusi dalla possibilità di avvalersi del safe harbour, tutti i “commodity tokens”, così come tutti gli altri tokens (tendenzialmente utility) non dotati del carattere di “negoziabilità”, laddove essi siano comunque qualificabili come “prodotti finanziari” (ipotesi tutt’altro che remota); in tali casi dovrebbe allora procedersi all’applicazione ordinaria disciplina di “prodotti finanziari”…ma, per quanto detto, tale strada appare oggi difficilmente configurabile (se non operativamente inconcepibile), dovendosi allora concludere nel senso dell’impossibilità, nei fatti, di procedere sul mercato italiano ad ICOs che quelle tipologie di tokens avessero ad oggetto (?) .

2. Atteso che il “contenuti” della vigilanza finalizzata a garantire l’affidabilità delle ICOs sul rispettivo mercato domestico tenderanno inevitabilmente a convergere, sia in Italia che in Francia – riguardando essenzialmente tutte le necessarie informazioni sull’emittente, sul progetto, sui tokens, sulle modalità di loro assegnazione/pagamento/regolamento, protocolli tecnologici utilizzati, sui presidi di sicurezza, resilienza tecnologica e di cyber-sicurezza, etc. – può osservarsi come il modello regolatorio adottato dalla Consob appaia più funzionale ad un controllo più efficace, efficiente e diffuso del nuovo fenomeno, attraverso la delega e la decentralizzazione delle relative funzioni di verifica e di validazione in capo ad operatori specializzati – sottoposti ad un regime autorizzativo e di vigilanza – che dovranno in ciò attenersi alle specifiche che saranno fissate nella normativa regolamentare di primo e secondo livello. Da questo punto divista, la soluzione regolatoria adottata in Italia di un controllo “indiretto”, per delega, facente espressamente perno su una nuova tipologia di operatori specializzati, appositamente regolamentata (le piattaforme di offerta e quelle di negoziazione/scambio), potrebbe apparire – come detto – più “macchinosa” e più “invasiva”, ovvero meno rispettosa del carattere disintermediato del fenomeno; ma questa, si ribadisce, pare essere solo una valutazione “a prima vista”. Attesa la marcata tecnicità del fenomeno e la necessità di attenersi alle dettagliate, articolate e complesse indicazioni regolamentari al fine di poter ottenere il “visto” da parte dell’Autorità di vigilanza, con buona pace per il mito della disintermediazione, assai prevedibilmente anche in Francia si imporrà nei fatti il ricorso, da parte di qualunque “emetteur” intenzionato a progettare una ICOs che possa candidarsi ad ottenere il “visto” dell’Autorità, ad operatori specializzati capaci di guidarlo nella strutturazione di una offerta che sia, inter alia, anche compliant con le prescrizioni regolamentari, dando luogo ad un mercato di tali service providers. Quella adottata in Italia dalla Consob, di puntare sin dall’inizio sulla regolazione di tali operatori – attraverso i quali esercitare poi in via indiretta la vigilanza sulle ICOs – pare scelta più flessibile ed efficiente che potrà facilitare la diffusione e decentralizzazione di una cultura tecnica specifica nel mercato, agevolando la standardizzazione dei modelli ed evitando di “ingolfare” l’Autorità di vigilanza, impegnandola direttamente in delicate attività istruttorie e, dunque, velocizzando e moltiplicando le possibilità di accesso di ICOs compliant al mercato domestico. Da questo punto di vista, pare inoltre (forse) più perseguibile l’ambizione del regolatore italiano – certamente lodevole anche se a prima vista assai difficile da “normare”, alla luce della molteplicità dei contenuti e dei modelli di business, per contenuti e fasi di sviluppo, nell’impossibilità quindi di loro standardizzazione e traduzione in “rating”, modelli valutativi, o anche solo descrittivi, significativi e comparabili – di svolgere, attraverso tali operatori, anche uno scrutinio sul “merito” e sulla “validità” delle operazioni promosse sul mercato italiano – laddove l’intervento diretto del regolatore francese parrebbe arrestarsi al mero profilo della completezza e trasparenza informativa.

 


[1] Per primi approfondimenti sul Documento, si rinvia A. Sciarrone Alibrandi, Offerte iniziali e scambi di cripto-attività: il nuovo approccio regolatorio della Consob, in Diritto Bancario online, 4 aprile 2019; M. Nicotra, Il regime giuridico delle ICOs. Analisi comparata e prospettive regolatorie italiane, in Diritto Bancario online, Aprile 2019; P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, in Diritto Bancario online, maggio 2019 e Id., The Italian Regulatory Approach to Crypto-Assets and the Utility Tokens’ ICOs, luglio 2019, Baffi Carefin Centre Research Paper No. 2019-113, in SSRN:https://ssrn.com/abstract=3414937; G. GITTI, M. R. MAUGERI, C. FERRARI, Offerte iniziali es cambi di cripto-attività, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 1/19, 95.

[2] I limitati interventi correttivi rispetto all’impianto regolatorio delineato nel Documento si limitano a questi profili: una più esatta individuazione della infrastruttura tecnologica sottostante nella tecnologia DLT, omettendo la nozione di “blockchain” che di quella costituisce una delle possibili varianti; l’eliminazione dalla definizione di cripto-attività dell’elemento dell’individuazione dei titolari dei diritti rappresentati neitokens; la previsione della possibilità di successivo accesso a un sistema di scambi regolamentato per cripto-attività che non siano preventivamente state emesse e offerte attraverso una piattaforma regolamentata, oltre alla possibilità che su piattaforme di scambio possano essere realizzate Initial Exchange Offerings (IEO); infine, l’accoglimento dell’istanza emersa nella consultazione di disciplinare nel dettaglio i servizi di custodia delle cripto-attività, anche ove fossero svolti in maniera indipendente dall’attività di gestione dei sistemi di scambi di cripto-attività, in modo da catturare nell’ambito di applicazione della regolamentazione anche i soggetti che operano esclusivamente come custodial wallet provider.

[3] Può segnalarsi la prima ICO che abbia ottenuto il “visto” dell’AMF in data 18 dicembre 2019, in quella promossa dalla società French-ICO: cfr. https://www.amf-france.org/Reglementation/Dossiers-thematiques/Societes-cotees-et-operations-financieres/Marches-d-actions/L-AMF-d-livre-son-premier-visa-sur-une-offre-au-public-de-jetons–ICO-.

[4] Per un generale e approfondito inquadramento del fenomeno in dottrina, anche in una prospettiva comparatistica, può rinviarsi per tuttia F. Annunziata, Speak, If You Can: What Are You? An Alternative Approach to the Qualification of Tokens and Initial Coin Offerings, in Bocconi Legal Studies Research Paper No. 2636561, febbraio 2019 e all’ampia letteratura internazionale ivi richiamata. Per una illustrazione delle rilevanti peculiarità tecniche del fenomeno che richiedono e giustificano per esso un approccio regolatorio ad hoc a P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note margine del documento di consultazione della Consob, op. cit., cap. 7.2.

[5] In particolare vedasi l’art. 26 del “Plan dAction pour la Croissance et la Transformation des Entreprises (PACTE)”, approvato lo scorso 12 settembre, 2018.

[6] La Francia aveva pionieristicamente adottato, anche prima della recente iniziativa normativa in materia di ICOs, una serie di più ampie iniziative legislative finalizzate a recepire nell’ordinamento finanziario la nozione di “dispositif d’enregistrement électronique partagé, “DEEP” (l’equivalente di DLT); in particolare con l’Ordinance no. 2016/520 del 20 aprile 2016, sono state disciplinate le modalità di emissione e trasmissione di bons de caisse (c.d. “minibond”). Sulla base della delega prevista dall’art. 120 della legge c.d. “Sapin 2” del 9 dicembre 2016, a fine 2017 venne approvata l’Ordonnance n. 2017/1674 dell’8 dicembre 2017 (Ordonnance blockchain) che prevedeva la possibilità di ricorrere alla “tecnologia blockchain” per l’emettere, registrare e trasferire valori mobiliari “tradizionali”- limitatamente a quelli di equity (azioni) e a quelli di debito (obbligazioni) – oltreché a quote di fondi comuni – non quotati o negoziati su sedi di negoziazione (titres financiers non cotés). Successivamente, col Decreto n. 2018-1226, DLT Decret del 24 dicembre 2018 sono state definite le specifiche tecniche della tecnologia da adottarsi, adeguandosi corrispondentemente alcune disposizioni del Code de Commerce e del Code monétaire et financier, in particolare, introducendo il nuovo art. R. 211-9-7.

[7] Non riferendomi qui al fenomeno generale delle tecnologie DLT (per il quale invece esiste una prima disciplina domestica della “tecnologia basata su registri distribuiti” – di cui al decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (decreto Semplificazioni)).

[8] P. Carrière, Le “criptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari”; tra tradizione e innovazione, in Rivista di Diritto Bancario, n. 2/2019.

[9] ESMA Advice- Initial Coin Offrings and Crypto-Assets, 9 gennaio 2019, che fa seguito al più generale precedente intervento The Distributed Ledger Technology Applied to Securities Markets, febbraio 2017, in https://www.esma.europa.eu/system/files_force/library/dlt_report_-_esma50-1121423017-285.pdf, e all’azione della Commissione Europea con il FinTech Action plan: for a more competitive and innovative European financial sector, marzo 2018, in https://ec.europa.eu/info/publications/180308-action-plan-fintech_en., sul quale, per un primo commento, vedasi F. Annunziata, Distributed Ledger Technology e mercato finanziario: le prime posizioni dell’ESMA, in M.T. Paracampo (a cura di), FinTech, Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Torino, 2017 p. 229 s.

[10] Si veda in tal senso il comunicato del 28 ottobre 2019 reperibile in https://www.amf-france.org/Acteurs-et-produits/Societes-cotees-et-operations-financieres/Offres-au-public-de-jetons-ICO?langSwitch=true.

[11] Discussion Paper on Initial Coin Offerings (ICOs) a base della consultazione svoltasi tra il 26 ottobre 2017 e il 22 dicembre 2017.

[12] Cft. Rapporto, par. 2.3 a pag. 4. Peraltro, non può escludersi che, ai fini regolatori in questione, possano talora beneficiare del safe harbour così predisposto nell’ordinamento finanziario, anche payment tokens che, pur non potendo essere considerati come “strumenti finanziari (in analogia all’esplicita esclusione degli “strumenti di pagamento” da tale categoria normativa), potrebbero assumere i caratteri del prodotto finanziario (essi stessi, o meglio gli schemi negoziali di investimento che li abbiano ad oggetto).

[13] L’ AMF parla in particolare di “crypto-actifs” per riferirsi all’intero fenomeno dei crypto- assets.

[14] Peraltro la stessa Consob pare incorrere in questo rischio di ambiguità lessicale nel momento in cui ribadisce come “l’approccio normativo-regolamentare proposto dalla Consob non è inteso a catturare cripto-attività che siano strumenti di pagamento, né cripto-attività che, per le loro caratteristiche, ricadano in categorie disciplinate da normativa di derivazione UE …” (cfr. Rapporto, par. 2.6, pag. 6, evidenza aggiunta)…salvo poi subito dopo mantenere la generica locuzione definitoria di “cripto-attività” solo per quel suo più ridotto sotto-insieme, oggetto esclusivo di regolazione in questa sede! Una possibile locuzione analiticamente pregnante e lessicalmente “disambiguante” proposta in sede di consultazione era quella di “cripto-investimenti”, P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob,op.cit., par. 40.

[15] Foriera di ambiguità concettuale con la categoria dei “valori mobiliari” come tali piuttosto riconducibili allora alla fattispecie dei security tokens, espressamente esclusa dall’ambito della regolazione (cfr. P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, op.cit., parr. 31 e 32.).

[16] Così, infatti, Cft. Rapporto, par. 2.3 a pag. 4. Peraltro tale tipologia di tokens dovrebbe spesso già ritenersi di per sé esclusa dall’ambito regolatorio in questione per effetto della sua assimilabilità a “strumenti finanziari”, in specie di tipo “derivato” e, quindi, come tali riconducibili alla fattispecie dei security tokens (rectius, commodity tokens). Ma ove così non fosse – vista la filosofia del nostro intervento regolatorio, di tipo “derogatorio”, finalizzato a rimuovere l’applicabilità di una disciplina che renderebbe un’ICO assai più onerosa se non impossibile (per quanto diremo sulla natura meramente “teorica” dell’opt-in) creando un safe harbour, dovrebbe giungersi alla conclusione che le ICOs aventi ad oggetto “commodity tokens” che fossero qualificabili come “prodotti finanziari” nel nostro ordinamento, non potrebbero mai decidere di avvalersi del safe harbour, dovendosi allora procedere all’applicazione ordinaria disciplina, cosa come diremo difficilmente oggi configurabile, dovendosi allora concludere nel senso dell’impossibilità di procedere sul mercato Italiano .

[17] Cfr. ESMA Advice, dove, pur con riferimento generalizzato al fenomeno dei token, può leggersi: “Crypto-assets may be traded or exchanged for fiat currencies or other crypto-assets after issuance on specialised trading platforms. Estimates suggest that there are more than 200 trading platforms operating globally, although a handful concentrate most of the flows. The largest platforms are currently located outside of the EU, in Asia or in the United States. Only between a fourth and a third of those crypto-assets issued through ICOs are being traded.” (evidenza aggiunta). Nell’Annex 1 può poi leggersi come, con riferimento al caso di utility token ivi analizzato (case 5), la maggioranza dei regolatori abbia ritenuto non presente il tratto della “negoziabilità” (v. p. 6, par. 20). Si veda inoltre il Report SMSG 2018, dove può leggersi come “If the asset token gives right to an entitlement in kind, without giving the holder decision power, and the asset token is not transferable, these tokens share much characteristics with prepaid assets. The SMSG is of the opinion that they currently do not fall under the scope of application of financial regulation and the SMSG sees no need for those asset tokens to be covered in the future” (evidenza aggiunta). Anche in dottrina si sottolinea infine (forse troppo drasticamente) come gli “utility tokens/consumer tokens sono gettoni digitali non negoziabili (pur essendo talvolta trasferibili) che offrono unicamente diritti amministrativi o licenze d’uso, quali l’accesso a una piattaforma, a una facility, a un network di persone, a schemi di “fidelizzazione” (evidenza aggiunta); così, A. Caponera e C. Gola, Aspetti economici e regolamentari delle “cripto-attività”, in Questioni di Economia e Finanza, Banca d’Italia, Marzo 2019 n. 484, p 11 (e prima a p. 6).

[18] Sia consentito di rinviare alle argomentazioni meglio sviluppate in, P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, op. cit., parr. 75 e ss.

[19] Occorre poi tener conto della raffinata e “alternativa” lettura del fenomeno (top-down) proposta dalla più avveduta dottrina, in base alla quale occorrerebbe giungersi alla conclusione di come l’elemento della “negoziazione” (o “negoziabilità”) dei token – perlomeno ove avvenga su trading venues centralizzate – dovrebbe comportare, di per sé, la loro qualificabilità in termini di “derivati” e quindi di strumenti finanziari con tutto ciò che ne consegue; e ciò a prescindere allora dalla necessità stessa di ricorrere alla loro più accurata classificazione in base alla consolidata tassonomia, la suddetta conclusione potendosi quindi applicare pacificamente anche agli utility token. In tal senso vedi F. Annunziata, Speak, If You Can: What Are You? An Alternative Approach to the Qualification of Tokens and Initial Coin Offerings, op.cit. In particolare, la scelta confermata da Consob nel Rapporto di imporre l’utilizzo di “sistemi di scambio” “purchè vi sia un soggetto gestore chiaramente identificabile” (così, Rapporto, par.4.1, pag. 12), potrebbe comportare la necessità di definire i tokens ivi negoziati (anche quelli di tipo utility, quindi) come “derivati” e, quindi, come “strumenti finanziari”; e allora con le conseguenze che si possono immaginare in ordine alla disciplina applicabile che non sarebbe quindi solo quella dei “prodotti finanziari” (che nella fattispecie risulterebbe peraltro disapplicata proprio per effetto del ricorso a tali “sistemi di scambio”).

[20] Cft. Rapporto, par. 2.4 a pag. 5.

[21] Cfr. https://www.amf-france.org/Acteurs-et-produits/Societes-cotees-et-operations-financieres/Offres-au-public-de-jetons-ICO? Nella versione inglese pubblicata sul sito dell’AMF, leggasi: “Although this approval is optional and ICOs without AMF approval will therefore continue to be legal, only those public offerings that have received the AMF approval may be marketed directly to the public in France”.

[22] Volendo cercare un senso in tale affermazione, deve infatti segnalarsi come – alla luce delle peculiari caratteristiche tecnologiche del processo di emissione/collocamento dei tokens – gli spazi per poter ricostruire, nella distinzione tra “offerta pubblica” (lecita?) e “commercializzazione diretta (vietata), un lecito fenomeno di “reverse solicitation” appaiono comunque davvero ridotti.

[23] Benché diverso da uno “strumento finanziario e, quindi, tecnicamente qualificabile come “forma di investimento di natura finanziaria”, ai sensi dell’art. 1.1, lett. u del TUF.

[24] La Consob sembra così chiaramente aderire ad una lettura “estesa” della normativa vigente – che pur presenta tratti di ambiguità – diversamente da quanto proposto da alcuna dottrina.

[25] Banche, imprese di investimento, ed intermediari finanziari ex art. 106 TUB, come emerge dal combinato disposto dell’art. 32 del TUF con gli artt. 125 ss. del Regolamento Intermediari che riservano a tali soggetti il “collocamento” (termine da intendersi qui utilizzato in senso a-tecnico, in quanto riferibile anche all’ipotesi di mancanza di alterità soggettiva dell’emittente/offerente) di prodotti finanziari propri o altrui.

[26] Che, ex art. 32 TUF, devono intendersi le “tecniche di contatto con la clientela, diverse dalla pubblicità, che non comportano la presenza fisica e simultanea del cliente e del soggetto offerente o di un suo incaricato”, quale sicuramente è Internet, come chiarito dalla Commissione già con Comunicazione del 7 luglio 1999, n. DI/99052838.

[27] Per cui si rimanda a P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note margine del documento di consultazione della Consob, op. cit., cap. 7.2.

[28] La presenza di altri soggetti che assumano un ruolo nella ICO è previsto come meramente eventuale, come risulta dalle Instruction DOC-2019-06 : Procédure d’instruction et établissement d’un document d’information devant être déposé auprès de l’AMF en vue de l’obtention d’un visa sur une offre au public de jetons” che richiedono che nel documento da sottoporre al “visto”, oltre ai dati dell’ “emetteur”, vengano fornite informazioni relative a “des éventuels autres acteurs intervenant dans le projet ou dans l’offre” (cfr. ANNEXE II, .2-, evidenza aggiunta).

[29] La disciplina relativa è prevista in due decreti e nelle recenti istruzioni, oltreché nel regolamento generale modificato in data 18 dicembre 2019 con l’arrêté portant homologation des nouvelles dispositions du règlement général”.

[30] “Trading platforms earn revenues from listing, trading and sometimes safekeeping fees. Listing fees on crypto-asset trading platforms can be significant and range from USD 50,000 to USD 1,000,000”, così può leggersi in, ESMA, Advice cit., par. 37. Con riferimento al ruolo svolto dagli intermediari, v. M. Bellino, I rischi legati all’ecosistema Bitcoin: I nuovi intermediari, in Riv. dir. banc., aprile 2018

[31] Come si evince dalla nutrita elaborazione svolta sin qui dalla Commissione quale diffusamente illustrata in P. Carrière, Le “criptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari”; tra tradizione e innovazione, op. cit.

[32] In particolare, “un sistema di scambio di cripto-attività iscritto nel registro tenuto dalla Consob ovvero in un sistema di scambio di cripto-attività avente sede in un Paese diverso dall’Italia purché sia sottoposto ad un regime di regolamentazione e vigilanza che abbia caratteristiche che si pongono in linea con quanto previsto dalla normativa italiana e purché, in relazione al sistema di scambi medesimo, la Consob abbia stipulato un apposito accordo di cooperazione con la corrispondente Autorità estera competente”. Cfr.Rapporto, par. 3.2 a pag. 8.

[33] Cfr. ESMA nell’Advice 2019 (par. 34).

[34] Come da definizione di “offerta al pubblico di prodotti finanziari” di cui all’art. 1.1 lett. t) del TUF.

[35] Sulle cui più recenti evoluzioni anche in prospettiva può rinviarsi alle considerazioni svolte da M. De Mari, Equity crowdfunding, PMI non quotate e mercati secondari: una lacuna da colmare?, in Diritto Bancario online, 4 febbraio 2019.

[36] Pare infatti inevitabile che, anche solo con riguardo alla fase dell’offerta”, il modello operativo di riferimento del “classico” crowdfunding debba comunque essere opportunamente reinterpretato e riorientato, alla luce delle rilevanti peculiarità e delle marcate differenze del fenomeno indagato. E in tal senso – alla luce delle profonde differenze tra i sottostanti modelli di business – appare più che condivisibile l’indicazione della Commissione stessa già contenuta nel Documento, in base alla quale la promozione di offerte di cripto-attività “debba esser tenuta distinta da quella connessa con le offerte di crowdfunding”. Non pare allora pienamente comprensibile (o condivisibile) il rilievo ora espresso dalla Commissione nel Rapporto, in base al quale, “non viene considerata utile la creazione di una nuova e dedicata normativa. L’eventuale introduzione di una nuova disciplina, diversa da quella prevista per il crowdfunding, richiederebbe un’ulteriore previsione di meccanismi di disclosure e misure organizzative volte a fornire analoghe forme di tutela”, Cfr Rapporto, par 3.1, p.8.

[37] AMF, Discussion Paper on Initial Coin Offerings (ICOs) 26 ottobre 2017, par. 3, pag. 7.

[38] Per considerazioni analoghe nell’ordinamento statunitense, si veda J. Rohr e A. Wright, Blockchain-Based Token Sales, Initial Coin Offerings, and the Democratization of Public Capital Markets, in Hastings Law Journal, febbraio 2019, p.511.

[39] Sia consentito rinviare per approfondimenti a P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, op.cit., parr. 82 ss.

[40] Cfr. art. L552-5 del Code.

[41] Cft. Rapporto, par. 3.3 a pag. 9.

[42] Cft. Rapporto, par. 2.3 a pag. 4.

[43] In particolare, poi, nelle Instruction DOC-2019-06, si chiarisce come “pour les émetteurs français, un exemplaire à jour de l’extrait K bis du registre du commerce et des sociétés ; pour les émetteurs étrangers, la copie de l’acte d’enregistrement et un exemplaire à jour de l’extrait L bis du registre du commerce et des sociétés “ (cfr. art. 3.1, 3).

[44] Il riferimento qui non può che essere a J. Rohr e A. Wright, op.cit., febbraio 2019.

[45] Tale pare la prospettiva evidenziata da E. Franza, Nuove modalità di finanziamento: la blockchain per startup e piccole e medie imprese. Rischi e possibili vantaggi, in Diritto Bancario, maggio 2019, parendo però l’Autore prendere in considerazione essenzialmente l’ipotesi di “emissione”, tramite ICO, di tradizionali strumenti finanziari da parte di PMI o start-up, coerentemente quindi col modello classico del crowdfunding.. Con riferimento alla possibile “terza via” delle ICO di utility token come nuova (rinnovata) forma di “finanziamento” d’impresa può rinviarsi a P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, op.cit., par. 37.

[46] Cfr. art. L552-4 del Code.

[47] Cfr. Art. 712-2 del Réglement général de l’Autorité des marchés financiers.

[48] In particolare, poi, le Instruction DOC-2019-06 : Procédure d’instruction et établissement d’un document d’information devant être déposé auprès de l’AMF en vue de l’obtention d’un visa sur une offre au public de jetons richiedono che, in relazione al progetto vengano fornite: “Description détaillée du projet de l’émetteur, notamment : produit ou service fourni, technologie, marché, clients et/ou utilisateurs, aspect juridiques et réglementaires spécifiques au marché ou au projet de l’émetteur ; Mécanismes décisionnels et gouvernance du projet ; Souscripteurs auxquels l’offre s’adresse et restrictions éventuelles; Plan d’activité du projet, notamment : objectifs, déroulement et phases du projet, moyens éventuellement déjà affectés au projet; Besoins financiers pour le développement du projet et éventuels financements déjà obtenus ; Frais liés à l’offre ; Allocation des fonds et des actifs numériques recueillis au cours de l’offre et usage des jetons auto-détenus (cfr. ANNEXE II, .2-).

[49] Nelle Instruction DOC-2019-06, l’art. 3.5(Attributions de l’AMF ), si limita a prevedere che “L’AMF peut exiger toute information complémentaire utile à l’instruction du dossier et indiquer, le cas échéant, les énonciations à modifier ou les informations complémentaires à insérer dans le projet de document d’information”.

[50] Cfr. Rapporto, par.3.3, p. 9.

[51] Così Rapporto, par.3.3, p. 10.

[52] Per l’approfondimento di queste opzioni, cfr.; P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, op.cit., par. 71.

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