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Giurisprudenza

Indennità licenziamento illegittimo: tetto di sei mensilità costituzionalmente illegittimo

31 Luglio 2025

Corte Costituzionale, 23 giugno 2025, n. 118

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 118 del 23 giugno 2025, depositata il 21 luglio 2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del tetto massimo di sei mensilità per l’indennità da licenziamento illegittimo, comminato da datori di lavoro che non superano i limiti occupazionali di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (ovvero i 15 dipendenti).

Questa la declaratoria di incostituzionalità espressa: “LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), limitatamente alle parole «e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità“.

Si ricorda che l’art. 9, comma 1, del citato decreto legislativo, censurato dal giudice rimettente, in particolare, relativamente ai datori di lavoro che non raggiungano i requisiti dimensionali di cui all’art.18 c. 8 e 9 dello Statuto dei Lavoratori:

  • ha escluso la tutela reintegratoria attenuata prevista per i casi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore
  • ha stabilito che è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità l’ammontare delle indennità e dell’importo previsti nei casi di licenziamento:
    • senza giustificato motivo o giusta causa (per il quale l’art. 3, comma 1, prevede un importo non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità);
    • inficiato da vizi formali o procedurali (in conseguenza del quale l’art. 4, comma 1, consente di conseguire un importo non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità);
    • al quale segua l’offerta di conciliazione e l’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore illegittimamente licenziato

Le condizioni per un’indennità da licenziamento illegittimo conforme ai principi costituzionali

La Corte Costituzionale ha da sempre ricondotto la tutela contro i licenziamenti illegittimi agli artt. 4 e 35 Cost., i quali configurano il diritto al lavoro quale fondamentale diritto di libertà della persona umana, tale da imporre al legislatore di circondare di doverose garanzie per il lavoratore e di opportuni temperamenti il recesso del datore di lavoro, garantendo così il diritto del lavoratore a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o irragionevolmente (sent. nn. 45/1965 e 60/1991).

A tutela di tale diritto, fino al 2012, era stata riconosciuta in maniera generalizzata la tutela reintegratoria, sebbene solo nel caso di licenziamenti illegittimi intimati in presenza dei requisiti occupazionali di cui al citato art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

In seguito, con l’art. 1, comma 42, della L. 92/2012 e poi del D. Lgs. n. 23/2015, tale tutela è stata ridotta, circoscrivendola ad ipotesi tassative per tutti i datori di lavoro, e facendo invece assumere portata generale alla tutela indennitario-monetaria.

La Corte aveva già ritenuto compatibile con la Costituzione la tutela meramente monetaria di cui al D. Lgs. n. 23/2015, purché improntata ai canoni di effettività e di adeguatezza, rilevando che il bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 4 e 41 Cost., ove non può non esercitarsi la discrezionalità del legislatore, non impone un determinato regime di tutela (sent. n. 194/2018): il legislatore ben può, nell’esercizio della sua discrezionalità, prevedere un meccanismo di tutela contro i licenziamenti illegittimi anche solo risarcitorio-monetario come l’indennità prevista, a condizione, che tale meccanismo rispetti il principio di ragionevolezza, considerando quale presupposto che il licenziamento illegittimo, ancorché idoneo a estinguere il rapporto di lavoro, costituisce pur sempre un atto illecito.

Pur nel riconoscimento dell’ampia discrezionalità spettante al legislatore, la predeterminazione dell’indennità risarcitoria deve tendere in sostanza, con ragionevole approssimazione, ma sempre nel rispetto del dettato costituzionale, a rispecchiare la specificità del caso concreto e quindi la vasta gamma di variabili che vedono direttamente implicata la persona del lavoratore: non può, pertanto, discostarsene in misura apprezzabile, come può avvenire quando si adotta un meccanismo rigido e uniforme (v. sent. 150/2020).

Le ragioni di illegittimità costituzionale del limite massimo all’indennità

La Corte Costituzionale ricorda che già nella sentenza n. 183/2022 si era pronunciata su tali previsioni, ravvisandovi la sussistenza di un vulnus agli artt. 3/1, 4, 35/1 e 117/1 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 24 CSE.

La lesione dei richiamati parametri costituzionali (gli stessi oggi evocati dal Tribunale rimettente) si era rinvenuta in ragione dell’esiguità dell’intervallo tra l’importo minimo e quello massimo dell’indennità (ovvero tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità), poiché si vanifica l’esigenza di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo ristoro e di un’efficace deterrenza, alla luce di tutti i criteri rilevanti enucleati dalle pronunce della Corte, concorrendo a configurare il licenziamento come extrema ratio.

A tale vulnus, tuttavia, la Corte nel 2022 aveva ritenuto di non potervi porre rimedio, poiché le argomentazioni addotte prefiguravano una vasta gamma di alternative, segnaland la necessità che la materia, fosse rivista in termini complessivi dal legislatore, tratteggiando criteri distintivi più duttili e complessi, non appiattiti sul solo requisito del numero degli occupati e che si raccordino alle differenze tra le varie realtà organizzative e ai contesti economici diversificati in cui esse operano.

Il tempo trascorso e, soprattutto, la diversa formulazione della questione, che non mira a un intervento altamente manipolativo, volto a ridisegnare la tutela speciale per i datori di lavoro sotto soglia in assenza di punti di riferimento univoci, ma solo a eliminare la significativa delimitazione dell’indennità risarcitoria, hanno imposto alla Corte tuttavia, di pronunciarsi, dichiarando il già accertato vulnus ai principi costituzionali.

Tale vulnus, tuttavia, non viene ravvisato nel dimezzamento degli importi delle indennità previste dagli artt. 3/1, 4/1 e 6/1, del medesimo D. Lgs. 23 del 2015, modulabili all’interno di una forbice, diversamente individuata in relazione a ciascun tipo di vizio, ma sempre sufficientemente ampia e flessibile, perché compresa fra un minimo e un massimo, tra i quali c’è un ampio divario: così delineato, infatti, il meccanismo del dimezzamento è comunque tale da non impedire al giudice di tener conto della specificità di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo ristoro e di un’efficace deterrenza, e di fare applicazione dei criteri indicati dalla Corte.

Quel che confligge con i principi costituzionali, dando luogo a una tutela monetaria incompatibile con la necessaria personalizzazione del danno subito dal lavoratore, è piuttosto l’imposizione di un tetto, stabilito in sei mensilità di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e insuperabile, anche in presenza di un licenziamento gravemente illegittimo, che comprime eccessivamente l’ammontare dell’indennità.

Tale significativo contenimento delle conseguenze indennitarie a carico del datore di lavoro delinea un’indennità stretta in un divario così esiguo (ad esempio, da tre a sei mensilità nel caso dei licenziamenti illegittimi di cui all’art. 3, comma 1, del citato decreto legislativo) da connotarla al pari di una liquidazione legale forfetizzata e standardizzata: ed una tale liquidazione è stata già ritenuta dalla Corte inidonea a rispecchiare la specificità del caso concreto e quindi a costituire un ristoro del pregiudizio sofferto dal lavoratore, adeguato a garantirne la dignità, nel rispetto del principio di eguaglianza.

Tale ristoro può essere delimitato, ma non sacrificato neppure in nome dell’esigenza di prevedibilità e di contenimento dei costi, al cospetto di un licenziamento illegittimo che l’ordinamento, anche nel peculiare contesto delle piccole realtà organizzative, qualifica comunque come illecito (v. sentenza n. 150/2020).

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