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Giurisprudenza

Illecito antitrust e azione “quasi follow – on”

11 Dicembre 2018

Daniele Stanzione, Avvocato, Ph.D. in Diritto pubblico dell’economia, “Sapienza” Università di Roma

Tribunale di Milano, 15 marzo 2018, n. 2110 – Pres. Marangoni, Rel. Zana

Di cosa si parla in questo articolo

La recente sentenza del Tribunale di Milano, n. 2110 del 15 marzo 2018, si cimenta nell’analisi di una serie di rilevanti profili di vertice, con significative ricadute applicative, in tema di responsabilità per illecito antitrust[1].

Invero, la vicenda sottoposta all’attenzione del Tribunale meneghino origina dall’azione proposta da alcuni vettori nei confronti del gestore di uno spazio aereoportuale ritenuto responsabile di aver applicato tariffe abusive e discriminatorie per la subconcessione di spazi ad uso ufficio, strumentali per l’attività dei vettori, nell’ambito dello stesso spazio aereoportuale.

Nel domandare la condanna del gestore alla restituzione dell’indebito ovvero al risarcimento del danno, tanto contrattuale quanto aquiliano, i vettori hanno fatto leva sull’asserita efficacia probatoria di un precedente provvedimento reso dall’AGCM, confermato dal giudice amministrativo, che sanzionava l’abuso di posizione dominante del gestore dello spazio aereoportuale, consistente in particolare “nella applicazione di corrispettivi non equi ed eccessivamente onerosi nel mercato della messa a disposizione di beni ad uso comune ed esclusivo per lo svolgimento delle attività di handling cargo”.

All’esito delle difese svolte dal convenuto, il Tribunale di Milano, come anticipato, ha affrontato e risolto molteplici questioni preliminari e di merito di sicuro interesse.

In primo luogo, il giudicante ha analizzato il tema centrale dell’efficacia probatoria degli accertamenti compiuti in sede di public enforcement rispetto a soggetti che non abbiano partecipato direttamente al procedimento tenutosi dinanzi all’AGCM: da qui la qualificazione assegnata al Tribunale all’azione in questione, come azione “quasi follow – on”.

La posizione del Tribunale è favorevole, sul presupposto che il pertinente provvedimento dell’AGCM riguardi “tutti gli operatori che, sotto il profilo soggettivo, rientrano tra quelli che posseggono i requisiti di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 18/99”, fra i quali, secondo i giudici[2], possono essere ricompresi anche i vettori in questione, con conseguente superamento del profilo inerente alla mancata partecipazione al procedimento di public enforcement.

In secondo luogo, il Tribunale ha ritenuto sussistente la propria giurisdizione, a dispetto di quanto sostenuto dal gestore convenuto che l’aveva, per converso, messa in discussione all’esito di un recente orientamento della giurisprudenza di legittimità[3].

Sul punto il Tribunale meneghino, nel rifarsi all’orientamento già espresso dallo stesso ufficio (Trib. Milano, 26 ottobre 2017), ha precisato che le domande riparatorie e risarcitorie oggetto di giudizio – derivanti, in particolare, dalla violazione della normativa antitrust europea e nazionale (la cui cognizione è riservata ex lege alle sezioni specializzate in materia d’impresa) nonché dall’inosservanza delle norme imperative e degli obblighi di buona fede e di protezione dell’altro contraente – “non si estendono alla determinazione delle tariffe o del corrispettivo richiesto dal concessionario […] per la subconcessione degli spazi ad uso ufficio, profilo che tocca l’esercizio del potere pubblicistico (discrezionale) della pubblica amministrazione e dei suoi concessionari, devoluto quest’ultimo alla giurisdizione amministrativa. Il sindacato sulla determinazione di tali tariffe è stato qui già esercitato del resto dal giudice amministrativo, investito delle decisioni rese sulla base dell’istruttoria dell’AGCM alla luce dei provvedimenti adottati dall’ANAC. L’indagine sulle tariffe contestate in questa sede è del resto solo incidentale, venendo recepite le valutazioni già espresse in sede di public enforcement”.

In terzo luogo, il Tribunale di Milano ha affrontato l’ulteriore questione, eccepita dal convenuto, della prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito antitrust, tanto sul piano extracontrattuale quanto su quello contrattuale.

Il giudicante richiama innanzitutto l’attenzione sulla complessità del tema, specie in ragione delle difficoltà connesse alla “individuazione del momento in cui l’inerzia del titolare del diritto acquista significato rilevante, trattandosi gli illeciti Antitrust di condotte c.d. lungo-latenti ed atteso lo scollamento temporale tra il momento in cui l’illecito viene posto in essere e quello in cui la parte danneggiata ne viene a conoscenza”.

Per quanto concerne i crediti di natura extracontrattuale, non essendo applicabili al caso di specie, ratione temporis, la Direttiva 2014/104/UE, in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust, e il relativo decreto legislativo di recepimento, n. 3/2017[4], il Tribunale ha fatto riferimento ai principi interpretativi consolidatisi prima dei richiamati provvedimenti, osservando in particolare che: (i) “la mera percezione della condotta anticompetitiva non è sufficiente per ritenere valutabile l’inerzia del danneggiato che non eserciti il diritto al risarcimento, quando manchi la consapevolezza anche dell’ingiustizia della perdita economica, quale conseguenza dell’illecito anticoncorrenziale”, sicché “l’inizio del computo della prescrizione per la generalità degli utenti e dei consumatori coincide con la data di pubblicazione del provvedimento sanzionatorio (cfr. già Cass. n. 2305/2007)”, criterio quest’ultimo che può essere applicato anche a favore di coloro che non hanno partecipato al procedimento di public enforcement; (ii) “con riguardo ad imprese che operano nel medesimo settore di mercato nell’ipotesi di abuso di posizione dominante, l’inizio del computo della prescrizione va anticipato all’inizio dell’istruttoria innanzi all’Autorità qualora si tratti di operatori che abbiano partecipato al procedimento (cfr. Tribunale di Milano n.12043/2014)”, mentre per le cause risarcitorie fondate sul provvedimento dell’AGCM rilevante nel caso di specie lo stesso ufficio giudiziario in precedenza “ha fatto risalire il dies a quo al momento in cui, con l’avvio del procedimento davanti all’Autorità di vigilanza, l’abuso abbia assunto rilevanza pubblica (Corte d’appello Milano, cfr. sentenza del 15.06.2017, n. 2041)”; (iii) in ogni caso, “nelle ipotesi d’infrazione continuativa o ripetuta, il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dopo che l’infrazione sia cessata (in caso diverso il termine di prescrizione potrebbe estinguersi prima che l’illecito sia cessato)”.

Quanto invece al tema della prescrizione dei crediti contrattuali, il Tribunale milanese ha richiamato l’unico precedente di legittimità in termini, il quale conferma l’applicabilità del termine di prescrizione decennale a fronte della configurabilità di una responsabilità precontrattuale, “in quanto concernente comportamenti strettamente correlati alle contrattazioni ed agli assetti di interessi che caratterizzano la materia contrattuale (Cass. n. 8110/2013)”[5].

Infine, il Tribunale di Milano si è occupato dell’ulteriore rilevante questione di merito attinente al carattere asseritamente pluri-offensivo dell’illecito antitrust, con conseguente rilevanza dello stesso sia sul fronte aquiliano che su quello negoziale.

Il cumulo di entrambi i rimedi – in un caso, come quello che ci occupa, in cui l’illecito concorrenziale si inserisce nel quadro di un rapporto obbligatorio fra il relativo autore e i danneggiati – è accolto con favore dal giudicante, in quanto ritenuto omogeneo rispetto “ad un’interpretazione della normativa Antistrust, costituzionalmente orientata, che mira ad allargare gli strumenti di tutela al fine di assicurare una sua efficace ed efficiente applicazione. E ciò alla luce della natura della normativa Antistrust, che svolge un ruolo essenziale nella fissazione e nei limiti della libertà d’iniziativa economica che trovano conforto nell’art. 41 della Costituzione, fissando il perimetro della libertà d’iniziativa economica al fine di elidere i rischi che si pongano in contrasto con l’utilità sociale, anche alla luce dei vincoli che nascono dall’appartenenza all’Unione Europea”.

Pertanto, riconosciuta la possibilità di far valere la nullità delle clausole contrattuali illecite, ex art. 1418 ovvero 1419 c.c., il Tribunale ha altresì rammentato, sul piano probatorio, che «nelle cause civili

per danni successive agli accertamenti dell’Autorità (c.d. follow-on) la giurisprudenza di legittimità ha attribuito efficacia di prova “privilegiata” al provvedimento sanzionatorio emesso all’esito della tutela del pubblic enforcement (v. Cass. n. 3640/09, seguita poi in senso conforme da Cass. n. 5941/11, Cass. n. 5942/11, Cass. n. 7039/12), con riguardo all’autorevolezza dell’organo da cui promanano e agli strumenti e alle modalità di indagine poste in atto dalla medesima Autorità. Tale peculiare efficacia probatoria (ora vincolante a seguito del recepimento della Direttiva n. 2014/104) è limitata ad alcuni aspetti della fattispecie sottoposta al sindacato dell’autorità giudiziaria, e in particolare all’accertamento della posizione rivestita sul mercato dalla società indagata ed alla sua posizione di dominanza, alla sussistenza del comportamento abusivo ed alla lesione “del mercato”. Tale valenza non si estende invece alla sussistenza dei danni, al nesso di causalità e alla quantificazione del risarcimento».



[1] Per una ricostruzione generale della tutela antitrust, fra public e private enforcement, si rinvia, a vario titolo, a Negri, Giurisdizione e amministrazione nella tutela della concorrenza, Torino, 2006; Pagni, La tutela apprestata dal giudice ordinario in materia antitrust, in Contratto, intese ed abusi nel diritto della concorrenza, a cura di Catricalà-Ghezzi, Torino, 2011; Police, Tutela della concorrenza e pubblici poteri, Roma, 2007; Raffaelli, L’applicazione del diritto antitrust comunitario tra giudici nazionali e commissione, in Riv. dir. proc., 2008, 662; Tavassi-Scuffi, Diritto processuale antitrust, Milano, 1998; Trotta, Il rapporto tra il giudizio civile e gli atti dell’AGCM e della Commissione, in Dizionario sistematico della concorrenza, a cura di Pace, Napoli, 2013, 361 ss.

[2] Sul punto, in particolare, il Tribunale, rifacendosi al precedente orientamento dello stesso ufficio (Trib. Milano, n. 3932/2015, confermata con sentenza n. 25/2017 dalla Corte d’Appello), aderisce alla posizione favorevole in quanto “privilegia la natura dell’attività esercitata negli spazi comuni in subconcessione, considerando ininfluente la titolarità di una certificazione per l’attività di terra o la regolarità della contabilità separata”.

[3] Nel caso rilevante la Suprema Corte, osserva il Tribunale di Milano nella sentenza in commento, “ha ritenuto sottratte al giudice ordinario le controversie relative a corrispettivi determinati in base alle tariffe stabilite dalle società titolari della gestione di servizi, in relazione alla loro natura di organismi di diritto pubblico ed alle finalità alle stesse connesse (Cass. S.U. n 13723/2017)”.

[4] Rammenta il Tribunale di Milano come “essi stabiliscono che il termine di prescrizione quinquennale non inizi a decorrere prima che la violazione del diritto della concorrenza sia cessata e prima che l’attore sia a conoscenza o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza di tutti gli elementi necessari per esercitare il diritto al risarcimento del danno: e dunque della natura illecita della condotta, del danno subito a causa dell’illecito e dell’identità del responsabile (cfr. art. 8 del d.lgs. n. 3/2007 e art. 10 della Direttiva 2014/104/UE)”.

[5] L’applicabilità del termine di prescrizione decennale alla fattispecie della responsabilità precontrattuale, trattandosi di responsabilità negoziale da “contatto sociale”, è stata recentemente riconosciuta da Cass. n. 14188/2016, richiamata dal Tribunale di Milano nella sentenza che si commenta.

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