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Giurisprudenza

Il tardivo deposito del bilancio non costituisce elemento decisivo ai fini della dichiarazione di fallimento

4 Aprile 2018

Massimiliano Arrigo

Cassazione Civile, Sez. I, 31 maggio 2017, n. 13746 – Pres. Nappi, Rel. Genovese

Nella sentenza in esame la Suprema Corte chiarisce l’importanza svolta dai “bilanci relativi agli ultimi tre esercizi” che il debitore è tenuto a depositare, ai fini della prova delle soglie di fallibilità, durante il procedimento per la dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’art. 15 comma 4 della legge fallimentare.

La nozione di “bilancio” cui la legge fallimentare fa riferimento è la medesima utilizzata nell’art. 2435 primo comma del codice civile, ai sensi del quale è richiesto il deposito (o la spedizione) di una copia del bilancio presso il Registro delle Imprese entro 30 giorni della rispettiva approvazione. Tale adempimento soddisfa una funzione informativa e conoscitiva affinché un qualsiasi soggetto estraneo alla società sia in condizione di informarsi sulla situazione economica-patrimoniale della medesima.

La Suprema Corte, partendo da una siffatta rappresentazione ed accentuandola in ragione della verosimile maggiore importanza che l’elemento pubblicistico ricopre in una procedura concorsuale, ha espresso il seguente principio di diritto: i “bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15, quarto comma, LF, sono quelli approvati e depositati nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2435 cod. civ.”. Se ne ricava che, in assenza del deposito dei bilanci durante il procedimento per la dichiarazione di fallimento da parte del debitore, non se ne escluderebbe una eventuale valutazione di dubbia attendibilità degli stessi, ma ciononostante “il giudice potrà non tenere conto dei bilanci prodotti… rimanendo l’imprenditore diversamente onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità”.

In sostanza, è errata la valutazione del giudice di merito che considera il tardivo deposito dei bilanci quale espressione di violazione delle norme procedimentali e, conseguentemente, quale sinonimo di inattendibilità del bilancio. Il giudice di merito dovrebbe valutare il procedimento che ha portato all’approvazione dei bilanci societari, ai sensi dell’art. 2435 c.c., e dalle rispettive vicende dovrebbe trarre conclusioni in merito alla conseguente tardività. Il giudice è, quindi, tenuto ad uno specifico accertamento in merito alla conclusione di inattendibilità, non potendo la mera violazione delle norme procedimentali inficiare la capacità dell’atto di fornire una prova attendibile ai fini del procedimento pre-fallimentare.

La Suprema Corte, richiamando una sua precedente pronunzia, rimarca che ai fini della prova, da parte dell’imprenditore, della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, I.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi costituiscono la base documentale imprescindibile, ma non anche una prova legale, sicché, ove ritenuti motivatamente inattendibili dal giudice, l’imprenditore rimane onerato della prova circa la ricorrenza dei requisiti della non fallibilità. Il debitore, anche a fronte di una tardività del deposito dei bilanci, sarà, quindi, onerato di provare la sussistenza dei requisiti di non fallibilità ai sensi della legge fallimentare, non potendo il giudice derivarne un’automatica valutazione di inattendibilità della tardiva produzione delle scritture societarie.

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