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Attualità

Il rendimento di un dipendente può rilevare ai fini disciplinari?

6 Novembre 2025

Antonio Cazzella, Partner, Trifirò & Partners Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza la rilevanza del rendimento connesso alla prestazione lavorativa fornita dal dipendente e la connessa sua valutazione ai fini dell’irrogazione di misure disciplinari.


1. Considerazioni generali.

Le caratteristiche della prestazione lavorativa fornita dal dipendente – quando si tratta di esaminarne la quantità e la qualità – sono un elemento non privo di rilievo nell’ambito di un’organizzazione aziendale, perchè (soprattutto in termini di quantità) incidono sulla produttività del singolo e, in qualche modo, su quella dell’intera azienda.

Inoltre, non sempre eventuali carenze della prestazione offerta da un lavoratore possono essere “compensate” con la prestazione di altri dipendenti.

Sotto un ulteriore profilo, occorre anche considerare (a prescindere dalle ragionevoli aspettative del datore) che il raggiungimento di determinati risultati – quando si tratta il tema della produttività – è talvolta strettamente connaturato alle mansioni assegnate al dipendente (si pensi, ad esempio, ad un lavoratore che svolge le mansioni di venditore).

Tuttavia, un’iniziativa datoriale in senso disciplinare – finalizzata quindi a sanzionare le carenze (in termini di produttività) nell’esecuzione della prestazione – non è agevole, in quanto, ferme restando le difficoltà probatorie nel dimostrare i fatti contestati, occorre valutare alcuni principi dell’ordinamento giuridico inevitabilmente applicabili.

Infatti, l’art. 2094 c.c. prevede che il lavoratore subordinato si obbliga “mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”; il contratto di lavoro subordinato si caratterizza, quindi, per il vincolo di subordinazione e, in termini generali, l’obbligazione assunta dal lavoratore è pacificamente qualificata come obbligazione “di mezzi” e non “di risultato” (tra le tante, Cass. 7 agosto 2024, n. 22314).

Ciò significa che il lavoratore non è obbligato a garantire il raggiungimento di un determinato risultato economico o produttivo, ma deve impegnarsi a fornire una prestazione secondo regole e direttive del datore di lavoro.

Inoltre, la natura di obbligazione di mezzi non esonera il lavoratore dall’obbligo di prestare la propria attività con diligenza secondo quanto previsto dall’art. 2104 c.c., che impone al prestatore di lavoro di “usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale”.

2. Lo scarso rendimento.

Interpretando le norme sopra richiamate, si può affermare che lo “scarso rendimento” di un lavoratore si configura quando quest’ultimo, senza commettere specifici inadempimenti (più o meno disciplinarmente rilevanti), mantenga degli standard di produttività costantemente inferiori rispetto a quelli mediamente raggiunti da colleghi con pari mansioni ed in condizioni analoghe.

Peraltro, tale parametro (ovvero, una produttività costantemente inferiore alla media dei colleghi) non è ancora sufficiente per censurare e sanzionare legittimamente le carenze riscontrate nella prestazione fornita dal lavoratore, in quanto, tenuto conto delle circostanze concrete, il comportamento del dipendente (in termini di risultati ottenuti) potrebbe essere giustificato.

Infatti, l’inadempimento del lavoratore è ravvisabile – laddove si accerti che la prestazione è stata eseguita in modo significativamente e reiteratamente inferiore rispetto agli standard normalmente richiesti dalla mansione – purché sia altresì dimostrato il carattere colpevole del comportamento attuato dal dipendente (tra le tante, Cass. 22 novembre 2016, n. 23768).

Gli elementi concretamente utilizzabili per valutare la legittimità, o meno, del comportamento posto in essere dal dipendente (e, quindi, l’esistenza di un inadempimento degli obblighi gravanti su quest’ultimo) sono vari.

Ad esempio, un inadempimento contrattuale potrebbe ravvisarsi laddove venga accertato che il rendimento “sotto soglia” non sia episodico, non sia giustificato (ad esempio, da motivi di salute o da carichi di lavoro eccessivi) e sia, quindi, sintomatico di una prestazione svolta con negligenza.

Invero, ove siano individuabili dei parametri per accertare se la prestazione sia stata eseguita con diligenza e professionalità, lo scostamento da essi può costituire indice di una “non esatta” esecuzione della prestazione, secondo una valutazione complessiva dell’attività resa per un apprezzabile periodo di tempo, essendo tra l’altro ininfluente il raggiungimento di una soglia “minima” di produzione (Cass. 6 aprile 2023, n. 9453).

In sintesi, a seconda dei casi, si può configurare uno scarso rendimento oggettivo – determinato da fattori estranei alla volontà del lavoratore (ad esempio, età, salute, organizzazione del lavoro, obsolescenza degli strumenti, ecc.) – oppure uno scarso rendimento soggettivo o negligente, quando il lavoratore non si attiene ai canoni di diligenza media richiesta, valutazione che si può effettuare considerando, tra l’altro, i risultati ottenuti da colleghi che svolgono pari mansioni ed utilizzano analoghi strumenti di lavoro.

3. Gli orientamenti della giurisprudenza.

La giurisprudenza ha ripetutamente trattato il tema dello scarso rendimento del lavoratore, nella maggior parte dei casi sanzionato con il licenziamento (quanto al provvedimento disciplinare concretamente adottato, è pacifico che debba essere graduato in considerazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore).

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per scarso rendimento di un lavoratore, assunto con mansioni di venditore, con una prestazione quindi già individuata nel contratto di assunzione; nella fattispecie, era emerso che i target di produzione erano periodicamente stabiliti e che il datore aveva effettuato un confronto tra i risultati raggiunti dal dipendente e gli obiettivi programmati. Inoltre, era stato accertato che il datore non aveva imposto alcun metodo di suddivisione dei clienti, che erano assegnati in modo casuale (ad estrazione o per suddivisione numerica) e, solo successivamente all’assegnazione, eventualmente modificati dagli stessi venditori favorendo coloro che avevano già fidelizzato un cliente da tempo (Cass.14 luglio 2023, n. 20284).

Invero, costituisce un principio ormai costante che non sarebbe possibile una corretta valutazione della prestazione fornita da un lavoratore in mancanza di un “parametro di riferimento statistico-comparativo” (Corte d’Appello Milano, 26 maggio 2023, n. 577), essendo comunque pacifico, in via generale, che il potere organizzativo del datore di lavoro comprende la predisposizione di regole finalizzate ad una migliore efficienza dell’attività produttiva in relazione agli obiettivi economici da perseguire, che costituisce un’espressione della libertà di iniziativa economica dell’imprenditore sancita dall’art. 41 Cost. (Cass. 27 aprile 2023, n. 11174).

Trattando il tema dello scarso rendimento, si ricorda che è stato ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente di una banca, addetto all’Ufficio Sviluppo, al quale era stato contestato di aver fatto visita (in un determinato arco temporale) ad un modestissimo numero di clienti e di aver peraltro acquisito solo un cliente (Cass. 9453/2023, cit.).

In particolare, nella predetta pronuncia è stato rilevato che, sebbene spetti al giudice di merito valutare gli “aspetti quantitativi di attività e risultati”, ben può risultare evidente, da una comparazione dei dati del dipendente con quelli della prestazione resa da altri colleghi, la rilevantissima sproporzione della prestazione lavorativa e dei risultati raggiunti (Cass. 9453/2023, cit.).

Anche più recentemente, la giurisprudenza di merito ha confermato i principi sopra illustrati esaminando una fattispecie nella quale ad un lavoratore era stata inflitta una sanzione disciplinare conservativa per il mancato rispetto degli obiettivi di produzione.

Nel caso esaminato, il raggiungimento di tali obiettivi era espressamente previsto nell’incarico assegnato al lavoratore; in particolare, gli obiettivi erano fissati mensilmente dal datore ed il dipendente, tramite la intranet aziendale, poteva verificare quotidianamente i risultati via via raggiunti e, quindi, lo scarto rispetto a quanto mensilmente stabilito.

Nel confermare la legittimità della sanzione disciplinare, il Tribunale ha valorizzato la natura dell’incarico assegnato al dipendente, precisando che “un produttore non viene assunto per fornire delle opere finalizzate alla produzione, ma direttamente per produrre, e non avrebbe alcuna utilità per il datore di lavoro ottenere una mera prestazione sganciata dal conseguimento di un concreto risultato” (Tribunale Milano, 3 settembre 2025, n. 3473).

Ricordando che la prova del comportamento negligente può essere fornita anche mediante presunzioni, il Tribunale ha inoltre evidenziato che, nello stesso arco temporale indicato nella contestazione disciplinare, gli altri dipendenti, con il medesimo programma di produzione, avevano realizzato una resa media pro capite superiore all’obiettivo prefissato.

In conclusione, la configurabilità di uno scarso rendimento del lavoratore è sicuramente una questione complessa, non solo perchè è necessario considerare, trattandosi di un licenziamento disciplinare, i principi elaborati dalla giurisprudenza (dai quali si desume, tra l’altro, l’esigenza di una corretta formulazione della contestazione disciplinare) per imputare al dipendente una sua responsabilità, ma anche perchè devono essere attentamente valutate le circostanze del caso concreto ove si voglia legittimamente contestare un inadempimento del dipendente.

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