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I mutui con ammortamento alla francese: dubbi ricorrenti e tentativi di risposta

7 Marzo 2024

Roberto Natoli, Professore Ordinario di Diritto dell’economia, Università degli Studi di Palermo

Di cosa si parla in questo articolo

[*] SOMMARIO: Il saggio, che riproduce il testo di una relazione tenuta presso la Corte di Cassazione a un convegno organizzato in funzione della prossima e attesa sentenza delle sezioni unite sul tema dei mutui con ammortamento alla francese, tenta di rispondere ad alcune domande ricorrenti nel dibattito, anche allo scopo di offrire al giudice di legittimità alcuni spunti di interesse sui temi generali sottesi ad alcune ricorrenti affermazioni sul tema.

ABSTRACT: The essay attempts to answer some recurring questions in the debate on the so-called French amortization method, with the aim of offering the Italian Supreme Court, which will soon rule on the topic in its largest assembly, some useful reflections.


1. Il mutuo alla francese è comparativamente più oneroso di un mutuo all’italiana?

Inizierò affrontando una questione di fondo, cioè quella sottesa alla ricorrente affermazione secondo cui il mutuo alla francese è comparativamente più oneroso del mutuo all’italiana [1].

Cosa vuol dire “oneroso” e, in particolare, cosa vuol dire “oneroso” se riferito a un mutuo?

Secondo l’insegnamento tradizionale, il mutuo è un contratto naturalmente oneroso: nel senso, cioè, che – se le parti non prevedono diversamente – “il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante” (art. 1815 c.c.).

Si evince da qui che, nel mutuo, l’onerosità è correlata alla corresponsione degli interessi. Ma, detto ciò, per capire se un mutuo è più o meno oneroso di un altro si deve guardare a quanti interessi si corrispondono o al tasso sulla base del quale si calcolano gli interessi da corrispondere?

Credo che la risposta corretta sia la seconda e lo credo anzitutto sulla base di un argomento se vogliamo banale, ma che serve a rendere bene l’idea: se l’onerosità si riferisse a quanti interessi si pagano, dovremmo concludere che un mutuo di 1 anno, di 100.000 euro e al tasso dell’1% annuo – nel quale dunque si pagano 1.000 euro di interessi – è più oneroso di un mutuo di 1 anno, di 10.000 euro e al tasso del 5% annuo, nel quale si pagano 500 euro di interessi.

Chi riterrebbe questo secondo mutuo più oneroso del primo? Credo nessuno.

E allora, evidentemente, l’onerosità non è correlata a quanti interessi si pagano, ma al tasso sulla base del quale si calcolano. Da qui la prima conclusione: un mutuo al 5% è più oneroso di un mutuo all’1%. Chi riterrebbe il contrario? Credo nessuno.

Aggiungo, a questo punto, piccolo un elemento di complicazione.

Proviamo a comparare più mutui di pari importo, pari durata e pari tasso di interesse annuo:

I) nel primo si restituiscono rata per rata solo gli interessi e il capitale si restituisce tutto alla fine (bullet)

II) nel secondo si restituiscono rata per rata interessi e capitale e le rate sono costanti (ammortamento francese)

III) nel terzo si restituiscono rata per rata interessi e capitale e le rate sono decrescenti (ammortamento italiano).

Se l’onerosità rimanda alla quantità di interessi corrisposti, il primo mutuo è più oneroso del secondo e il secondo del terzo, perché nel bullet si pagano complessivamente più interessi del francese e nel francese dell’italiano.

Se, però, l’onerosità rimanda al tasso applicato, questi mutui sono parimenti onerosi (perché pari è il tasso annuo effettivo di interesse) anche se in alcuni si pagano più interessi che in altri.

La differenza – decisiva per chi si occupa di banche e dunque di sistemi finanziari – è data dal fattore tempo e, in particolare, dalla durata del godimento del capitale (o di parte del capitale) preso in prestito dal mutuatario.

Quanto più a lungo il mutuatario ne gode, tanti più interessi pagherà perché, quanto più ne ha goduto, tanto più a lungo ha privato il mutuante di quel capitale.

Questo è il passaggio decisivo per comprendere perché, ceteris paribus, mutui con piano di ammortamento mutui bullet, “francesi” o “italiani” sono, dal punto di vista finanziario, esattamente uguali: per dirla con parole giuridiche, sono tutti egualmente onerosi.

2. Nel mutuo alla francese c’è capitalizzazione degli interessi?

Basta guardare il concreto sviluppo dei relativi piani di ammortamento per vedere che nei mutui francesi non c’è mai capitalizzazione di interessi.

In altre parole, la base di calcolo degli interessi è data sempre dalla sola quota di capitale residuo e mai dal capitale residuo maggiorato degli interessi. Non c’è, dunque, anatocismo. Ipotizzo un esempio banale: 100.000 euro, al tasso annuo del 5%, da restituire in 5 anni, con rate di frequenza annuale.

Bullet

CAPITALE

RESTITUITO

INTERESSI RATA DEBITO RESIDUO
1° ANNO 0 5.000 5.000 100.000
2° ANNO 0 5.000 5.000 100.000
3° ANNO 0 5.000 5.000 100.000
4° ANNO 0 5.000 5.000 100.000
5° ANNO 100.000 5.000 105.000 0
TOTALE 100.000 25.000 125.000 0

 

Ammortamento alla francese

CAPITALE

RESTITUITO

INTERESSI RATA DEBITO RESIDUO
1° ANNO 18.097,48 5.000 23.097,48 81.902,52
2° ANNO 19.002,35 4.095,13 23.097,48 62.900,17
3° ANNO 19.952,47 3.247,26 23.097,48 42.947,69
4° ANNO 20.950,10 2.147,38 23.097,48 21.997,60
5° ANNO 21.997,60 1.099,88 23.097,48 0
TOTALE 100.000 15.487,40 115.487,40 0

 

Ammortamento all’italiana

CAPITALE

RESTITUITO

INTERESSI RATA DEBITO RESIDUO
1° ANNO 20.000 5.000 25.000 80.000
2° ANNO 20.000 4.000 24.000 60.000
3° ANNO 20.000 3.000 23.000 40.000
4° ANNO 20.000 2.000 22.000 20.000
5° ANNO 20.000 1.000 21.000 0
TOTALE 100.000 15.000 115.000 0

 

Anche se il primo mutuo comporta un esborso complessivo maggiore del secondo e il secondo del terzo, questo maggiore esborso consente di dire che il primo mutuo è più oneroso del secondo e così via?

Le considerazioni sopra sviluppate dovrebbero aver dimostrato che una tale conclusione non sarebbe corretta.

E una tale conclusione si mostra corretta non solo dal punto di vista finanziario, ma anche dal punto di vista giuridico, considerato il rilievo che l’ordinamento assegna, ormai da quasi trent’anni, al TAE(G), cioè al tasso annuo effettivo del finanziamento, proprio a fini di comparabilità delle diverse offerte di credito sul mercato: il dato che l’ordinamento offre ai potenziali clienti delle banche per comparare i mutui non è offerto, insomma, da quanti interessi, ceteris paribus, si dovranno restituire, perché la quantità di interessi, di per sé, è un dato nudo, che tralascia la fondamentale questione del quando il capitale viene, tempo per tempo, restituito.

Il dato che l’ordinamento offre è, invece, il tasso annuo effettivo: cioè di un dato assai più denso di significato, perché incorpora il fattore tempo.

3. Visto che la formula per ottenere rate costanti è espressa in interesse composto, nel mutuo alla francese c’è un anatocismo implicito?

Molti interpreti incentrano le proprie tesi sull’anatocismo implicito (o nascosto che dir si voglia) nei mutui alla francese sul fatto che la formula utilizzata in matematica finanziaria per calcolare le rate costanti è espressa in regime di interesse composto.

Ma una cosa è la formula utilizzata e un’altra e il risultato cui essa conduce.

Al riguardo osservo che i matematici finanziari [2] hanno dimostrato che le rate costanti possono calcolarsi anche facendo uso di formule non in interesse composto: il che basta già a dimostrare l’insussistenza di una corrispondenza biunivoca tra formula utilizzata per il calcolo delle rate costanti e presenza di interesse composto nelle rate.

Personalmente, finché non vedrò – piano di ammortamento sotto gli occhi – che gli interessi incorporati nella rata da pagare sono calcolati su una base data da capitale residuo + interessi, non comprenderò dove si nasconda l’anatocismo e continuerò a pensare che l’anatocismo nel mutuo francese è come l’araba fenice: che chi sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa.

4. I mutui alla francese danneggiano il cliente che li estingue anticipatamente?

Un altro punto che merita una considerazione particolare è quello dell’estinzione anticipata.

Dal punto di vista finanziario, così come dal punto di vista giuridico, se al termine naturale del mutuo (cioè, nell’esempio fatto, al quinto anno) è restituito tutto il capitale e sono pagati tutti gli interessi, non importa come siano costruite le rate. Che, all’inizio, si restituisca più capitale e meno interessi, che tutte le rate incorporino la stessa quota capitale e la stessa quota interessi, o che si restituisca all’inizio più interessi e meno capitale il risultato – cioè il TAE – non cambia.

Se, però, il mutuo è estinto anticipatamente, il modo con cui è costruita la rata importa, perché il TAE cambia.

Abbiamo infatti visto che, alla scadenza del primo anno, chi ha preso 100.000 euro al 5% deve pagare 5.000 euro.

Nella prima rata fissa, di 23.097 euro, di un mutuo alla francese sono incorporati interessi per 5.000 euro. Quindi, chi volesse estinguere il mutuo dopo il pagamento della prima rata, dovrebbe restituire 100.000 – 18.097 = 81.903 euro: sicché ciascuno, nel rispetto del patto contrattuale, avrebbe preso e dato ciò che, per contratto, doveva prendere e dare.

In un mutuo senza restituzione rateale, di parti importo e pari saggio annuo d’interesse (100.000 al 5%), nessuno dubita che il mutuatario si obblighi a restituire tutta la somma maggiorata degli interessi prodotti in 1 anno: cioè un montante di 105.000 euro.

Ma lo stesso montante restituisce anche chi abbia preso in prestito quella stessa somma al saggio annuo del 5% obbligandosi a restituirla ratealmente in 5 rate annuali: se questo mutuo quinquennale è estinto subito dopo il pagamento della prima rata di 23.097 (I rata), il mutuatario deve aggiungerne 81.903 (debito residuo): il totale è sempre 105.000 euro!

Dunque, chi sostiene che se il mutuo è estinto anticipatamente si deve riformulare il piano di rimborso imputando alla prima rata più capitale e meno interessi, giungendo così a immaginare un debito residuo minore di 81.903 euro, altera il TAE e viola i patti contrattuali.

Anche sotto questo profilo, dunque, l’ammortamento alla francese non solleva problemi.

5. Perché il mercato bancario offre, quasi esclusivamente, mutui con ammortamento alla francese?

Il punto veramente centrale sollevato dai mutui francesi, secondo me, resta un altro, e non è quello sul quale l’ordinanza di rimessione chiama espressamente a pronunciarsi le Sezioni unite: perché il mercato bancario offre, quasi esclusivamente, mutui con ammortamento alla francese?

Si può convenire sul fatto che i clienti preferiscano di regola rate fisse piuttosto che rate decrescenti, per la semplice ragione che esiste una tendenza, confortata da evidenze di finanza comportamentale, a sovrastimare le proprie capacità economiche future, ma il fatto che di regola sia così non vuol dire che la rata fissa sia la soluzione migliore per ogni cliente.

Anche se, tendenzialmente, il cliente preferisce rate di importo costante, vi potrebbe essere pure chi, per mille ragioni, preferisce pagare rate più alte prima e più leggere dopo, privilegiando dunque un mutuo all’italiana (perché, in forza dell’attuale regime pensionistico contributivo, è sicuro che l’ultimo stipendio sarà anche molto maggiore della prima pensione: ci si ricorda delle buste arancioni che l’INPS di Boeri fece recapitare a casa di tutti i dipendenti italiani? ) oppure chi, al contrario, preferisce pagare solo interessi all’inizio e tutto il capitale alla fine (perché sta per andare in pensione e sa che, tra qualche anno, arriverà il TFR; perché, per ragioni di convenienza fiscale, preferisce “scaricare” più interessi nei primi anni; etc. etc.).

Perché privare questi soggetti della possibilità di fare il mutuo più adatto, “obbligandoli” a fare solo mutui a rate costanti? In questi casi, nel mercato dei mutui bancari il cliente troverebbe il prodotto che cerca?

La questione è, evidentemente, di diretto rilievo antitrust e meriterebbe di essere indagata sotto il profilo del conscious parallelism e delle pratiche concordate.

6. Quando propongono mutui alla francese, le banche ne spiegano adeguatamente tutte le implicazioni finanziarie?

La sostanziale assenza – almeno nel mercato dei prestiti ai consumatori – di mutui diversi da quello francese pone una questione di trasparenza precontrattuale, cioè di rispetto degli artt. 120-novies e 124 T.U.B., dettati l’uno per il credito immobiliare e l’altro per il credito al consumo e che prescrivono una regola sostanzialmente identica: il finanziatore deve consentire al mutuatario di valutare le implicazioni del contratto di credito e di comprendere quale sia più adeguato alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria.

È, questa, una trasparenza su cui molto poco ci si interroga (come dimostra, a tacer d’altro, l’assenza pressoché totale di giurisprudenza sull’art. 120-novies TUB, pur introdotto da quasi 8 anni) ma che meriterebbe, invece, la dovuta attenzione. E proprio il caso dei mutui con piano di ammortamento alla francese spiega perché.

Infatti, se è vero che, ceteris paribus, tutti i mutui sono parimenti onerosi, non è però vero che, per il cliente in carne e ossa, ogni mutuo è uguale a un altro. Né – questa è la mia tesi – si può sostenere che la banca adempia tutti i suoi obblighi precontrattuali nei confronti dei consumatori esclusivamente fornendo tutte le informazioni che deve dare per legge.

La tesi per cui, date tutte le informazioni per legge dovute, il cliente è da solo in grado di dedurre la “costruzione” della rata [3] si può argomentare solo a patto di immaginare consumatori così ben educati finanziariamente da saper “processare” tutte le informazioni ricevute: clienti così finanziariamente alfabetizzati da saper intuire, se non addirittura comprendere, tutte le implicazioni economico-finanziarie delle informazioni ricevute. Ma non credo che, nonostante tutti gli sforzi che la Banca d’Italia fa ormai da anni in questa direzione, questi consumatori, al giorno d’oggi, già esistano.

In altre parole, oltre a dare tutte le informazioni che deve, quando propone un mutuo a rata costante la banca dovrebbe dare al cliente anche tutti i chiarimenti necessari a fargli scegliere il contratto effettivamente più adatto alle sue effettive esigenze e alla sua situazione finanziaria. E, per raggiungere questo scopo, non basta una trasparente esplicitazione del TAE(G) né delle altre informazioni precontrattuali obbligatorie, perché occorre, come il TUB prescrive, che il senso di queste informazioni sia spiegato: anzi, per usare le parole della direttiva 2014/17 e, oggi, della direttiva 2023/2225, adeguatamente spiegato.

Nel caso già ipotizzato del mutuatario prossimo alla pensione, per nulla fantasioso, un solerte funzionario di banca dovrebbe spiegare adeguatamente al cliente le implicazioni finanziarie del mutuo a rate costanti: cioè metterlo in condizioni di capire che, con ogni probabilità, per lui è più adatto un mutuo con piano di ammortamento all’italiana: nei primi 5 anni pagherà di più, avendo un reddito certo più altro, nei secondi 5 anni pagherà di meno, perché avrà un reddito certo più basso.

Ma tanto, almeno a mia conoscenza, non accade mai, nonostante: a) come già ricordato, l’art. 120-novies, c. 5, TUB [4] obblighi la banca a fornire chiarimenti adeguati in modo che il cliente possa valutare se il contratto di credito sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria; b) la direttiva 2023/2225 sviluppi ulteriormente l’obbligo di dare spiegazioni adeguate: si vedano sia l’art. 12 [5], sia, soprattutto, il considerando 45 [6].

Pertanto, solo dopo aver chiarito che non basta dare le informazioni ma occorre anche spiegarle, si può senza difficoltà affermare che, “una volta concordati l’importo e la durata del prestito, la periodicità delle rate e il T.A.E., l’unico modo che il cliente potrebbe in teoria avere a disposizione per pagare meno interessi non è né segreto, né occulto [ma] del tutto ovvio: occorre che nella prima parte del rapporto creditizio il cliente paghi rate di importo più elevato [rispetto alla] rata costante prevista dal piano di ammortamento alla francese” [7].

Si coglie qui il legame tra le spiegazioni adeguate e la trasparenza: il regolamento è trasparente se contiene tutte le informazioni che deve contenere, a condizione che, nella fase precontrattuale, la banca spieghi il senso di quelle informazioni.

Sotto questo profilo, mi pare che la giurisprudenza, anche di legittimità, possa fare qualche passo avanti, poiché, come dimostrato, la legge esige che le informazioni (e le connesse spiegazioni) siano date nella fase precontrattuale: queste informazioni non servono dunque a verificare ex post se gli elementi forniti consentano l’esercizio della facoltà di verifica della corretta applicazione dei parametri individuati, ma a comprendere, ex ante, se gli elementi forniti consentono al consumatore di comprendere tutte le implicazioni finanziarie del prestito che sta per sottoscrivere.

7. Quale rimedio per il caso in cui la banca non adempia l’obbligo di dare spiegazioni adeguate?

Per essere molto chiari, si tratta di un problema che si pone anche se sono state rispettate le prescrizioni di forma/contenuto, se sono state date tutte le informazioni precontrattuali e se c’è conformità tra quanto detto prima e quanto scritto nel contratto: se, dunque, c’è stato rispetto sia dell’art. 116, sia dell’art. 117 TUB.

I questionari che le banche fanno compilare sono standardizzati e, per quanto a mia conoscenza, tra le domande non compare quella sulla possibile preferenza per una rata decrescente.

E allora?

E allora credo che il rimedio, essendo stata violata una regola di condotta precontrattuale, sia di tipo risarcitorio: ferma restando, come la Cassazione insegna ormai da quasi vent’anni, la validità del contratto.

Resta ovviamente il fatto che, per la responsabilità precontrattuale, occorre provare il nesso causale e, soprattutto, il danno: anche se, sotto questo profilo, sono facilmente intuibili le difficoltà, per il cliente, di dimostrare che, se gli fossero state adeguatamente spiegate tutte le implicazioni finanziarie del mutuo alla francese, avrebbe optato per un piano con ammortamento diverso e che, optando per tale ipotetico piano alternativo, avrebbe risparmiato qualcosa.

8. Infine: il metodo di ammortamento alla francese comporta indeterminatezza/indeterminabilità dell’oggetto del contratto di mutuo?

L’ordinanza di rimessione sospetta che i mutui a rate costanti, se non indicano il regime di capitalizzazione composta degli interessi debitori e/o se non chiariscono che il piano di rimborso è costruito alla francese, possano avere un oggetto indeterminato e/o indeterminabile, con possibile applicazione o dell’art. 117 TUB o del combinato disposto degli artt. 1346 e 1418 c.c.

Al riguardo osservo che, se il problema si pone riguardo a contratti di credito al consumo, entrambe le strade incontrano ostacoli probabilmente insormontabili nel diritto UE.

Secondo la Corte di Giustizia [8], infatti, sanzioni così rigorose come la “decadenza” del creditore dal diritto di pretendere gli interessi (cui accosterei la sanzione, molto simile dal punto di vista effettuale, dell’applicazione del tasso sostitutivo BOT), sono dissuasive e proporzionate solo se comminate quando la banca omette di dare le informazioni precontrattuali dovute.

La Corte aggiunge, però, che tra queste informazioni non c’è quella sul modo in cui è costruita la rata costante (testualmente: su “quale parte di ogni rata sarà destinata al rimborso del capitale”). E siccome la direttiva 2008/48 è una direttiva di armonizzazione massima, gli stati membri non possono prevedere l’obbligo di allegare il piano di ammortamento al contratto di credito.

Riguardo a contratti di credito immobiliare ai consumatori, il cui PIES, come per legge, riporti una tabella di ammortamento, il problema non dovrebbe porsi. Il piano di ammortamento è, infatti, quanto di più trasparente ci sia: perché dalla sua mera lettura il mutuatario è in grado di trarre informazioni circa la composizione della rata (cioè quanta parte del complessivo importo è imputata a capitale e quanta a interessi) e sul debito residuo (cioè su quanto dovrà pagare se deciderà di estinguere anticipatamente il mutuo).

E segnalo, comunque, che nel caso oggetto del rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Salerno, il piano di ammortamento c’era, sicché, dal mio punto di vista, il problema non aveva ragione di essere posto.

In disparte, dunque, le peculiarità del caso salernitano, il problema sembrerebbe porsi solo per i mutui non ai consumatori: il che, di per sé, cambia la prospettiva, perché il grado di competenze finanziarie che ci si può attendere (e che l’ordinamento attende) da imprese e pubbliche amministrazioni è maggiore di quelle che ci si può attendere dalle famiglie. Ed il problema sembrerebbe porsi non tanto per i mutui cui non sia allegato il piano di rimborso, ma, soprattutto, per i mutui che non forniscano gli elementi per il calcolo della rata.

Già quest’osservazione mi pare riduca di molto la dimensione effettiva del problema. In ogni caso, mi sembra pure utile rilevare il paradosso cui condurrebbe l’applicazione dell’art. 117, c. 7, TUB, cioè la sostituzione del tasso di interesse convenzionalmente pattuito con quello dei BOT dell’anno precedente: questo rimedio, infatti, postula una rimodulazione del piano di ammortamento con applicazione di un tasso di interesse più basso, ma non chiarisce con quale piano di ammortamento: anzi, sembrerebbe dare per presupposto che la rimodulazione segua lo stesso metodo del mutuo da rimodulare e dunque il metodo francese [9].

Né, personalmente, vedo la possibilità di immaginare il ricorso ad altri metodi di ammortamento alternativi perché non mi pare che esista un metodo di ammortamento per così dire “naturale” e dunque, in senso contrattuale, suppletivo.

Da questo punto di vista la strada, più radicale, della nullità per indeterminabilità dell’oggetto è, forse, più “gestibile”, se, per questa via, si fulmina con la nullità parziale necessaria la clausola sugli interessi, ritenendoli per conseguenza non dovuti, sulla falsariga dell’art. 1815, c. 2, per il mutuo usurario.

Se questa fosse la strada, non si darebbero problemi di rimodulazione, perché, depurato il mutuo di ogni interesse dovuto e non essendovi dunque più problema di costruzione della rata tra quota capitale e quota interessi, sarà facile dividere la somma mutuata per il numero delle rate convenute.

 

[*] Il presente contributo riproduce il testo, del quale riprende la forma discorsiva, della Relazione presentata al convegno sul “Mutuo bancario con ammortamento alla francese”, promosso dalla Scuola Superiore della Magistratura – Struttura di Formazione Decentrata della Corte di cassazione, tenutosi presso la Corte di Cassazione il 31 gennaio 2024. L’occasione spiega anche perché l’apparato bibliografico sia ridotto al minimo.

[1] Esemplarmente in questi termini de Luca, Interessi composti, preammortamento e costi occulti. Note sul mutuo alla francese e all’italiana, in BBTC, 2019, I, 372.

[2] Cacciafesta, Una proposta per superare il dialogo tra sordi in corso sull’ammortamento francese, con alcune osservazioni sul Taeg e sul Tan, in Riv. dir. comm., 2019, 373 ss.

[3] La si v. compiutamente esposta da App. Roma 30 gennaio 2020, in BBTC, 2021, II, p. 222, con nota di de Luca, Mutuo alla francese: anatocismo, indeterminatezza od altro. Di sicuro, c’è qualcosa che non va: “Si deve concludere che gli elementi forniti consentivano l’esercizio della facoltà di verifica della corretta applicazione dei parametri individuati, non essendo stato concretamente prospettato un vizio di formazione del consenso né un materiale impedimento all’esercizio di tale verifica, che l’accettazione del piano di ammortamento ricomprende l’accettazione delle modalità matematico finanziarie di costruzione del medesimo, che comunque sono esplicitate nel contratto, e che l’accettazione dell’applicazione di tali parametri e del loro risultato, trasfuso nel piano di ammortamento, deve ritenersi idoneamente operata dal mutuatario, quale corrispondente ad una valutazione complessiva di convenienza dell’autoregolamentazione degli interessi attuata nel contratto. Infatti secondo l’insegnamento della Corte di Legittimità il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto richiede semplicemente che siano identificati i criteri oggettivi in base ai quali fissare, anche facendo ricorso a calcoli di tipo matematico, l’esatto contenuto delle obbligazioni dedotte, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità, mentre non rileva la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale né la perizia richiesta per la sua esecuzione (v. Cass. n. 25205/14)”

[4] in attuazione dell’art. 16 della direttiva 2014/17, rubricato spiegazioni adeguate.

[5] Art. 12 (Spiegazioni adeguate): “Gli Stati membri provvedono affinché i creditori e, se del caso, gli intermediari del credito siano tenuti a fornire al consumatore spiegazioni adeguate sui contratti di credito ed eventuali servizi accessori proposti, in modo che il consumatore possa valutare se il contratto di credito e i servizi accessori proposti siano adatti alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria. Dette spiegazioni sono fornite prima della conclusione del contratto di credito e a titolo gratuito. Le spiegazioni comprendono gli elementi seguenti: a) le informazioni di cui agli articoli 10, 11 e 38; b) le caratteristiche essenziali del contratto di credito o dei servizi accessori proposti; c) gli effetti specifici che il contratto di credito o i servizi accessori proposti possono avere sul consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento o di ritardi di pagamento; d) quando servizi accessori sono aggregati a un contratto di credito, la precisazione se per ciascuno dei componenti del pacchetto è possibile recedere separatamente e con quali implicazioni per il consumatore”.

[6] considerando n. 45: “Nonostante le informazioni precontrattuali che gli devono essere fornite, il consumatore potrebbe ancora aver bisogno di ulteriore assistenza per decidere quale contratto di credito, tra quelli proposti, sia il più adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria. Pertanto gli Stati membri dovrebbero garantire che prima della conclusione di un contratto di credito i creditori e, ove applicabile, gli intermediari del credito assicurino tale assistenza sui prodotti di credito che offrono al consumatore, fornendo a titolo gratuito spiegazioni adeguate sulle informazioni rilevanti, incluse in particolare le caratteristiche essenziali dei prodotti offerti al consumatore in modo personalizzato, affinché il consumatore possa comprenderne i potenziali effetti sulla sua situazione economica, comprese le conseguenze giuridiche e finanziarie che potrebbero derivare dall’incorretta esecuzione degli obblighi contrattuali. I creditori e, ove applicabile, gli intermediari del credito dovrebbero adattare il modo in cui sono fornite le spiegazioni alle circostanze in cui il credito è offerto e al bisogno di assistenza del consumatore, tenendo conto della sua conoscenza ed esperienza in materia di credito e della natura dei singoli prodotti di credito offerti”.

[7] Di Marcello, Il mutuo con ammortamento “alla francese” tra norme attuali e prospettive future, in questa Rivista, 2024, p. 46. (v. al link https://www.dirittobancario.it/wp-content/uploads/2024/02/2024-Di-Marcello-Mutuo-ammortamento-francese.pdf)

[8] CGUE 9 novembre 2016 (caso Home Slovakia) che richiama sul punto CGUE 27 marzo 2014 (caso Crédit Lyonnais.

[9] Un problema ancora diverso sorge, poi, in materia di credito ai consumatori, là dove l’art. 125-bis, c. 7, TUB, prevede sì l’applicazione del tasso sostitutivo BOT, ma rimodula completamente il piano di rimborso, portandolo ex lege a 3 anni, anche qui senza chiarire il metodo di ammortamento che dovrebbe governare il nuovo piano di rimborso.

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