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Giurisprudenza

Fallimento: responsabilità degli amministratori di fatto e quantificazione del danno

8 Febbraio 2021

Federica De Gottardo, Dottoranda in diritto commerciale presso l’Università di Trento, Avvocato in Trento

Cassazione Civile, Sez. I, 8 ottobre 2020, n. 21730 – Pres. Cristiano, Rel. Falabella

Di cosa si parla in questo articolo

Mediante la sentenza de qua, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso proposto da due soci di una società fallita avverso il provvedimento con il quale la Corte d’Appello di Catanzaro (i) ha accertato in capo ai ricorrenti la qualifica di amministratori di fatto e (ii) ha condannato gli stessi al risarcimento del danno causato al patrimonio sociale, quantificato in misura pari alla differenza tra il passivo l’attivo fallimentare. Nello specifico, i ricorrenti hanno lamentato gli errori in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale laddove (i) ha ritenuto provata la qualità di amministratori di fatto degli stessi senza operare un’accorta indagine sulla sussistenza del carattere di sistematicità e completezza delle funzioni gestorie svolte e (ii) ha quantificato il danno mediante il criterio del deficit fallimentare pur in assenza dei presupposti stabiliti dalle Sezioni Unite con sentenza n. 9100/2015.

La Corte di Cassazione ha respinto entrambi i motivi di ricorso in quanto le prospettazioni dei ricorrenti non trovavano riscontro nei fatti di causa e nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello.

Quanto alla sussistenza dei presupposti per la figura dell’amministratore di fatto, la Suprema Corte, ritenuto che la Corte territoriale avesse accertato nel caso di specie il carattere sistematico e completo dell’ingerenza nelle funzioni gestorie, ha ribadito il principio ormai consolidato secondo cui “l’amministratore di fatto di una società di capitali, pur privo di un’investitura formale, esercita sotto il profilo sostanziale nell’ambito sociale un’influenza che trascende la titolarità delle funzioni, con poteri analoghi se non addirittura superiori a quelli spettanti agli amministratori di diritto, sicché può concorrere con questi ultimi a cagionare un danno alla società attraverso il compimento o l’omissione di atti di gestione”.

Con riguardo alla quantificazione del danno nell’azione di responsabilità contro gli amministratori, la Corte di Cassazione ha precisato come la Corte territoriale avesse correttamente osservato il rispetto del nesso causale, dal momento che “il dato relativo alla differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare è stato introdotto solo in quanto il danno accertato risultava superiore a quello di cui era stato domandato il risarcimento”. Al riguardo, la Suprema Corte ha pertanto statuito che “deve riconoscersi conforme al diritto la decisione di merito che, con riferimento all’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, comma 2, l. fall., quantifichi il danno avendo riguardo all’accertata colpevole dispersione di elementi dell’attivo patrimoniale da parte degli amministratori, oltre che al colpevole protrarsi di un’attività produttiva implicante l’assunzione di maggiori debiti della società, a nulla rilevando che l’importo oggetto di liquidazione sulla base di tali criteri sia ridotto a una minor somma, nella specie corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare, in ragione del limite quantitativo della pretesa fatta valere”.

 

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