Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ha chiarito che, la cancellazione delle società dal Registro delle Imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dalla L. Fall. , art. 10).
Pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo di cui agli artt. 299 c.p.c. e ss., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c..
Invero, qualora l’evento non sia stato reso noto nei modi di legge o si sia verificato quando renderlo noto in tali modi non sarebbe stato più possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena di inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, posto che la “stabilizzazione processuale” di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso.
Nel caso di specie, l’oggetto della materia del contendere trae origine dall’accoglimento della domanda attorea da parte del giudice di primo grado, promossa al fine di vedere accertata la risoluzione di un contratto preliminare per l’inutile decorso del termine della diffida ad adempiere inviata alla società convenuta.
Sennonché, la Corte d’Appello, proposta impugnazione da parte del socio unico della società estinta, dichiarava l’inammissibilità del gravame per carenza di legittimazione attiva dell’appellante.
In sede di ricorso alla Corte di Cassazione, si è sostenuta la violazione e la falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per non aver la Corte territoriale ritenuto ammissibile l’appello proposto dal socio unico della società estinta.
Ebbene, i giudici della Suprema Corte, richiamando alcuni passaggi argomentativi delle più rilevanti pronunzie in materia, hanno ribadito che, dall’entrata in vigore della novella legislativa del 2003, la cancellazione determina l’estinzione della società di capitali e la presunzione di estinzione della società di persone, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo.
Consegue il verificarsi di un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente.
Infatti, il disposto di cui all’art. 2495 c.c., comma 2, è stato ritenuto applicabile anche alla cancellazione volontaria delle società di persone dal Registro delle Imprese.
Rileva, dunque, l’opzione interpretativa della Cassazione secondo la quale, nei processi in corso, anche se non interrotti per mancata dichiarazione dell’evento interruttivo da parte del difensore, la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente ex art. 110 c.p.c. – vertendosi in ipotesi di successione a titolo universale – ai soci, i quali, per effetto della vicenda estintiva, divengono partecipi della comunione relativa ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione.
Utile, infine, rilevare che l’estinzione della società, determinando la costituzione di una comunione fra i soci in ordine ai beni – sia pure nei limiti e alle condizioni di cui all’art. 2312 c.c., comma 2, o all’art. 2495 c.c., comma 2 –,a seconda che si tratti di società di persone o di capitali, comporta altresì la personale responsabilità dei soci (e dei liquidatori, se in colpa circa il mancato pagamento) per i crediti insoddisfatti.
Per tale ragione, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso promosso, ritenendo il socio unico della società legittimo successore, diversamente da quanto affermato dai giudici del merito.