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Attualità

ESG e mercato immobiliare: un trend che condizionerà le strategie di investimento future

30 Novembre 2021

Federico Vanetti, Partner, Co-Head of Europe Environmental Protection Regulatory, Dentons

Di cosa si parla in questo articolo

ESG[1], green, sostenibilità, economia circolare sono termini e concetti che stanno sempre più prendendo forma anche nel mercato immobiliare.

Il tema è di grande attualità tra investitori, gestori e finanziatori, che dibattono gli scenari futuri, organizzandosi e definendo le proprie strategie di investimento.

Tuttavia, ad oggi, il quadro normativo è ancora piuttosto lacunoso, con il che ciascun attore è sostanzialmente chiamato a definire propri criteri e metodi di valutazione delle politiche sostenibili, gestionali e di investimento.

Con il presente contributo si intende fornire una breve panoramica sulle norme oggi già vigenti e sui possibili scenari futuri di investimento e di rischio per gli operatori del settore immobiliare.

Gli obblighi di informativa e trasparenza sui prodotti

A livello normativo, un primo passo fondamentale nella dimensione ESG è sicuramente rappresentato dal Regolamento EU 2088/2019, entrato in vigore il 10 marzo 2021 e di progressiva applicazione[2].

Tale Regolamento, in estrema sintesi, impone ai partecipanti ai mercati finanziari e, quindi, anche a gran parte dei players del mercato immobiliare[3], un obbligo di trasparenza e di informativa pubblica sulle proprie strategie.

Obblighi di trasparenza sono posti sia in capo ai soggetti (i.e. partecipanti ai mercati finanziari e consulenti finanziari) (entity level), sia in relazione ai relativi a prodotti finanziari (product level).

Con particolar riferimento al mercato immobiliare, il primo aspetto, quindi, riguarda – tra le altre cose – la governance dell’operatore, ma potenzialmente anche quella delle controparti nelle transazioni immobiliari. Si pensi, ad esempio, agli sviluppatori che programmano nuovi progetti di trasformazione urbanistica, di rigenerazione urbana e similari che potrebbero poi confluire in fondi immobiliari gestiti da una SGR. In una più ampia ottica di sostenibilità, dovrà essere valutata e tenuta in considerazione anche la governance del developer.

Il secondo aspetto, invece, riguarda la tipologia di prodotti mediante i quali verranno implementate le medesime transazioni e, quindi, l’acquisizione di portafogli immobiliari, l’acquisizione dei singoli assets ovvero l’implementazione di progetti di sviluppo.

I partecipanti ai mercati finanziari, quindi, devono comunicare al mercato la propria politica e, quindi, anche la strategia di investimento.

Il Regolamento prevede che i prodotti finanziari possano avere ad oggetto investimenti sostenibili (art. 9 – dark green), ovvero promuovere caratteristiche anche ambientali e/o sociali (art. 8 – light green) e, infine, altri prodotti immobiliari non caratterizzati da elementi ambientali o green (art. 6 – mainstream).

La disciplina europea entrata recentemente in vigore, quindi, non impone agli operatori di concentrarsi su investimenti sostenibili, ma obbliga gli stessi unicamente a comunicare le proprie linee strategiche di riferimento, così che i c.d. investitori finali possano consapevolmente indirizzare le proprie scelte nel mercato.

In tal senso, è opportuno rilevare che la c.d. green economy rappresenta già un obiettivo di molti players e di molti investitori finali che stanno determinando una evoluzione del mercato immobiliare verso “prodotti sostenibili” (dark green) a discapito di altri prodotti che, con il passare del tempo, rischieranno di “uscire” dal mercato.

Con particolare riferimento al segmento immobiliare, quindi, i partecipanti al mercato finanziario relativo a tale specifico settore dovranno, da un lato, definire la propria governance interna in coerenza con l’informativa comunicata, dall’altro, dovranno valutare gli assets, i progetti e i portafogli immobiliari su cui concentrare gli investimenti alla base dei propri prodotti finanziari da collocare nel mercato.

Come detto, il Regolamento non impone di investire in immobili “green”, ma impone agli operatori di definire e comunicare la propria politica di investimento che non potrà che condizionare il mercato immobiliare.

Si pensi, ad esempio, ad un operatore immobiliare che adotti una strategia “dark green”, il quale – di fatto – sarà vincolato ad investire in prodotti immobiliari “sostenibili” che siano associati a tale categoria.

Tale scelta, se da un lato può limitare le opportunità di investimento in termini di prodotti disponibili, dall’altro, potrebbe consentire un maggiore accesso alla leva finanziaria “green” con eventuali formule incentivanti.

Di contro, operatori che comunicano di perseguire una politica su “altri prodotti” potranno valutare qualunque tipologia di prodotto immobiliare. Tale scelta, tuttavia, potrebbe risultare miope nel medio e lungo periodo.

Qualora, infatti, la maggioranza degli operatori dovesse optare in futuro per una scelta di strategia di investimento “sostenibile”, si determinerebbe di fatto una riorganizzazione del mercato immobiliare a favore di asset e portafogli “green”, a discapito del “vecchio” patrimonio immobiliare esistente, con conseguente futura difficoltà nella fase di dismissione di questi secondi prodotti[4].

In tale ottica risulta, quindi, necessario comprendere quali prodotti immobiliari rientrino tra quelli sostenibili e quali, invece, no.

I criteri di sostenibilità dei prodotti immobiliari

Invero, allo stato, le linee guida disponibili non consentono in modo univoco di identificare e qualificare i prodotti “sostenibili” distinguendoli dagli altri prodotti immobiliari light green o ordinari[5].

Molti operatori e le stesse agenzie di rating, quindi, elaborano propri criteri di riferimento attraverso cui valutano un prodotto per associarlo poi alla strategia comunicata al mercato.

L’assenza di criteri chiari e univoci comporta di per sé un rischio evidente per gli operatori che comunicheranno strategie improntate a scelte “sostenibili”.

Qualora, infatti, questi dovessero adottare criteri di valutazione errati o comunque messi in discussione da future linee guida o da futuri criteri normativi che entreranno in vigore, potrebbe verificarsi il concreto rischio di contestazioni da parte delle Autorità di vigilanza o anche da parte degli investitori finali, i quali potranno lamentare una violazione degli obblighi di informativa e trasparenza nel caso in cui i prodotti posizionati nel mercato non siano effettivamente coerenti con la strategia di investimento dichiarata.

Il problema, invero, non è futuro e teorico, ma rappresenta già un rischio attuale.

Prova ne è il caso DWS apparso recentemente sui quotidiani internazionali a seguito dell’avvio da parte delle Autorità di vigilanza competenti di una indagine sulle metriche ESG adottate dal gruppo[6].

Un aiuto nella definizione dei criteri da adottare rispetto ai prodotti può essere individuato nel Regolamento (UE) 2020/852 del 18 giugno 2020 (Regolamento Tassonomia), il quale introduce una disciplina più di dettaglio per l’inquadramento di un «prodotto sostenibile».

Il Regolamento Tassonomia, in particolare, fissa alcuni «obiettivi ambientali»:

  1. la mitigazione dei cambiamenti climatici;
  2. l’adattamento ai cambiamenti climatici;
  3. l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine;
  4. la transizione verso un’economia circolare;
  5. la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento;
  6. la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

Gli artt. 9, 10 e 11 del medesimo Regolamento, quindi, forniscono criteri volti a verificare se i prodotti soddisfino effettivamente il raggiungimento degli obiettivi di cui sopra.

Tale disciplina europea, tuttavia, può essere di supporto, ma non è sicuramente sufficiente a definire le concrete metodologie di valutazione di prodotti “sostenibili” e, più in generale, delle politiche e strategie ESG perseguite dai diversi players.

Infatti, gli obiettivi e i criteri di valutazione introdotti dal Regolamento Tassonomia sono incentrati sulla componente ambientale dei prodotti e, in ogni caso, risultano molto ampi e generici, con il che gli operatori godono ancora di grande discrezionalità nel definire le proprie metodiche di valutazione.

È bene ricordare, peraltro, che gli aspetti ambientali rappresentano solo una delle componenti di sostenibilità, ma – soprattutto in ottica ESG – anche ulteriori aspetti assumono rilievo, quali la componente sociale del prodotto e la governance (non solo quella aziendale, ma anche quella del prodotto).

Per comprendere meglio la complessità della questione, si prenda ad esempio un progetto di sviluppo immobiliare o un portafoglio immobiliare a reddito.

Innanzitutto, dovranno essere tenuti in considerazione gli obiettivi ambientali del Regolamento Tassonomia e, quindi, dovrà essere considerato l’impatto sui cambiamenti climatici, l’utilizzo delle risorse idriche ed gli aspetti legati all’economica circolare correlati all’immobile. Vengono in mente, in particolare, le performance energetiche e l’utilizzo dei materiali costruttivi.

Tuttavia, gli elementi ambientali vanno ben oltre a tali aspetti, in quanto occorrerà tenere in considerazione anche altri parametri non espressamente considerati dal Regolamento, quali il consumo di suolo, la gestione delle eventuali bonifiche e dei materiali di scavo (rispetto ai quali sono da previlegiare interventi in situ e riutilizzo), il sistema della mobilità correlato all’uso dell’asset[7], la gestione dei rifiuti prodotti dagli utilizzatori, ecc.

La sostenibilità del prodotto immobiliare – come detto – non può limitarsi solo agli aspetti ambientali, ma deve tenere in debita considerazione anche gli aspetti sociali e di governance.

Per quanto riguarda i primi, assumono rilevanza le categorie di utilizzatori futuri (mix funzionali integrati a livello sociale), i servizi alla persona, gli spazi verdi, le urbanizzazioni secondarie che caratterizzano il prodotto immobiliare.

Con riferimento, invece, agli aspetti di governance del prodotto, assumerà sempre più importanza la modalità di gestione dell’immobile. Le nuove strategie immobiliari stanno pian piano abbandonando la dinamica del “condominio” come modello gestionale, a favore di sistemi più sofisticati che garantiscano un corretto mantenimento del patrimonio immobiliare, una organizzazione di servizi agli utenti e un monitoraggio delle performance ambientali e sociali dell’immobile.

Sempre nell’ottica di una corretta valutazione del prodotto immobiliare “sostenibile”, occorre altresì considerare che la semplice conformità dell’immobile alla normativa applicabile (anche rispetto a performance energetiche richieste dai regolamenti comunali) non significa automaticamente che l’immobile in questione possa essere inquadrato quale “prodotto sostenibile”.

La normativa edilizia ed urbanistica di riferimento, infatti, è spesso risalente nel tempo e si riferisce a parametri ormai superati se paragonati alle best practice progettuali e costruttive di mercato.

Proprio le best practice, dunque, possono essere assunte a riferimento per la definizione dei criteri di valutazione dei prodotti immobiliari.

Tuttavia, mentre alcuni specifici aspetti sono stati ormai codificati in pratiche consolidate e misurabili (si pensi, ad esempio, alle certificazioni LEED degli edifici), altri aspetti ambientali, sociali e di governance non trovano riscontri puntuali di riferimento, ma richiedono valutazioni su misura.

In tal senso, oltre alle valutazioni delle agenzie di rating, potrebbe risultare utile commissionare attività di due diligence ad hoc a consulenti specializzati, chiamati a valutare un progetto e/o un immobile non più o non solo in base alla normativa applicabile, ma anche con riferimento alle migliori prassi vigenti in quel momento.

L’esercizio non è banale, in quanto tali consulenti saranno chiamati ad esprimere una propria valutazione ben oltre l’aspetto normativo, con la sfida di essere in grado di valutare tutte le sfaccettature che possono caratterizzare la componente ESG di un immobile, anticipando anche nuove metriche di valutazione.

Questo sforzo iniziale da parte degli operatori, non solo consentirebbe di mitigare il rischio di contestazione futura sulle metodiche utilizzate, ma potrebbe altresì consentire di agevolare la formazione di linee guida specifiche che, a loro volta, potrebbero poi essere mutuate in provvedimenti normativi veri e propri.

 

[1] Acronimo di Environmental, Social and Governance, ovvero i tre fattori centrali nella misurazione della sostenibilità di un investimento.

[2] Una parte degli obblighi è già vigente e altri nuovi obblighi entreranno in vigore il 1 gennaio 2022 con previsione di una piena applicazione dello stesso entro il 1 gennaio 2023.

[3] Tra cui, ad esempio, i gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA), enti pensionistici, imprese di investimento che forniscono servizi di gestione del portafoglio, ecc.

[4] Salvo il caso, ovviamente, che tale dismissione non sia associata ad un intervento di riqualificazione. Maggiori difficoltà di dismissione, ovviamente, incontreranno quei portafogli immobiliari a reddito, che nel corso degli anni non hanno beneficiato di interventi edilizi straordinari e che, essendo occupati, non potranno essere associati ad interventi di riqualificazione “sostenibili”.

[5] Sono in corso di redazione e pubblicazione nuove disposizioni europee che forniranno ulteriori parametri di valutazione.

[6] https://www.milanofinanza.it/news/faro-sec-su-dws-deutsche-bank-indagine-sulle-metriche-esg-del-gruppo-202108261258231145; https://www.repubblica.it/economia/2021/09/07/news/azionisti_e_vigilanti_all_attacco_della_finanza_verde_per_finta-316897791/

[7] Anche nell’ottica di gestione dell’asset. In tal caso, risulterà sempre più rilevante la figura del Mobility Manager da parte degli utilizzatori o anche da part del condominio.

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