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Approfondimenti

Esenzione IVA per i servizi resi dalle advisory company dei fondi di private equity

30 Novembre 2021

Fabio Brunelli, Partner, Di Tanno Associati

Stefano Cacace, Di Tanno Associati

Di cosa si parla in questo articolo

L’Amministrazione Finanziaria nell’ultimo anno ha fornito importanti chiarimenti circa l’ambito applicativo dell’esenzione IVA prevista dall’art. 10, comma 1 n. 1), del DPR 633/1972 in materia di “gestione di fondi comuni di investimento”. Ben tre sono state le risposte a interpello dell’Agenzia delle Entrate – la n. 628 del 2020 e le nn. 527 e 631 del 2021 – che hanno trattato la disposizione in esame con particolare riferimento ai servizi di consulenza affidati dai gestori di fondi di investimento alle c.d. advisory company.

In passato detti servizi, ove resi con riferimento a fondi alternativi (FIA), erano generalmente considerati imponibili dagli operatori del settore. Ciò in quanto (i) da un lato le advisory company a differenza delle SGR non sono soggetti autorizzati all’esercizio della gestione collettiva, (ii) dall’altro lato – essendo i fondi in questione spesso attivi nel settore del private equity – i servizi esternalizzati venivano prevalentemente inquadrati come consulenze nell’acquisizione di imprese (M&A)[1].

Riguardo al primo aspetto, l’orientamento interpretativo maturato sul punto dall’Agenzia delle Entrate (alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE) aveva già ritenuto il regime di esenzione applicabile anche agli outsourcer non autorizzati alla gestione collettiva, come si evince da un precedente riguardante i fondi immobiliari[2].

Per quanto concerne invece il secondo aspetto, anche alla luce di una posizione del 2017 del Comitato IVA UE, si dubitava in qualche modo che la nozione di fondi rilevante ai fini dell’esenzione dovesse limitarsi ai soli OICVM (collettori di risparmio “diffusi” sul mercato e rivolti a piccoli investitori) e non includesse anche i FIA (rivolti a investitori qualificati e finalizzati all’acquisizione di imprese). Ma soprattutto, residuava ancora da chiarire la concreta individuazione delle prestazioni dell’advisory company effettivamente qualificabili come “specifiche ed essenziali” al fine di supportare la gestione collettiva del risparmio e dunque – secondo i canoni comunitari – interessate dal regime di esenzione.

Le risposte da ultimo pubblicate – che da un lato adottano una nozione di fondo coerente con la più recente giurisprudenza comunitaria, dall’altro forniscono una esemplificazione e una casistica esauriente di prestazioni da considerare esenti – si inseriscono in tale solco e, completando i temi interpretativi che erano ancora aperti, contribuiscono pro futuro a dare quantomeno maggiore certezza al comparto in relazione ad un aspetto indubbiamente rilevante, sia per i destinatari che per i fornitori di tali servizi.

Nozione di fondi di investimento rilevante ai fini dell’esenzione

Come noto, l’esenzione in esame costituisce l’attuazione della norma comunitaria di cui all’art. 135, comma 1 g), della Direttiva 2006/112/CE, che riguarda la “gestione di fondi di investimento quali sono definiti dagli Stati membri”.

La nozione di “fondi di investimento”, demandata alla legislazione domestica degli Stati membri, risente altresì dell’armonizzazione compiuta a livello comunitario dalla Direttiva 85/61/CEE, che ha disciplinato gli OICVM, e poi dalla Direttiva “AIFM” 2011/61/UE, che ha dettato talune disposizioni in tema di vigilanza dei gestori (“GEFIA”) di fondi alternativi (FIA).  Al riguardo, il prevalente indirizzo della Corte di Giustizia nell’enucleare la nozione di fondi rilevante ai fini dell’esenzione ha statuito che, oltre agli OICVM disciplinati dalla Direttiva 85/61/CEE, vi rientrano senz’altro anche gli organismi con caratteristiche identiche, che pongano in essere le stesse operazioni ovvero mostrino caratteristiche sufficientemente compatibili per risultare in concorrenza con tali strumenti di investimento[3]. In particolare, secondo la sentenza del 9.12.2015 resa nella causa C-595/13, affinché un fondo sia comparabile ad un OICVM, occorre che:

a) sia sottoposto a “vigilanza statale specifica”;

b) sia partecipato da più investitori che abbiano diritto ai benefici o sopportino il rischio connesso alla relativa gestione;

c) il rendimento dell’investimento realizzato dipenda esclusivamente dai risultati della gestione del fondo medesimo.

In tale contesto, tuttavia, nel 2017 il Comitato IVA UE[4] – chiamato ad analizzare se, a seguito dell’emanazione della Direttiva AIFM, i FIA potessero qualificarsi come fondi di investimento ai fini dell’esenzione – aveva enunciato una nozione più restrittiva di quella elaborata dalla giurisprudenza cennata. Infatti, secondo questa interpretazione, ai fini dell’assimilazione dovrebbe essere verificato (nell’ambito di un’analisi da svolgere “caso per caso”) anche che il FIA sia soggetto alle stesse condizioni di competizione e sia rivolto alla stessa cerchia di investitori di un OICVM.

Tale posizione, invero, sembra frutto più che altro di un richiamo alla nozione di “piccoli investitori” contenuto nella sentenza Abbey National del 4.5.2006 (C-169/04) quale elemento caratterizzante l’esenzione IVA nell’ambito della gestione collettiva[5], richiamo tuttavia non più riproposto dalla successiva giurisprudenza della Corte di Giustizia, come osservato anche dall’Avvocato Generale nelle conclusioni rese nella causa C-44/12[6].

La giurisprudenza comunitaria in effetti non ha poi ulteriormente valorizzato la circostanza che il fondo si rivolga o meno alla stessa cerchia di investitori di un OICVM, giudicando dirimente ai fini dell’assimilazione la sussistenza dei requisiti a) b) e c) sopra indicati (in particolare la vigilanza specifica esercitata sulla base della disciplina regolamentare domestica) e ammettendo che possano esservi anche investitori che partecipano a tali organismi con investimenti di importo rilevante[7].

Cionondimeno, quanto affermato dal Comitato IVA – benché privo di portata normativa[8] e non costituente interpretazione ufficiale dell’UE, oltre che non aggiornato rispetto all’orientamento giurisprudenziale[9] – aveva generato qualche dubbio presso gli operatori circa il fatto che i FIA fossero interessati dall’esenzione, posto che questi ultimi, in ragione delle politiche di investimento perseguite, si rivolgono generalmente ad una platea di investitori (professionali o con soglie di accesso elevate) ben diversi da quelli ai quali sono destinati i fondi di cui alla Direttiva 85/61/CEE.

In tale situazione di incertezza, le risposte da ultimo fornite dall’Agenzia delle Entrate (prima fra tutte la n. 628/2020) sui servizi resi dalle advisory company costituiscono un’importante fonte di chiarezza, in quanto confermano – sulla scorta di altri precedenti concernenti altri settori della gestione collettiva[10] – che la posizione restrittiva del Comitato IVA è rimasta “lettera morta”. È dunque oggi assodato che un FIA, quindi anche un fondo di private equity, è equiparabile ai fini IVA ad un OICVM e rientra nel trattamento di esenzione qualora siano verificati i tre requisiti individuati dalla giurisprudenza comunitaria sopra indicata. Non costituisce invece un elemento discriminante la selezione di accesso all’investimento che distingue i FIA dagli OICVM.

L’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, pertanto, rimane aderente all’orientamento giurisprudenziale comunitario prevalente, che comunque era rimasto immutato anche successivamente al 2017 e che ha anzi confermato come la definizione di fondo d’investimento non sia correlata alla tipologia di investitore e all’entità dell’investimento, come si evince anche dalla sentenza del 2.7.2020 resa nella causa C-231/19[11].

Ciò posto, per quanto concerne l’applicazione dei principi sopra enunciati a fattispecie che vedono coinvolti fondi italiani, è opportuno considerare che a ben guardare, ai fini dell’esenzione in oggetto, il tema della “assimilabilità” analizzato dalla giurisprudenza sembrerebbe in realtà porsi per organismi che non siano già definiti come “fondi di investimento” nelle legislazioni nazionali, a cui si ricorda l’art. 135, comma 1 g), della Direttiva 2006/112/CE fa rinvio (l’esenzione è prevista per la “gestione di fondi di investimento quali sono definiti dagli Stati membri”).

In effetti, l’esercizio della riserva posta a favore degli Stati membri – secondo l’orientamento della Corte di Giustizia UE (sent. del 28.6.2007, causa C-363/05 e del 4.5.2006, causa C-169/04) – pare trovare dei limiti unicamente nell’esigenza di impedire lesioni del principio di neutralità dell’IVA e discriminazioni sulla base della natura giuridica del veicolo di investimento collettivo, allo scopo ultimo di rendere indifferenti le scelte degli investitori tra impiego diretto in titoli e investimento in quote dell’organismo. Anche nella sentenza del 7.12.2015 (causa C-593/13)[12] la Corte ha affermato che “tale potere definitorio degli Stati membri non può, senza negare i termini stessi di “fondi comuni di investimento”, selezionare quali tra detti fondi beneficino dell’esenzione e quali no. Detta disposizione gli conferisce quindi esclusivamente il potere di definire, nel suo diritto interno, i fondi corrispondenti alla nozione di “fondi comuni di investimento”“.

Sembra quindi che la questione della assimilabilità riguardi più che altro gli organismi di investimento collettivo non previsti nella definizione normativa di fondi ovvero esclusi espressamente ai fini dell’esenzione nello Stato membro interessato[13], che tuttavia avendo caratteristiche affini ai fondi, in ottica di neutralità e di non discriminazione, dovrebbero comunque rilevare ai fini dell’esenzione.

Detta questione non dovrebbe porsi al contrario per organismi che sono già disciplinati come fondi e per i quali non sono previste deroghe all’esenzione dalla disciplina nazionale di volta in volta considerata. Il “sindacato” sull’esercizio della riserva da parte dello Stato membro pare in definitiva sussistere qualora uno strumento di investimento collettivo sia legislativamente escluso dall’esenzione (per verificare la legittimità di tale limitazione), ma non anche al fine di “confermare” che un organismo che è già definito dallo Stato membro come fondo possa beneficiare dell’esenzione.

Dunque, dovrebbero ritenersi senz’altro ed in ogni caso “qualificati” ai fini dell’esenzione quegli organismi che si qualificano come fondi secondo la legislazione degli Stati membri (come peraltro statuito anche nella sentenza del 2.7.2020 resa nella causa C-231/19).

E quanto affermato dovrebbe valere sia per i servizi resi dal gestore sia per quelli forniti dall’advisory company.

Si tratta di una conclusione coerente con l’art. 135, comma 1 g), della Direttiva 2006/112/CE in tema di esenzione dei servizi di gestione collettiva: se per l’esenzione delle prestazioni rese dal gestore ciò che rileva è la definizione domestica di fondo, lo stesso dovrebbe valere anche ai fini dell’esenzione delle prestazioni esternalizzate (che si fonda sulla medesima disposizione normativa).

Orbene, posto che nell’ordinamento italiano, ai sensi del D.Lgs. n. 58/1998[14], sono ricompresi nella definizione di “fondo comune d’investimento” sia i FIA che gli OICVM, in quanto si qualificano entrambi come organismi d’investimento collettivo (“OICR”), non essendovi inoltre alcuna disposizione che circoscrive a determinati strumenti l’ambito applicativo dell’art. 10 comma 1 n. 1, appare poco chiara la ragione per la quale l’Agenzia delle Entrate nelle risposte in commento faccia sempre riferimento, ai fini dell’esenzione IVA, all’assimilabilità di un FIA ad un OICVM e reputi necessaria – con una sorta di clausola “di stile”[15] – la dimostrazione circa la ricorrenza dei tre requisiti (a, b e c) sopra indicati.

In realtà, alla luce del rinvio operato dalla normativa IVA comunitaria alla disciplina domestica di ciascun Stato membro, essendo l’equiparabilità del FIA ad un OICVM già “codificata” nel diritto italiano, l’assimilazione ai fini dell’esenzione IVA tra le due tipologie di organismi dovrebbe operare automaticamente e senza bisogno di fornire alcuna prova ulteriore “in concreto” circa la reciproca “concorrenzialità” di tali strumenti di investimento.

In conclusione, posto che le risposte dell’Agenzia delle Entrate sono senz’altro utili a chiarire l’applicabilità dell’esenzione non solo agli OICVM ma anche ai FIA, vale comunque la pena di chiedersi se, per quanto concerne gli organismi di diritto italiano, l’assimilazione tra detti OICR non debba desumersi già a priori, senza bisogno di alcuna indagine specifica[16], proprio alla luce della recente giurisprudenza comunitaria.

Qualora i servizi siano resi in relazione alla gestione di fondi istituiti all’estero in base al diritto locale, la verifica dei tre requisiti in questione potrebbe rendersi invece necessaria[17].

Caratteristiche dei servizi esternalizzati esenti

Le risposte dell’Agenzia delle Entrate contribuiscono a enucleare “in concreto” la nozione di servizi consulenziali prestati dalle advisory company suscettibili di rientrare nell’esenzione IVA di cui all’art. 10, comma 1 n. 1), del DPR 633/1972.

Come noto, le prestazioni rese dal gestore rientranti nel novero dei servizi di gestione collettiva individuati dalle Direttive 85/61/CEE e AIMF appartengono giocoforza all’ambito applicativo di tale disposizione, in virtù del requisito dell’autorizzazione da parte dell’autorità di vigilanza. Allo stesso modo, dette prestazioni si qualificano senz’altro come servizi di gestione di fondi comuni di investimento qualora siano rese da un soggetto autorizzato che agisce in forza di una delega del gestore[18]. Al contrario, le prestazioni rese da soggetti terzi privi di autorizzazione e al di fuori di una delega di gestione, che non implicano alcun potere decisionale in merito alle scelte di investimento e disinvestimento (rimesse sempre al gestore), esulano dall’attività di gestione collettiva in senso stretto; tuttavia non per questo esse sono automaticamente imponibili[19] in quanto, a certe condizioni, possono essere ricondotte ad una funzione di supporto della gestione collettiva soggetta anch’essa ad esenzione.

Detta riconducibilità, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, sussiste qualora i servizi resi formino “un insieme distinto, valutato globalmente, che abbia l’effetto di adempiere le funzioni specifiche ed essenziali” del servizio di gestione di un fondo comune d’investimento[20]. Detta locuzione era stata fatta propria dall’Amministrazione finanziaria già nella ris. n. 61/E/2018, senza che tuttavia fossero date, prima delle risposte in commento, concrete specificazioni ovvero esemplificazioni di fattispecie nel quale la verifica di tale requisito ha esito positivo[21].

Orbene, con la risposta n. 628/2020[22] l’Agenzia si esprime nel senso dell’applicabilità dell’esenzione con riferimento ai servizi di consulenza prestati da un’advisory company relativi all’individuazione – in nome e per conto del gestore del FIA – di nuove opportunità d’investimento e disinvestimento. In particolare, i servizi contrattualmente previsti consistevano in: (i) organizzazione di incontri con operatori selezionati al fine di generare un adeguato flusso di potenziali operazioni di investimento; (ii) individuazione, valutazione e strutturazione dei processi di investimento in potenziali società target; (iii) implementazione degli investimenti; (iv) individuazione, valutazione e strutturazione di eventuali processi di disinvestimento; (v) identificazione di un elenco di consulenti esterni e di fornitori dei servizi necessari alla specifica strategia di investimento; (vi)  redazione per ciascun potenziale investimento/disinvestimento di un report inclusivo di un business plan e di una relazione di sintesi sulla società target, nonché di qualsiasi documento utile a supportare la decisione finale, assunta in piena autonomia dal gestore.

Con la risposta n. 527/2021, tale orientamento viene confermato anche con riferimento a servizi di “origination” e “first screening[23], “assessment[24], “due diligence[25], “consulenza ad hoc[26], “monitoraggio” delle portfolio company[27]. Si trattava di prestazioni concernenti prevalentemente l’analisi del potenziale tecnologico d’innovazione di possibili target tenendo conto dei diversi aspetti concernenti dette società esaminate, dalle informazioni societarie, al posizionamento sul mercato e alle relative opportunità, alla descrizione delle strategie aziendali, ai profili tecnologici fino a taluni dati finanziari (ricavi, costo del venduto e utile operativo). l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto applicabile l’esenzione IVA nonostante, secondo l’istante, si trattasse di servizi di consulenza tecnica non aventi prevalente carattere economico-finanziario. Secondo l’Agenzia, invero, detti servizi possono essere funzionali e rilevanti per l’attività della SGR anche se non prevedono consulenze e/o valutazioni economico-finanziarie (come peraltro anche i servizi di cui alla risposta n. 628/2020). Dette informazioni sono ritenute (al pari di quelle economiche/finanziarie) fondamentali per la SGR, dunque “intrinsecamente connesse” e complessivamente funzionali alla attività di gestione del fondo propria della SGR, che vanno ad arricchire quell’”insieme distinto, valutato globalmente, che ha l’effetto di adempiere le funzioni specifiche ed essenziali” del servizio di gestione di un fondo comune di investimento, cui fa riferimento la Corte di Giustizia UE ai fini dell’applicabilità dell’esenzione.

Nella recente risposta n. 631/2021 l’Agenzia ha infine confermato – a condizione che la SGR committente delle prestazioni sia già autorizzata alla gestione collettiva – l’esenzione per i servizi di consulenza relativi al supporto nella formulazione delle politiche di investimento di un FIA (caratteristiche delle target e identificazione dei settori di investimento) e nella pianificazione/attuazione di alcune attività connesse con la commercializzazione delle quote. Anche in questo caso, peraltro, è stato chiarito che, al fine di qualificare l’”insieme distinto che adempie le funzioni specifiche ed essenziali”, non rileva il fatto che i servizi resi non modifichino la situazione giuridica e finanziaria dei fondi gestiti dalla SGR (che ha il potere decisionale sugli investimenti/disinvestimenti).

Implicazioni per il settore della gestione collettiva del risparmio

I recenti interventi di prassi indubbiamente forniscono chiare indicazioni circa l’ambito applicativo dell’esenzione in relazione ai servizi di consulenza resi in outsourcing dalle advisory company al gestore, essendo oramai assodato che: i) l’esenzione opera nonostante il fornitore non sia un soggetto autorizzato; ii) le prestazioni possono riferirsi a qualsiasi tipologia di fondi (sempre che siano sottoposti a vigilanza, caratterizzati da una pluralità di investitori remunerati solamente dai risultati della gestione, requisiti che tuttavia dovrebbero essere sempre presenti nei fondi di diritto italiano) a prescindere dall’entità dell’investimento e dalle caratteristiche dell’investitore; iii) le prestazioni possono avere contenuto ampio (supporto nella definizione delle strategie, nella selezione degli investimenti, nel monitoraggio etc.) e prescindere da valutazioni di tipo economico-finanziario in senso stretto.

Dette considerazioni dovranno guidare la modalità di fatturazione delle operazioni territorialmente rilevanti, ossia quelle rese a gestori residenti in Italia[28]. È opportuno ricordare che l’esenzione in oggetto per l’advisory company fornitrice da un lato comporta il mancato addebito dell’IVA al destinatario dei servizi, dall’altro lato ha un impatto negativo sul pro-rata di detraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti in Italia.

Tale ultima conseguenza, peraltro, vale anche per i servizi extraterritoriali resi a gestori residenti in altri Stati membri, ai sensi dell’art. 19, comma 3 lett. b), del DPR n. 633/72[29]. Infatti, in base a tale disposizione, i servizi extraterritoriali conferiscono il diritto alla detrazione solo qualora, ove fossero stati territorialmente rilevanti in Italia, avrebbero conferito tale diritto (conseguentemente, prestazioni astrattamente soggette ad esenzione in Italia incidono solo al denominatore del pro-rata e non anche al numeratore).

Si rende in definitiva opportuna, per le advisory company operanti nel settore del private equity e venture capital[30], la verifica dei contratti in essere e delle attività effettivamente svolte atteso che la propria fattispecie specifica – alla luce dei recenti chiarimenti – potrebbe rientrare nell’esenzione IVA. Con riferimento al pregresso, peraltro, dovrebbe ragionevolmente escludersi l’applicazione di sanzioni tributarie per le ricadute relative a comportamenti difformi tenuti sino ad ora[31] (con particolare riferimento alla determinazione del diritto alla detrazione), in ragione dell’obiettiva incertezza interpretativa resa palese dalle risposte in oggetto[32]. Al riguardo, sarebbe comunque opportuna una precisa indicazione in tal senso da parte dell’Agenzia delle Entrate.

In ogni caso, le risposte dell’Amministrazione finanziaria inducono ancora una volta a riflettere sul fatto che un trattamento di esenzione non necessariamente costituisce un beneficio ma può anzi creare inefficienze che possono ripercuotersi anche sul consumatore finale, qualora gli effetti dell’indetraibilità siano traslati a valle dagli operatori sui corrispettivi di propria spettanza (a detrimento degli obiettivi di “sgravio al consumo” che motivano l’esenzione).

Indubbiamente i chiarimenti in commento comportano pro futuro un trattamento IVA deteriore per le advisory company, sia quelle che effettuano servizi verso SGR italiane sia quelle che assistono gestori esteri.

Si tenga conto, inoltre, che le advisory company italiane svolgono spesso prestazioni nei confronti di gestori residenti in altri Stati UE e che possono verificarsi situazioni come quelle della Francia, dove è previsto per i servizi finanziari un regime di imponibilità opzionale[33]. In tali fattispecie si potrebbe arrivare alla conseguenza – poco coerente con una nozione “transnazionale” del principio di neutralità dell’imposta – che un servizio sia autofatturato in imponibilità nel Paese del cliente e ivi continui ad alimentare la catena del valore (tramite le fee imponibili del gestore), senza tuttavia conferire alcun diritto alla detrazione al soggetto italiano che lo ha reso.  L’advisory company verrebbe in definitiva trattata alla stregua di un “consumatore finale”, per effetto dell’art. 19, comma 3 lett. b), del DPR n. 633/72, sebbene l’operazione attiva da essa posta in essere determini l’applicazione dell’imposta e permanga nel “circuito dell’IVA”, sia pure di un altro Stato membro[34]. In casi simili, a fronte del “sacrificio” dell’advisory company colpita da indetraibilità, non vi sarebbe alcun effetto di sgravio per il vero consumatore finale nello Stato in cui l’operazione rileva territorialmente (atteso che il gestore – nell’esempio esaminato – fattura le proprie fee con IVA, stante l’esercizio dell’opzione). L’intento di non incidere sul consumo, malgrado l’esenzione, risulterebbe quindi in ogni caso frustrato.

In conclusione, l’interpretazione giurisprudenziale e di prassi ha esteso con finalità agevolativa (e non punitiva) l’esenzione di cui all’art. 10, comma 1 n. 1 del DPR n. 633/72 ai servizi delle advisory company, benché resi da soggetti non autorizzati e non riconducibili alla gestione collettiva in senso stretto (ma di supporto ad essa). Allo scopo di evitare inefficienze in ambito transnazionale come quella esaminata e di consentire il recupero dell’IVA sugli acquisti, anche il legislatore italiano potrebbe forse valutare – de jure condendo[35] – di prevedere per i servizi in questione (come per altri servizi di natura finanziaria) l’applicabilità dell’imposta su base opzionale[36].

 

[1] Si tratta dei servizi di consulenza in materia di investimenti di cui all’art. 1, comma 6, lett. d) del D.Lgs. n. 58/1998 (attuativo della Direttiva Mifid 2004/39/CE) concernenti la “consulenza alle imprese in materia di struttura del capitale, di strategia industriale e di questioni connesse nonché consulenza e servizi concernenti le concentrazioni e l’acquisto di imprese”.

[2] In un precedente di prassi (risposta a interpello n. 65/2019) in materia di territorialità dei servizi di gestione di un portafoglio d’investimenti immobiliari resi da un’advisory company residente a un GEFIA UE, l’Amministrazione finanziaria aveva già escluso che “… la nozione, ai fini IVA, di gestione del fondo comune d’investimento ricavabile dalla predetta giurisprudenza europea e la portata dell’esenzione applicabile alla predetta attività può ritenersi influenzata dalla direttiva 2011/61/UE che fissa le norme in materia di autorizzazione, funzionamento e trasparenza dei gestori di fondi d’investimento”.

[3] In tal senso, cfr. sentenza 28.6.2007, causa C-363/05; sentenza 19.7.2012, C-44/11; sentenza 7.3.2013, C-424/11; sentenza del 13.3.2014, causa C464/12 e soprattutto la sentenza 9.12.2015, causa C-595/13.

[4] Cfr. il Working Paper n. 936 del 9.11.2017 (“Scope of the exemption for the management of special investment funds”) che poi ha condotto alla approvazione (seppure non all’unanimità) di specifiche Guidelines.

[5] Nella quale era stato osservato che “l’obiettivo dell’esenzione delle operazioni legate alla gestione di fondi comuni di investimento prevista dall’art. 13, B, lett. d), punto 6, della Sesta Direttiva è, tra l’altro, di incoraggiare l’investimento di capitali dei piccoli investitori in fondi d’investimento. Il punto 6 di tale disposizione è diretto a garantire che il sistema comune dell’IVA sia fiscalmente neutro quanto alla scelta tra l’investimento diretto in titoli e quello mediante organismi di investimento collettivo”.

[6] Cfr. par. 36 e nota 21.

[7] Cfr. in particolare la sentenza resa nella causa C-464/11.

[8] La restrizione dell’esenzione ai soli fondi che raccolgono il risparmio presso i piccoli investitori è un’ipotesi che è stata oggetto di studio nell’ambito comunitario ma beninteso de jure condendo, senza che almeno per il momento abbia trovato attuazione sul piano normativo. Cfr. a tal proposito la relazione n. 18650 del 14.12.2011 (citata anche nelle conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa C-44/12) secondo la quale «alcuni Stati membri ritengono (…) che l’esenzione debba limitarsi ai fondi di investimento che raccolgono il risparmio di piccoli investitori».

[9] Sul punto vgs. S. MASSAROTTO – A. PORRO, Esenzione IVA dei servizi di consulenza ai gestori di fondi di investimento alternativi, in Dir. Bancario, Approfondimenti del 16.2.2021.

[10] Cfr., con riferimento ai fondi immobiliari, la ris. n. 93/E del 17.12.2013 e la risposta n. 65/2019 (da cui peraltro già si evinceva implicitamente la rilevanza dei FIA ai fini dell’esenzione). Anche nella ris. n. 52/E/2014 l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto l’esenzione alle prestazioni rese da SGR e SIM alle compagnie assicurative concernenti la gestione degli attivi posti a copertura di determinate polizze da quest’ultime emesse, prescindendo dalla disciplina regolamentare rilevante o dall’inapplicabilità della Direttiva OICVM a dette compagnie e valorizzando solo l’assimilabilità delle polizze ai fondi in quanto strumenti di investimento standardizzati.

[11] In una fattispecie di servizi promiscuamente riferibili a varie tipologie di fondi britannici si partiva dall’assunto che l’esenzione avrebbe trovato senz’altro applicazione per le prestazioni riferibili esclusivamente a fondi considerati “qualificati” per la legislazione del Regno Unito ai sensi del gruppo 5 dell’allegato 9 richiamato dall’articolo 31, paragrafo 1, del  Value Added Tax Act del 1994, che tra i requisiti necessari per la “qualificazione” non menziona le caratteristiche degli investitori.

[12] Che richiama a sua volta le sentenze del 28.6.2007 (causa C-363/05), del 7.3.2013 (causa C-424/11) e del 13.3.2014 (causa C464/12).

[13] In effetti, nei casi affrontati dalla Corte UE vi erano normative nazionali che circoscrivevano l’applicazione dell’esenzione a determinate tipologie di fondi ovvero che non disciplinavano espressamente come fondi di investimento i veicoli dei quali si verteva.

[14] Ai sensi dell’art. 1, lett. j) del D.Lgs. n. 58/1998 il fondo comune d’investimento è “l’OICR costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore”.

[15] Nelle risposte nn. 527/2021 e 631/2021 l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la verifica dei tre requisiti a), b) e c) è necessaria e nella fattispecie “esula dalle competenze esercitabili in questa sede”.

[16] Peraltro, mentre nel caso della risposta n. 527/2021 l’istante non aveva fornito alcun dettaglio circa le caratteristiche del fondo, nel caso della risposta n. 631/2021 l’istante aveva esplicitamente assunto che il FIA di interesse fosse soggetto a vigilanza regolamentare ai sensi della Direttiva 2011/61/UE e partecipato da una pluralità di investitori che sopportano i rischi e ritraggono i benefici della gestione. Si comprende dunque ancora meno il senso della formula di stile utilizzata dall’Agenzia.

[17] Peraltro, se l’organismo è istituito in uno Stato membro la cui normativa regolamentare lo qualifica come fondo di investimento, potrebbe ugualmente ritenersi applicabile l’esenzione senza ulteriori verifiche.

[18] Si tratta dei servizi riconducibili alla gestione degli investimenti del fondo e dei servizi di amministrazione e commercializzazione indicati nell’allegato II alla Direttiva 85/61/CEE e nell’allegato I della Direttiva 2011/61/UE. Non rientrano nella gestione collettiva le attività di depositario degli organismi di investimento collettivo.  I gestori nella prassi effettuano attività ulteriori alla gestione collettiva che dunque esulano dall’esenzione IVA, si pensi alle gestioni patrimoniali (gestione di portafogli individuali) e alle consulenze che danno luogo alle c.d. transaction fee addebitate alle società target nelle operazioni di leveraged buyout.

[19] Il fatto che le advisory company non siano soggetti autorizzati non è ostativo al trattamento di esenzione (come era già stato affermato per i servizi esternalizzati da gestori di fondi immobiliari nella risposta n. 65/2019).

[20] Cfr. sentenze del 4.5.2006 (causa C-169/04), del 19.7.2012 (causa C-44/11), del 13.3.2014 (causa C-464/12). La Corte di Giustizia, inoltre, con la sentenza del 17.6.2021 (cause C-58/20 e C-59/20) ha chiarito che ai fini dell’esenzione una prestazione di servizi per essere considerata “specifica ed essenziale” per la gestione di fondi comuni d’investimento e costituente un “insieme distinto” non debba essere interamente esternalizzata.

[21] Sul punto la Corte di Giustizia UE ha più volte affermato che “rientrano nella “gestione” di un fondo comune d’investimento non solo la gestione degli investimenti, comprendente la scelta e la cessione degli elementi patrimoniali oggetto di tale gestione, ma anche le prestazioni di amministrazione e contabilità, quali la determinazione degli utili e del prezzo delle quote o delle azioni del fondo, le valutazioni dei patrimoni, la contabilità, la preparazione di dichiarazioni per la distribuzione degli utili, il rilascio di informazioni e di documenti per i conti periodici e per le dichiarazioni fiscali, statistiche e IVA, nonché la preparazione e la previsione di utili”. Cfr. sul punto sent. 17.6.2021 (cause C-58/20 e C-59/20), sent. 9.12.2015 (causa C-595/13), sent. 13.3.201 (causa C464/12), sent. 7.3.2013 (causa C-275/11) sent. 4.5.2006 (causa C-169/04).

[22] Il caso specifico ha per oggetto gli adempimenti cui è tenuto il GEFIA (residente) in quanto debitore d’imposta ai sensi dell’art. 17, comma 2 del D.P.R. n. 633/1972 e gli obblighi di compilazione degli elenchi Intrastat in capo all’advisory company (non residente).

[23] Ossia l’individuazione di società target potenzialmente appetibili in termini di capacità di sviluppo tecnologico per il fondo. Nella fase di origination è fornita una rappresentazione sintetica degli asset delle società target, per i quali si potrà procedere alla successiva fase del First Screening.

[24] Valutazione maggiormente dettagliata della società target al fine di fornire un parere sulle potenzialità dell’investimento sotto il profilo dell’opportunità di mercato e di strategia aziendale in ambito di capacità di sviluppo tecnologico.

[25] Che la SGR può, ove lo ritenga opportuno, affidare alla advisory company in relazione ad una o più opportunità di investimento individuate nelle precedenti fasi.

[26] Che consiste nel fornire raccomandazioni sui piani di sviluppo delle portfolio company dei fondi gestiti dalla SGR.

[27]Con particolare riferimento all’andamento delle strategie di business development e revisione annuale delle componenti tecnologiche dei modelli di business.

[28] Operazioni business to business rilevanti in Italia ai sensi dell’art. 7-ter del DPR n. 633/1972.

[29] Secondo cui “La indetraibilità di cui al comma 2 non si applica se le operazioni ivi indicate sono costituite da (…) operazioni effettuate fuori dal territorio dello Stato le quali, se effettuate nel territorio dello Stato, darebbero diritto alla detrazione dell’imposta”.

[30] Quanto al settore dei fondi real estate, in continuità con la Risposta n. 65/2019, occorre distinguere tra servizi (i) relativi alla gestione ordinaria di un bene immobiliare (finalizzati al mantenimento o all’aumento del valore del bene, quali manutenzione, locazione, ecc.), e (ii) quelli riferibili all’asset immobiliare inteso come bene d’investimento (comunemente riferiti alla ricerca, acquisizione e cessione dell’investimento). Infatti, ai fini IVA, mentre i primi sono pacificamente da ritenersi imponibili, i secondi sono da ritenersi esenti.

[31] Anche ai fini regolamentari, peraltro, non dovrebbero per lo più emergere profili di rilievo per le advisory company in relazione ai servizi resi, essendo stato chiarito che nella prospettiva dell’IVA rileva la natura oggettiva del servizio reso (che integra un’attività consulenziale di supporto alla gestione collettiva, ben distinta dalla gestione in senso stretto che è riservata al gestore o al soggetto delegato), prescindendo quindi dalla (e non interferendo sulla) qualifica soggettiva di chi lo rende.

[32] Ai sensi degli artt. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997, 8 del D.Lgs. n. 546/1992 e 10, comma 3, della L. n. 212/2000.

[33] In applicazione dell’art. 260B del Code général des impôts, il quale prevede che “Les opérations qui se rattachent aux activités bancaires, financières et, d’une manière générale, au commerce des valeurs et de l’argent, telles que ces activités sont définies par décret, peuvent, lorsqu’elles sont exonérées de taxe sur la valeur ajoutée, être soumises sur option à cette taxe”. In sostanza, le operazioni esenti relative all’attività bancaria, finanziaria e, in generale, all’intermediazione di valori mobiliari e monetari (definite con decreto) possono essere assoggettate ad imposta su opzione. I servizi indicati nel successivo art. 260C, tra i quali non rientrano i servizi relativi alla gestione collettiva, sono esclusi dall’opzione. L’opzione è valida per cinque anni, rinnovabili.

[34] Nonostante le disomogeneità impositive tra gli Stati membri possano creare incongruenze come quella esaminata, la regola dettata dall’art. 19 comma 3 lett. b), del DPR n. 633/72 (che ha i propri antecedenti comunitari negli artt.17, n. 3 a) della Sesta Direttiva n. 77/388/CEE e 169, par. 1, lett. a), della Direttiva n. 2006/112/CE) sembrerebbe non essere suscettibile di deroga. Infatti, la Corte di Giustizia (sent. del 22.12.2010, causa C-277/09) ha ad esempio statuito che l’amministrazione finanziaria britannica deve accordare la detrazione sugli acquisti effettuati da un soggetto passivo semplicemente per il fatto che le operazioni attive da questi effettuate, ove fossero state territorialmente rilevanti nel Regno Unito, sarebbero state trattate come imponibili (che danno diritto alla detrazione). A nulla rilevando il fatto che in concreto quelle operazioni (territorialmente rilevanti in Germania e ivi non tassate in quanto assimilate a cessioni di beni extraterritoriali secondo il diritto tedesco) non hanno comportato applicazione di IVA a valle. Sembrerebbe quindi che, almeno ai fini di questa peculiare norma, ciascuno Stato membro con il proprio circuito IVA costituisca un “compartimento stagno” che “non comunica” con gli altri ordinamenti. Dunque il principio di neutralità potrebbe non essere riconosciuto in fattispecie in cui l’operazione è rilevante e imponibile in un altro Stato membro ed in Italia astrattamente esente.

[35] Ai sensi dell’art. 137, comma 1, della Direttiva n. 2006/112/CE “Gli Stati membri possono accordare ai loro soggetti passivi il diritto di optare per l’imposizione delle operazioni seguentia) le operazioni finanziarie di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettere da b) a g);”. Gli Stati membri possono quindi prevedere a propria discrezione l’imponibilità IVA su opzione per le operazioni finanziarie (la Francia ad esempio ha introdotto tale opzione).

[36] Eventualmente, l’aliquota applicabile potrebbe essere ridotta, allo scopo di contemperare l’esigenza di detrarre l’imposta sugli acquisti con l’obiettivo (su cui si fonda l’esenzione) di non gravare eccessivamente il consumo. La previsione di un’aliquota ridotta per determinati servizi finanziari rientra tra le ipotesi allo studio in ambito comunitario per risolvere le inefficienze determinate dall’attuale trattamento di esenzione (cfr. il documento n. 089 del 2020 del Gruppo di Esperti IVA).

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