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Giurisprudenza

Esdebitazione e condizioni che ne inibiscono l’accesso

28 Aprile 2025

Corte di Giustizia UE, Sez. VI, 10 aprile 2025, C‑723/23 – Pres. Kumin, Rel. Biltgen

La Sesta Sezione della Corte di Giustizia UE, con pronuncia del 10 aprile 2025, resa nella causa C‑723/23 (Pres. Kumin, Rel. Biltgen), ha chiarito se l’art. 23 della Direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza (2019/1023/UE) consenta di escludere l’accesso all’esdebitazione qualora il debitore abbia agito in modo disonesto o in malafede nei confronti dei creditori di un terzo, e sia stato dichiarato quale soggetto “interessato” nell’ambito della dichiarazione giudiziale di insolvenza fraudolenta di tale terzo.

Questi i principi espressi dalla Corte:

  1. L’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza), deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a una normativa nazionale che esclude l’accesso all’esdebitazione qualora il debitore abbia agito in modo disonesto o in malafede nei confronti dei creditori di un terzo e sia stato dichiarato «interessato» nell’ambito della dichiarazione giudiziale di insolvenza fraudolenta di tale terzo.
  2. L’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2019/1023 deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a una normativa nazionale che prevede una deroga al principio dell’accesso a una procedura che può portare a un’esdebitazione non prevista da tale disposizione e che esclude tale accesso qualora, nel corso dei dieci anni precedenti la domanda di esdebitazione, il debitore sia stato dichiarato «interessato» in una sentenza che ha qualificato l’insolvenza di un terzo come «fraudolenta», a meno che, alla data di presentazione di tale domanda, egli abbia assolto tutti i debiti rientranti nella sua responsabilità, senza che i giudici nazionali siano chiamati a valutare soggettivamente se tale debitore abbia agito in modo disonesto o in malafede, purché tale esclusione sia debitamente giustificata a norma del diritto nazionale.

La questione sorge in quanto, in riferimento al caso di specie, il diritto spagnolo prevede che, qualora un debitore, nel corso dei 10 anni precedenti la sua domanda di esdebitazione, sia stato dichiarato “interessato” in una sentenza che ha qualificato l’insolvenza di un terzo come “fraudolenta”, possa ottenere l’esdebitazione solo a condizione di aver assolto, alla data di presentazione di tale domanda, tutti i debiti rientranti nella sua responsabilità.

L’art. 23, par.1, della direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza, prevede che gli Stati membri possano mantenere o introdurre disposizioni che neghino o limitino l’accesso all’esdebitazione o che revochino il beneficio di tale esdebitazione, o che prevedano termini più lunghi per l’esdebitazione integrale dai debiti o periodi di interdizione più lunghi quando, “nell’indebitarsi, durante la procedura di insolvenza o il pagamento dei debiti“, l’imprenditore insolvente abbia agito, in particolare, “nei confronti dei creditori” in modo disonesto o in malafede.

Con il termine “creditori” di cui al citato art. 23, in sostanza, potrebbe essere inteso unicamente i creditori nei confronti dei quali il debitore si sia direttamente e personalmente indebitato, ossia “i propri” creditori, e non quelli che, inizialmente, fossero creditori di un terzo e che sono divenuti creditori del debitore solo a seguito di una sentenza che ha dichiarato tale debitore “interessato” dall’insolvenza fraudolenta di tale terzo.

Tuttavia, per la Corte, una persona che agisce in qualità di amministratore di una società la cui insolvenza è stata qualificata come fraudolenta sa che, conformemente alla normativa nazionale applicabile, essa può essere dichiarata “interessata” ai sensi di tale normativa nazionale, e quindi divenire il debitore dei creditori di tale società: tale persona non può ragionevolmente ignorare che i creditori nei confronti dei quali decide di impegnare detta società sono potenzialmente i propri creditori.

Pertanto, in un simile caso, una condotta disonesta o di malafede di detta persona nei confronti dei creditori della stessa società e quindi dei propri potenziali creditori personali deve essere assimilata a una condotta disonesta o di malafede nei confronti dei propri creditori.

Si consideri peraltro, come rileva la Corte, che l’articolo 23 costituisce la prima di una serie di disposizioni derogatorie al principio dell’accesso a una procedura, che può condurre a un’esdebitazione totale istituito dall’articolo 20 di tale direttiva e che, pertanto, deve essere interpretata restrittivamente.

Poiché il legislatore dell’Unione ha deciso di imporre agli Stati membri di mantenere o di introdurre tale deroga a detto principio e non si è limitato a concedere loro un margine di discrezionalità al riguardo, occorre adottare un’interpretazione dell’articolo 23 che consenta, per quanto possibile, di impedire che debitori che hanno agito in modo disonesto o in malafede nei confronti dei creditori o di altri portatori di interessi possano beneficiare di un’esdebitazione.

Ricorda la Corte che, per quanto riguarda gli elementi di cui occorre tener conto per stabilire se un debitore sia stato “disonesto”, il considerando 79 della direttiva, ha fatto riferimento:

  • alla natura e all’entità dei debiti
  • al momento in cui questi debiti sono sorti
  • agli sforzi compiuti dall’imprenditore per estinguerli e ottemperare agli obblighi giuridici
  • alle azioni intraprese dall’imprenditore per vanificare le azioni di rivalsa dei creditori
  • all’adempimento degli obblighi che incombono, nel caso di una probabilità di insolvenza, all’imprenditore che è dirigente di una società
  • al rispetto del diritto dell’Unione e nazionale in materia di concorrenza e lavoro.

Tale elenco, che non ha carattere tassativo, non contiene alcuna indicazione secondo cui la cerchia dei creditori nei confronti dei quali il debitore ha agito in modo disonesto o in malafede sarebbe in qualche modo limitata, e non includerebbe le persone che erano inizialmente i creditori di un terzo e che sono divenute i creditori di tale debitore a seguito dell’insolvenza fraudolenta di tale terzo.

Inoltre, gli elementi riguardanti “la natura e l’entità dei debiti”, “il momento in cui questi debiti sono sorti” e “le azioni intraprese per vanificare le azioni di rivalsa dei creditori”, coprono un’ampia gamma di situazioni e sono redatti in termini che consentono di ritenere che il legislatore dell’Unione intendesse ricomprendere la condotta di un debitore nei confronti sia dei propri creditori, sia dei creditori di un terzo, come la società di cui tale debitore era amministratore.

Dal momento che il paragrafo 2 dell’art. 23, non osta, secondo la giurisprudenza della Corte, a una normativa nazionale che esclude l’accesso all’esdebitazione in circostanze ben definite in cui il debitore non ha agito in modo disonesto o in malafede, la Corte ritiene che tale disposizione non osti neppure a una normativa nazionale che esclude l’accesso all’esdebitazione in simili circostanze senza che i giudici nazionali siano chiamati a valutare soggettivamente se il debitore interessato abbia agito in modo disonesto o in malafede.

Pertanto, l’art. 23, par. 2, deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere disposizioni nazionali che escludono l’accesso alla procedura di esdebitazione in situazioni che non sono caratterizzate da un comportamento disonesto o di malafede del debitore interessato, senza che i giudici nazionali siano chiamati a valutare soggettivamente se tale debitore abbia agito in modo disonesto o in malafede.

Tuttavia, l’esercizio di tale facoltà è subordinata alla condizione che le deroghe si riferiscano a determinate circostanze ben definite e siano debitamente giustificate: quando il legislatore nazionale introduce disposizioni che prevedono simili deroghe, i motivi di tali deroghe devono risultare dal diritto nazionale o dal procedimento che ha condotto a queste ultime e detti motivi devono perseguire un legittimo interesse pubblico.

Il diritto nazionale deve quindi consentire di individuare il motivo di legittimo interesse pubblico che giustifica, in tali circostanze ben definite, l’esclusione di un’esdebitazione.

In conclusione, per la Corte l’art. 23, paragrafo 2, non osta quindi a una normativa nazionale che escluda l’accesso all’esdebitazione in determinate circostanze ben definite, come quella di un debitore che, nel corso dei dieci anni precedenti la domanda di esdebitazione, sia stato oggetto di una decisione definitiva di estensione della responsabilità, a meno che tale debitore, alla data di presentazione di detta domanda, abbia interamente assolto i suoi debiti tributari e previdenziali, purché dal diritto nazionale risulti che una simile esclusione è giustificata dal perseguimento di un legittimo interesse pubblico, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare.

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