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Attualità

Equo compenso professionale, concorrenza ed appalti pubblici

Nota a CGCE 25 gennaio 2024, causa C 438-22

11 Aprile 2024

Cristoforo Osti, Partner, Chiomenti; Professore ordinario di Diritto commerciale, Università del Salento

Filippo Brunetti, Partner, Chiomenti

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il tema dell’equo compenso professionale alla luce degli ultimi orientamenti espressi dalla Corte di Giustizia UE, soffermandosi sulle modalità di applicazione della normativa nazionale seguite nell’ambito di procedure ad evidenza pubblica.


1. La sentenza in esame attiene alla questione di sapere se la fissazione di onorari minimi da parte di un’associazione professionale sia o meno contraria alle regole di concorrenza applicabili alle intese. Nella fattispecie, la legge bulgara vietava al giudice, in sede di liquidazione delle spese legali a carico della parte soccombente, di determinare un importo di onorari inferiori ad un livello minimo fissato al Consiglio Nazionale Forense bulgaro (per esattezza: il Consiglio Superiore dell’Ordine Forense bulgaro, ma ci si permetta qui e in seguito la semplificazione).

2. Nel pervenire a tale risultato la Corte, senza stabilire alcun principio giuridico nuovo, dispone in modo sistematico i precedenti da essa stessa dettati, raggiungendo un risultato organico complessivo. Risultato che, vale la pena di anticiparlo, si può sintetizzare come segue, facendo riferimento a ciascuno dei passaggi logico-giuridici rilevanti: (i) la determinazione del CNF bulgaro che fissa l’importo minimo della tariffa, rappresenta una decisione di associazione di imprese per la fissazione del prezzo, restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea o TFUE; (ii) il giudice è tenuto a disapplicare tale determinazione, e in particolare la disposizione di legge che la rende obbligatoria erga omnes, in ossequio al principio del primato del diritto euro-unitario, anche in assenza di alcun accordo sugli onorari concluso tra la parte ed il suo avvocato; (iii) tale principio non è superato dalla teoria secondo la quale le regole in tema di intese restrittive, e in particolare l’art. 101 TFUE, possono essere disapplicate o esentate per il fatto che la legislazione nazionale presuppone ulteriori e diversi ‘obiettivi legittimi’ e, infine, (iv) il fatto che sia appunto una legge a stabilire il principio dell’inderogabilità della tariffa minima non sottrae la determinazione del CNF bulgaro all’applicazione del divieto ma anzi, ai sensi del combinato disposto dell’art. 101 TFUE e dell’art. 4.3 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), che sancisce l’obbligo di leale cooperazione tra Stati membri e Unione e suoi organi), coinvolge la responsabilità dello Stato nazionale che ha emanato quella norma.

3. Sulla illiceità in sé della determinazione di un onorario minimo da parte del CNF bulgaro, la Corte non deve fare altro che fare riferimento ad una sua precedente pronuncia che, con riferimento precisamente alla stessa regola, ha già determinato che si tratta della decisione di un’associazione (il CNF) di imprese (gli avvocati sono in questo frangente infatti considerati tali) che, fissando una tariffa, viola palesemente l’art. 101[1].

4. Quanto alla possibile esimente degli obiettivi legittimi, si ricorda che nel caso Wouters la Corte aveva appunto considerato che una norma emanata da un ordine professionale che vietava la formazione di studi professionali in comune tra avvocati e revisori dei conti, sul fondamento della tutela di principi deontologici tesi a scongiurare il conflitto di interessi ed a tutelare il segreto professionale, poteva appunto giustificarsi sulla base di considerazioni relative ad interessi pubblici sopraordinati in un qualche modo rispetto a quelli sottesi alla disciplina sulla concorrenza[2]. Facendo riferimento alla sua recente sentenza nel caso Superleague[3], tuttavia, ove la Corte aveva appunto considerato che tale principio (che tra gli addetti ai lavori va sotto il nome di ‘Dottrina Wouters’) non potesse applicarsi a pratiche relative a federazioni sportive laddove il comportamento anticoncorrenziale fosse di particolare gravità, e cioè rientrasse nel novero delle c.d. restrizioni ‘per oggetto’ (posizione questa nuova, e cioè generata dalla Corte per l’appunto in quella occasione, e comunque altamente discutibile), la Corte arriva anche in questa sede ad una analoga conclusione, che la Dottrina Wouters cioè non possa salvare un accordo di fissazione dei prezzi minimi che, in verità, rappresenta nel diritto della concorrenza, l’equivalente dell’omicidio preterintenzionale, e cioè la violazione più grave e meno redimibile tra tutte quelle immaginabili.

5. A questo punto abbiamo una violazione (intesa sulle tariffe) e abbiamo escluso che gli ‘obiettivi legittimi’ la possano giustificare, come sarebbe appunto se fossero motivati da regole deontologiche o di fair play sportivo (Superleague tratta di calcio, ovviamente). Ma abbiamo anche una legge che impone espressamente al giudice di non scendere sotto le tariffe minime determinate dal CNF bulgaro. E qui incontriamo gli ultimi due snodi fondamentali di questo caso. In primo luogo, la Corte si richiama ad una giurisprudenza datata e consolidata, secondo la quale, laddove certi comportamenti anticoncorrenziali trovino una qualche forma di sostegno in una misura legislativa, questo non solo non ne fa venir meno la illiceità ma, al contrario, ingenera la responsabilità dello Stato membro dal quale quella misura promana, e ciò in base al ricordato principio di leale collaborazione scolpito nell’art. 4.3 del trattato UE. In altre parole, e anzi nelle parole stesse della Corte, infatti, la combinazione tra art. 101 TFUE ed art. 4.3 TUE obbliga gli Stati “a non adottare o a non mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l’effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese”[4]. Non ha caso questa teoria giuridica prende spesso il nome di “effet utile”, considerato che, come si sa, la lingua di lavoro della Corte è il francese.

6. Veniamo al secondo snodo: la violazione sembra assodata, come pure la responsabilità di Stati e, almeno nella misura in cui non si tratti di un comportamento necessitato per legge, quella concorrente delle ‘imprese’ che la hanno attuata, in questo caso lo stesso CNF bulgaro nonché le associazioni o ordini che ne fanno eventualmente parte e in ultima analisi gli avvocati che vi partecipano. E’ lecito chiedersi tuttavia, perché in questo caso la Corte non applichi (e a dirla tutta nemmeno evochi o tantomeno discuta) quella sua giurisprudenza che nel passato le ha consentito di ritenere che la fissazione delle tariffe da parte degli ordini professionali fosse comunque sottratta all’applicazione dell’art. 101. La risposta si ricava dall’esame proprio di quella giurisprudenza in tema di effet utile della quale si parlava poche righe più sopra. Tale giurisprudenza vuole infatti che, sempre in tema di applicazione congiunta di art. 101 TFUE ed art. 4.3 TUE, la violazione si concreti laddove lo Stato membro “[i] imponga o [ii] agevoli la conclusione di accordi in contrasto con l’articolo 101 TFUE o [iii] rafforzi gli effetti di accordi di tal genere ovvero [iv] tolga alla propria normativa il suo carattere pubblico, delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni di intervento in materia economica”[5]. Ne consegue, a contrario, che tale violazione potrà essere esclusa, come ritenuto già in precedenza dalla Corte proprio in merito alle tariffe del CNF bulgaro, quando “le tariffe siano fissate nel rispetto dei criteri di interesse pubblico definiti dalla legge e i poteri pubblici non deleghino le loro prerogative d’approvazione o di fissazione delle tariffe ad operatori economici privati[6].

7. E infatti, se nella sentenza Cipolla, la Corte aveva potuto ritenere che la legge contemplasse la partecipazione del governo nella fissazione delle tariffe degli avvocati italiani, prevedendo persino che il giudice le potesse disapplicare – onde, non si poteva ritenere che lo Stato avesse delegato al CNF il potere di fissare le tariffe[7]: in questo caso, la Corte non manca di considerare, al contrario, che il CNF bulgaroi cui membri sono tutti avvocati eletti dai loro colleghi [e che, dunque, non rappresenta il potere pubblico ma gli stessi avvocati/imprese che lo compongono], agisce, in assenza di qualsiasi controllo da parte delle autorità pubbliche e di disposizioni idonee a garantire che esso si comporti quale emanazione della pubblica autorità [di nuovo, a differenza di quanto a suo tempo ritenuto per l’analogo sistema italiano di determinazione del tariffario forense], come un’associazione di imprese, ai sensi dell’articolo 101 TFUE” quando adotta le tariffe minime forensi[8]. Ne consegue che tali comportamenti restrittivi sono pienamente imputabili al CNF bulgaro, quale associazione di imprese ai sensi dell’art. 101.

8. Certo, si potrebbe obiettare che, da una parte, i fattori rilevanti per determinare se un certo comportamento, di per sé anticoncorrenziale, ricada o meno nel campo di applicazione dell’art. 101, risultano piuttosto evanescenti, come è vero se si fa leva sul fatto che una certa legislazione preveda o meno il potere dello Stato di intervenire, indipendentemente dal fatto, ad esempio, che quel potere di intervento venga di fatto esercitato; e che, dall’altra, la giurisprudenza in questione non fa altro che indicare agli Stati la via per permettere che le decisioni delle associazioni professionali di qualsivoglia tipo siano di fatto pienamente sottratte al controllo delle regole concorrenziali. E tuttavia, nella fase attuale di sviluppo della giurisprudenza della Corte, questo è esattamente lo stato dell’arte.

9. Non resta che chiedersi se la sentenza e la giurisprudenza in parola possano svolgere un qualche effetto sulla nostra legge c.d. sull’equo compenso[9]. In realtà, la legge, per quanto qui interessa, non prevede un espresso divieto per le parti di derogare alle tariffe minime altrimenti fissate con decreto ministeriale (atteso che un simile divieto è già stato censurato dalla CGCE[10]), ma prevede una possibile responsabilità deontologica del professionista in caso di pattuizione di compensi professionali che, in applicazione dei parametri previsti dai pertinenti decreti ministeriali, risultino ingiusti, iniqui e sproporzionati rispetto alla presentazione professionale. Ne consegue che laddove, come prima ricordato per gli avvocati, la Corte abbia sottratto la tariffa in parola all’applicazione dell’art. 101, in ragione della partecipazione e dell’intervento dei poteri pubblici, almeno potenzialmente, tanto nella fase della elaborazione quanto in quella della attuazione, la previsione dell’inderogabilità delle tariffe non varrà a modificarne la valutazione alla stregua del diritto della concorrenza. Laddove al contrario, come è vero per le tariffe fissate dal CNF bulgaro o per le procedure di altri ordini professionali, il sistema di elaborazione ed attuazione sia tale da non impedire l’applicazione delle regole sulle intese a quello che appare come, nella sostanza, un cartello sui prezzi, un comando legislativo del tipo di quello sull’equo compenso non farebbe che rafforzare la responsabilità dello Stato nel suo contribuire all’impatto della violazione, attraverso la teoria dell’effet utile nel combinato disposto degli artt. 101 TFUE e 4.3 TUE.

10. Alla luce dei principi enunciati dalla Corte UE sull’equo compenso professionale non stupiscono, allora, le modalità di applicazione della normativa sull’equo compenso seguite nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento, ad esempio, di servizi professionali d’ingegneria ed architettura.

Con un recente parere precontenzioso[11] l’ANAC ha infatti affermato che l’assenza di chiare indicazioni normative e di orientamenti giurisprudenziali consolidati circa i rapporti tra la normativa sull’equo compenso di cui alla L. 49/2023 e le procedure di gara dirette all’affidamento di servizi di ingegneria e architettura impedisce che possa operare il meccanismo dell’eterointegrazione del bando di gara e che, per tale via, possa essere disposta l’esclusione di operatori economici che abbiano formulato un ribasso tale da ridurre la quota parte del compenso professionale.

A tale riguardo si deve però osservare che il TAR Veneto in una recente sentenza[12], pronunciandosi sempre sull’affidamento di servizi d’ingegneria, ha ritenuto che non vi sia alcuna antinomia in concreto tra la legge n. 49/2023 e la disciplina del codice dei contratti pubblici ed anzi che la prima deve ritenersi sempre applicabile anche nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, con eterointegrazione precettiva dei bandi che non ne facciano menzione.

Ritiene il TAR Veneto che mediante l’interpretazione coordinata delle norme in materia di equo compenso e del codice dei contratti si può affermare che il compenso del professionista sia soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”.

L’Amministrazione è chiamata a quantificare tali voci in applicazione del D.M. 17 giugno 2016 per individuare l’importo complessivo da porre a base di gara; al tempo stesso, la voce “compenso”, individuata con tale modalità come una delle voci che costituiscono il prezzo, è da qualificare anche come compenso equo ai sensi della legge n. 49/2023, che sotto tale aspetto stabilisce che è equo il compenso dell’ingegnere o architetto determinato con l’applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell’art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1.

Ne deriva che il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 deve ritenersi non ribassabile dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa.

Secondo il TAR tale opzione ermeneutica oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione della normativa sull’equo compenso e della normativa in materia di affidamento di appalti pubblici, consentirebbe di escludere che la legge n. 49/2023 produca di per sé effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea.

A tale ultimo riguardo è altresì utile evidenziare che il TAR Veneto ritiene che l’esistenza di una restrizione della concorrenza ai sensi del Trattato non può essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale Stato membro.

Sul punto il TAR osserva che una restrizione del genere esiste, segnatamente, se detti avvocati sono privati della possibilità di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci” (sentenza CGCE C-565/08, Commissione/Italia).

Inoltre, il TAR non ravvisa alcuna incompatibilità tra la disciplina nazionale sull’equo compenso e i principi espressi nella citata sentenza CGCE del 25.1.2024.

Al riguardo, in estrema sintesi, il TAR (nella sostanza ritenendo che la legge italiana sull’equo compenso posso essere giustificata sulla base degli obiettivi legittimi di cui alla menzionata Dottrina Wouters) sottolinea che nella fattispecie decisa dalla CGCE gli importi minimi degli onorari degli avvocati, pur essendo stati recepiti dal legislatore nazionale, erano stati determinati dalla stessa associazione di categoria nel perseguimento di un proprio interesse specifico e settoriale, con una finalità, quindi, del tutto diversa dall’obiettivo (legittimo) perseguito dal legislatore italiano attraverso la l. n. 49/2023 che, imponendo di preservare l’equo compenso di tutti i professionisti intellettuali nei rapporti con la P.A., evita nell’ambito delle procedure di gara l’offerta di prestazioni al ribasso e la possibile eliminazione, dalle pubbliche gare, degli operatori che offrono prestazioni maggiormente qualitative.

Più in dettaglio, osserva il TAR, si tratta di un intervento normativo adottato per finalità d’interesse generale, nonchè proporzionato e ragionevole, in cui comunque si è lasciata la possibilità all’operatore economico di differenziarsi anche sotto il profilo economico a condizione di salvaguardare l’equo compenso e ciò determina “la piena compatibilità tra la legge n. 49/2023 (…) e gli artt. 49, 56, 101 TFUE e gli artt. 3, 41, 81, 117 Cost”.

 

[1] Sentenza della Corte 23 novembre 2017, CHEZ Elektro Bulgaria e FrontEx International, cause riunite C-427/16 e C-428/16, EU:C:2017:890.

[2] Sentenza del 19 febbraio 2002, Wouters e a., causa C-309/99, EU:C:2002:98.

[3] Sentenza della Corte 21 dicembre 2023, European Superleague Company, causa C-333/21, EU:C:2023:1011.

[4] Cfr. la sentenza qui in esame, al punto 40.

[5] Cfr., tra le tante, la sentenza della Corte del 21 settembre 2016, Etablissements Fr. Colruyt, causa C-221/15, EU:C:2016:704.

[6] CHEZ Elektro Bulgaria, cit., § 43.

[7] Sentenza della Corte del 5 dicembre 2006, Federico Cipolla contro Rosaria Portolese in Fazari e Stefano Macrino e Claudia Capoparte contro Roberto Meloni, cause riunite C-94/04 e C-202/04, ECLI:EU:C:2006:758.

[8] Cfr. la sentenza qui in esame, al punto 44.

[9] L. n. 49 del 21.04.2023. Cfr. in particolare l’art. 5, comma 5, laddove prevede: “Gli ordini e i collegi professionali adottano disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell’obbligo di convenire o di preventivare un compenso che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinato in applicazione dei parametri previsti dai pertinenti decreti ministeriali,

[10] Sentenza della Corte del 23 novembre 2017, cause riunite C-427 e 428/161 che ugualmente ha stabilito che il divieto di derogare alle tariffe minime stabilite da un’organizzazione di categoria forense, sulla quale non vi è un controllo dell’autorità pubblica, è contrario alle norme Ue sulla libera concorrenza.

[11] Delibera ANAC n. 101 del 28 febbraio 2024. Nelle premesse di tale delibera, tra le altre cose, si legge che “il tema dei rapporti tra la normativa sull’equo compenso di cui alla L. 49/2023 e la disciplina recata dal Codice dei contratti in tema di appalti di servizi di ingegneria e architettura ha suscitato e continua a suscitare dubbi e perplessità. L’Autorità, consapevole delle difficoltà interpretative, in data 7/7/2023, ha segnalato la questione alla Cabina di Regia, al Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, per conoscenza, al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, evidenziando la necessità di chiarire se attraverso la legge n. 49 del 2023 il legislatore abbia reintrodotto dei parametri professionali minimi e, in caso positivo, quale possa essere il ribasso massimo che conduce a ritenere il compenso equo nell’ambito delle procedure di affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura;

[12] TAR Veneto, Sez III, 3.04.2024. n. 632

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