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Approfondimenti

Dividendi corrisposti a (e plusvalenze realizzate da) fondi di investimento esteri

6 Maggio 2022

Luca Rossi, Partner, Studio Legale Tributario Facchini Rossi Michelutti

Marina Ampolilla, Partner, Studio Legale Tributario Facchini Rossi Michelutti

Federico Ymir Lissoni, Associate, Studio Legale Tributario Facchini Rossi Michelutti

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

Con il presente contributo si intende fare il punto su un tema, quello del trattamento fiscale dei dividendi di fonte italiana corrisposti a OICR esteri che, ad oggi, anche a seguito delle modifiche normative introdotte dal legislatore con l’art. 1, comma 631, L. 30 dicembre 2020, n. 178[1] (di seguito, la “Legge di Bilancio 2021”), rappresenta ancora una questione parzialmente irrisolta.

A tale riguardo, si ricorda che all’atto dell’emanazione della Legge di Bilancio 2021 il legislatore è intervenuto al fine di porre rimedio all’evidente e ingiustificata restrizione al principio della libera circolazione dei capitali sancito dall’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (di seguito, “T.F.U.E.”) causata dalla disparità di trattamento[2] che l’ordinamento tributario italiano, prima delle modifiche introdotte dalla c.d. “Legge di Bilancio 2021”, prevedeva in relazione al regime fiscale applicabile ai dividendi (e alle plusvalenze) di fonte italiana corrisposti ad OICR UE/SEE vigilati[3] rispetto a quello previsto per i medesimi componenti di reddito percepiti da OICR italiani, diversi da quelli immobiliari, vigilati[4].

Il predetto intervento legislativo, come si aveva già avuto occasione di evidenziare[5], presenta, tuttavia, un duplice ordine di criticità a cui sarebbe necessario che venisse posto rimedio al fine, tra l’altro, di evitare l’avvio da parte dei compenti organi comunitari di una formale procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano.

In particolare, un primo profilo di criticità attiene all’entrata in vigore della modifica normativa sopra richiamata. Ed infatti, ai sensi dell’art. 1, comma 632, della Legge di Bilancio 2021, il regime di esenzione da ritenuta con riferimento a dividendi di fonte italiana corrisposti ad OICR UE/SEE vigilati è destinato a trovare applicazione solo con riferimento ai dividendi percepiti (e alle plusvalenze realizzate) dai predetti fondi a decorrere dalla data di entrata in vigore delle disposizioni recate dalla Legge di Bilancio 2021 (i.e. a far data dal 1° gennaio 2021).

Un secondo profilo di criticità è, poi, rappresentato dal fatto che la Legge di Bilancio 2021 ha escluso dal perimetro applicativo del regime di esenzione da ritenuta sui dividendi[6] di fonte italiana (e sulle plusvalenze realizzate) i fondi extra-UE (istituiti in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni), circostanza questa che non può che tradursi in un potenziale elemento di disincentivo alla realizzazione di investimenti in società residenti in Italia da parte dei predetti soggetti che rappresentano una parte significativa degli operatori del mercato del private equity.

Ebbene, di recente sono state depositate alcune pronunce giurisprudenziali, di fonte nazionale e comunitaria, nell’ambito delle quali sono stati espressi dei principi che impongono necessariamente un’ulteriore riflessione, da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria preposti, tra l’altro, all’effettuazione dell’attività di verifica in ambito tributario, oltre che da parte del legislatore, con riferimento a un tema, quello appunto del perimetro applicativo del regime di esenzione (da ritenuta) dei dividendi (ovvero delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate) connessi a investimenti effettuati dai fondi di investimento esteri in società fiscalmente residenti nel territorio dello Stato, di assoluta rilevanza anche e soprattutto nell’ottica dell’attrazione di nuovi capitali in Italia.

2. La sentenza n. 49 del 7 febbraio 2022 della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara

Il primo significativo intervento giurisprudenziale che merita di essere segnalato è rappresentato dalla recente sentenza n. 49 del 7 febbraio 2022 della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara avente ad oggetto il c.d. “silenzio-rifiuto” formatosi con riferimento all’istanza di rimborso presentata da una SICAV lussemburghese operante secondo il quadro giuridico/regolamentare delineato dalla c.d. Direttiva UCITS e avente ad oggetto le ritenute subite con riferimento ai dividendi distribuiti da società residenti nel territorio dello Stato nei periodi di imposta dal 2014 al 2016 inclusi.

Ebbene, a mezzo della predetta sentenza la Commissione Tributaria Provinciale di Pescara si è espressa nel senso della spettanza del preteso rimborso riconoscendo che la normativa italiana, laddove prevedeva che i dividendi di fonte interna percepiti dagli OICR UE/SEE vigilati dovessero scontare una ritenuta a titolo di imposta differentemente dal caso dei medesimi proventi percepiti da OICR italiani (diversi da quelli immobiliari) vigilati, si poneva in aperto contrasto con il principio della libera circolazione dei capitali sancito dall’art. 63 del T.F.U.E., nonché (qualora l’investimento effettuato nella società italiana che paga i dividendi sia tale da consentire all’investitore di esercitare “una sicura influenza sulle decisioni” della società partecipata e di “determinare le attività di quest’ultima”) con il principio della libertà di stabilimento di cui all’art. 49 del medesimo Trattato[7].

A tale riguardo, si deve quindi osservare che i giudici della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara hanno riconosciuto inequivocabilmente la fondatezza di quanto a più riprese evidenziato dagli operatori del settore in merito al fatto che l’unica soluzione che avrebbe consentito di porre realmente rimedio all’evidente e ingiustificata violazione del diritto comunitario causata dalla sopra descritta disparità di trattamento che l’ordinamento tributario italiano, prima delle modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2021, perpetrava in danno degli OICR UE/SEE vigilati[8] sarebbe stata quella consistente nell’attribuire efficacia retroattiva al disposto di cui all’art. 1, comma 631, della Legge di Bilancio 2021 e nel riconoscere il diritto dei soggetti discriminati (i.e. gli OICR UE/SEE vigilati che avevano scontato la ritenuta di cui all’art. 27, comma 3, D.P.R. n. 600/1973 sui dividendi di fonte italiana dagli stessi percepiti) di vedersi riconosciuto il rimborso delle imposte (ritenute) prelevate in violazione del principio della libera circolazione dei capitali di cui all’art. 63 del T.F.U.E..

Su queste basi, si ritiene che l’Amministrazione finanziaria, analogamente a quanto già avvenuto in passato (in tal senso cfr. Circolare n. 32/E del 8 luglio 2011) con riferimento ad un caso – quello relativo all’evoluzione della normativa in materia di dividendi di fonte italiana distribuiti a società ed enti residenti in altri Stati UE/SEE e sprovvisti dei requisiti per rientrare nell’ambito di applicazione del disposto di cui all’art. 27-bis, D.P.R. n. 600/1973 – del tutto assimilabile a quello oggetto della presente trattazione, dovrebbe provvedere a chiarire in via interpretativa che, a prescindere dal fatto che il legislatore abbia sancito l’applicabilità della disciplina recata dalla Legge di Bilancio 2021 solo con riferimento ai dividendi di fonte italiana distribuiti agli OICR UE/SEE vigilati a far data dal 1° gennaio 2021, il medesimo regime fiscale avrebbe dovuto applicarsi anche in relazione ai dividendi distribuiti prima della predetta data che, invece, sono stati assoggettati a prelievo alla fonte in forza di una normativa contraria al diritto comunitario.

Da ciò dovrebbe conseguire del tutto correttamente l’abbandono da parte dei competenti organi dell’Amministrazione finanziaria del proliferante contenzioso avente ad oggetto le richieste di rimborso avanzate dagli OICR UE/SEE vigilati ed aventi ad oggetto per l’appunto le ritenute applicate con riferimento ai dividendi di fonte italiana ad essi distribuiti prima dell’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2021[9].

3. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea relativa alla causa C-545/19 depositata in data 17 marzo 2022

Un’ulteriore pronuncia giurisprudenziale di assoluta importanza ai fini del caso in esame è rappresentata dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea relativa alla causa C-545/19, depositata in data 17 marzo 2022.

In particolare, tale sentenza assume rilevanza con riferimento al secondo profilo di criticità (rectius di incompatibilità con il diritto comunitario) che, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2021, connota la normativa italiana relativa al regime impositivo dei dividendi[10] di fonte nazionale corrisposti agli OICR esteri, vale a dire il fatto che il legislatore non ha ritenuto, erroneamente ed in contrasto con il diritto comunitario, di estendere il perimetro applicativo del regime di esenzione a cui sono ammessi a godere gli OICR italiani vigilati sino a ricomprendere anche i fondi extra-UE (istituiti in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni).

A tale riguardo si rileva che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza in commento, pur nell’ambito di una controversia che vedeva coinvolti due Stati membri dell’Unione Europea[11], si è espressa chiaramente nel senso di ritenere che una lesione del principio della libera circolazione dei capitali di cui all’art. 63 del T.F.U.E.[12] si può configurare ogni qual volta ci si trovi in presenza di una normativa nazionale che preveda un diverso regime impositivo con riferimento ai dividendi di fonte interna corrisposti a OICR residenti e a OICR non residenti; e ciò, quindi, a prescindere dal fatto che il percettore del dividendo[13] sia un OICR UE ovvero extra-UE istituito in un Stato o territorio c.d. white list[14].

In particolare, si evidenzia che la Corte di Giustizia nell’affermare il suddetto principio, che si pone in continuità con quanto statuito dagli stessi Giudici comunitari in un proprio precedente avente ad oggetto un caso in cui il percettore del flusso reddituale (dividendo di fonte UE) era rappresentato da un OICR extra-UE[15], ha posto in risalto proprio la circostanza per cui un siffatto trattamento discriminatorio può rappresentare un disincentivo con riferimento all’effettuazione di investimenti in società residenti nello Stato la cui normativa delinea il predetto trattamento discriminatorio da parte degli OICR ivi non residenti; e ciò a prescindere dal fatto che gli stessi siano rappresentati da OICR istituiti in Stati o territori extra-UE.

Ciò posto, preme evidenziare che il sistema di tassazione in vigore in Portogallo presenta sostanziali similitudini con quello vigente in Italia: esso infatti prevede che i proventi distribuiti da OICR residenti ai detentori delle relative quote residenti in territorio portoghese sono assoggettati ad imposizione in capo ai percettori con differenti aliquote (a seconda che si tratti di persone fisiche o di beneficiari soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche), mentre i proventi distribuiti ai detentori di quote non residenti in Portogallo sono esentati da imposizione, salvo alcune eccezioni destinate essenzialmente a prevenire gli abusi[16]. Ebbene con riferimento a tale contesto (che – come detto – è sostanzialmente analogo a quello vigente in Italia), la Corte di Giustizia nella sentenza relativa alla causa C-545/19, in linea con i propri precedenti[17], ha confermato che il fondo estero e quello nazionale si trovano in situazioni oggettivamente comparabili con la conseguenza che l’applicazione con riguardo ad essi di un diverso trattamento fiscale comporta una restrizione contraria ai principi del Trattato.

La Corte di Giustizia, sempre in continuità con alcuni propri precedenti in materia, ha poi affermato che non è dato rinvenire alcuna ragione imperativa di interesse generale tale da giustificare una simile restrizione al principio della libera circolazione dei capitali qualora (come avviene anche con riferimento alla normativa italiana rilevante ai fini del caso in esame) l’esenzione dalla ritenuta alla fonte dei dividendi percepiti dagli OICR residenti non sia soggetta alla condizione che i predetti redditi siano redistribuiti in favore dei quotisti del fondo e che la tassazione in capo ai predetti quotisti sia tale da consentire di compensare l’esenzione dalla ritenuta alla fonte sui dividendi medesimi. In tal caso, infatti, non si può sostenere che il trattamento discriminatorio attuato in danno degli OICR non residenti sia giustificato dalla necessità di preservare la coerenza del regime fiscale nazionale.

Sulla base delle considerazioni sopra esposte, si ritiene che non sia più differibile un intervento del legislatore tributario volto a estendere, con portata retroattiva, il regime di esenzione (da ritenuta) sui dividendi (ma lo stesso dicasi per le plusvalenze rivenienti dalla cessioni di partecipazioni qualificate) di fonte nazionale anche con riferimento agli OICR extra-UE istituiti in Paesi che garantiscono un adeguato scambio di informazioni con l’Italia; e ciò al fine di sanare un’evidente incompatibilità della normativa nazionale con il diritto comunitario e nello specifico con il principio della libera circolazione dei capitali di cui all’art. 63 del T.F.U.E., oltre che di favorire l’afflusso di investimenti nel territorio dello Stato da parte degli operatori del settore del private equity. Investimenti, questi ultimi, che spesso rischiano di essere disincentivati, anche in considerazione della tendenza ancora frequente da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria preposti all’attività di verifica e di accertamento tributario a sindacare la legittimità del regime tributario applicato dai predetti fondi di investimento extra-UE all’atto della dismissione dei propri investimenti in società fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.

 

[1] Sul punto si ricorda che, l’art. 1, comma 631, della Legge di Bilancio 2021 ha modificato l’art. 27, comma 3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 al fine di prevedere che la ritenuta sui dividendi di fonte italiana di cui all’art. 27, comma 1, D.P.R. n. 600/1973 “non si applica sugli utili corrisposti a organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) di diritto estero conformi alla direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, e a OICR, non conformi alla citata direttiva 2009/65/CE, il cui gestore sia soggetto a forme di vigilanza nel Paese estero nel quale è istituito ai sensi della direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2011, istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni”. Per completezza, si evidenzia che Legge di Bilancio 2021 ha, altresì, esteso (a far data dal 1° gennaio 2021) agli OICR UE/SEE vigilati anche il regime di esenzione già previsto per le plusvalenze realizzate dagli OICR italiani vigilati per effetto della cessione di partecipazioni qualificate in società fiscalmente residenti nel territorio dello Stato (in tal senso cfr., art. 1, comma 633, Legge di Bilancio 2021). A tale riguardo, si precisa che la ragione per cui l’intervento attuato dal legislatore con la Legge di Bilancio 2021 non ha riguardato le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate in società fiscalmente residenti nel territorio dello Stato è rappresentata dal fatto che queste ultime, qualora realizzate da soggetti localizzati in Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni, godevano già di un regime di non imponibilità ai sensi dell’art. 5, comma 5, D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461.

[2] Come noto, la disparità di trattamento in parola, contrastante con i principi comunitari, era rappresentata dal fatto che se, da un lato, i dividendi di fonte italiana percepiti da OICR italiani vigilati (diversi da quelli immobiliari) non scontavano la ritenuta prevista dall’art. 27, D.P.R., 29 settembre 1973, n. 600, dall’altro, i medesimi proventi, se percepiti da OICR UE/SEE (diversi da quelli immobiliari) sottoposti a forme di vigilanza prudenziale, o il cui soggetto incaricato della gestione sia sottoposto a tali forme di vigilanza, erano soggetti alla predetta ritenuta.

[3] Per tali intendendosi gli OICR UE/SEE, diversi da quelli immobiliari, operanti secondo il quadro normativo e regolamentare di fonte comunitaria previsto dalla Direttiva 2009/65/CE (c.d. “Direttiva UCITS”) e dalla Direttiva 2011/61/UE (c.d. “Direttiva AIFM” e insieme alla Direttiva UCITS, le “Direttive”), nonché dalle relative discipline nazionali di recepimento e, come tali, soggetti (ovvero gestiti da un gestore soggetto) a forme di vigilanza prudenziale da parte delle autorità competenti (di seguito, gli “OICR UE/SEE vigilati”).

[4] Come noto, la discriminazione in parola attuata a danno dei fondi UE/SEE vigilati, era stata oggetto di denuncia alla Commissione Europea, che aveva conseguentemente avviato un’iniziativa investigativa presso le competenti autorità nazionali (EU PILOT 8105/15/TAXU), al fine di verificare – prima dell’avvio di una formale procedura di infrazione nei confronti del nostro Stato – la disponibilità dell’Italia ad adottare spontaneamente le opportune iniziative legislative volte a modificare la normativa interna rilevante al fine di porre rimedio all’evidente e ingiustificata lesione del principio di matrice comunitaria della libera circolazione dei capitali (nonché della libertà di stabilimento) dalla stessa perpetrato.

[5] In tal senso cfr., Luca Rossi – Marina Ampolilla, “Fondi di investimento esteri: le novità al regime di tassazione nel Ddl di Bilancio 2021” in Diritto Bancario dicembre 2020. Nello stesso senso cfr., anche, Luca Rossi – Marina Ampolilla “Regime dei dividendi di fonte italiana percepiti da fondi esteri alla luce dei principi comunitari”, in Corriere Tributario n. 26-2014, p. 2014.

[6] Analoghe considerazioni valgono anche con riferimento al regime di esenzione per le plusvalenze realizzate per effetto della cessione di partecipazioni qualificate in società fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.

[7] La questione relativa all’individuazione della libertà applicabile laddove la normativa nazionale astrattamente si ponga in contrasto con più di una delle libertà fondamentali stabilite dal Trattato è invero una questione complessa che esula dall’oggetto del presente contributo. In questa sede, ci si limita a rilevare che secondo le indicazioni contenute nella più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia (Causa C- 35/11, Test Claimants in FII Group Litigation), qualora la normativa nazionale si applichi a prescindere dall’entità della partecipazione, i fatti in causa non sono decisivi al fine di individuare la libertà applicabile, dovendosi privilegiare l’esame dell’oggetto della normativa nazionale. Pertanto, se da tale esame risulta che la normativa nazionale non si applica esclusivamente alle fattispecie nelle quali la società madre eserciti un’influenza determinante sulla società che distribuisce i dividendi, il giudizio sarà formulato alla luce dell’art. 63 T.F.U.E. (i.e., libertà di circolazione dei capitali), anche in presenza di una partecipazione di controllo. Sul punto, per maggiori approfondimenti, sia consentito rinviare a L. Rossi – M. Ampolilla, “Direttiva madre-figlia – Holding estere detenute da fondi internazionali e libertà di circolazione dei capitali, in Diritto Bancario del 10 settembre 2020”.

[8] Dalla lettura sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, si evince che uno degli argomenti utilizzati dall’Amministrazione finanziaria al fine di disconoscere la spettanza del preteso rimborso era rappresentato dal fatto che i fondi italiani e quelli esteri non si troverebbero in circostanze paragonabili in quanto (solo) i fondi italiani erano assoggettati “ad un sistema di vigilanza prudenziale (quello italiano, precedentemente descritto come capillare e stringente) che non è sovrapponibile, né tanto meno paragonabile, a quello “presumibilmente” esercitato sugli OICR costituiti all’estero”. L’argomento secondo cui non è possibile far valere la discriminazione se i fondi esteri non sono assoggettati alle medesime regole di creazione e funzionamento proprie dei fondi nazionali è privo di pregio ed in contrasto con quanto sostenuto dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia. La questione, infatti, è stata già affrontata in una precedente sentenza dei Giudici comunitari avente ad oggetto la discriminazione perpetrata dalla normativa interna polacca a danno di un fondo extra-UE (cfr., sentenza 10 aprile 2014, Causa C-190/12. DFA). In quella sede, la Corte ha chiarito che una volta accertata una discriminazione a danno di un fondo estero questa non poteva essere giustificata alla luce della circostanza che il fondo estero non era assoggettato alla direttiva OICVM. Infatti, “considerato che la direttiva OICVM non si applica ai fondi di investimento stabiliti in paesi terzi, in virtù del fatto che questi si trovano al di fuori della sfera di applicazione del diritto dell’Unione, esigere che questi ultimi vengano assoggettati ad una normativa identica rispetto ai fondi di investimento esterni priverebbe la libertà di circolazione dei capitali di qualsiasi effetto utile” (cfr., punto 67 della sentenza citata). Semmai, una condizione cui può essere subordinato il riconoscimento al fondo estero del trattamento riservato ai fondi “nazionali” è rappresentata dalla circostanza che sussistano tra i due Stati meccanismi di cooperazione e scambio di informazioni tali da garantire alle autorità nazionali competenti di verificare che il fondo estero sia assoggettato a forme di vigilanza “equivalenti” a quelle relative ai fondi di investimento stabiliti sul territorio nazionale, al fine di dimostrare che i due fondi operino in un contesto normativo equivalente (cfr., punti 87 e 88 della sentenza citata). Ciò detto, con specifico riferimento al caso esaminato nella sentenza della giurisprudenza nazionale di merito in commento la quale, come già rilevato, aveva ad oggetto fondi lussemburghesi conformi alla Direttiva UCITS, l’argomento utilizzato dall’Amministrazione finanziaria ha ancor meno pregio in quanto la comparabilità della vigilanza regolamentare applicabile ai fondi italiani rispetto a quella applicabile ai fondi europei conformi alla direttiva UCITS trova esplicita conferma nella stessa Legge di Bilancio 2021.

[9] Tale conclusione deve intendersi riferibile non solo al caso, analogo a quello esaminato nella sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, dei fondi conformi alla direttiva 2009/65/CE (c.d. UCITS), ma anche a quello dei fondi non conformi alla citata direttiva, il cui gestore sia soggetto a forme di vigilanza nel Paese estero nel quale è istituito ai sensi della direttiva 2011/61/UE (c.d. AIFMD). E per quanto diremo nel successivo paragrafo del testo del presente scritto anche a taluni OICR Extra-UE.

[10] Ovvero delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate in società fiscalmente residenti nel territorio dello Stato realizzate dagli OICR esteri.

[11]In particolare, la controversia verteva sulla verifica in merito alla compatibilità con il principio della libera circolazione dei capitali di cui all’art. 63 del T.F.U.E. della normativa portoghese che prevedeva un diverso regime impositivo con riferimento ai dividendi di fonte interna corrisposti a OICR istituiti in Portogallo (esenzione dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche) rispetto a quello applicabile (ritenuta alla fonte) in relazione ai medesimi componenti reddituali corrisposti a OICR vigilati localizzati in un altro Stato UE (i.e. la Germania).

[12] Sul punto si ricorda che la libera circolazione dei capitali rappresenta l’unica delle quattro libertà fondamentali contemplate della normativa comunitaria suscettibile di essere invocata anche da parte di soggetti di Stati extra-UE.

[13] Si precisa che un’analoga discriminazione in danno dei fondi extra-UE deve intendersi configurabile anche per quanto attiene al trattamento fiscale delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate in società residenti nel territorio dello Stato.

[14] Per quanto attiene all’inapplicabilità con riferimento al caso in esame della c.d. “clausola di standstill” contenuta nell’art. 64, par. 1 del T.F.U.E. si rinvia a quanto già in dettaglio argomentato in alcuni precedenti contributi (in tal senso cfr., ancora, nota 5).

[15] In tal senso cfr., ancora, Corte di Giustizia dell’Unione Europea sentenza relativa alla causa C-190/2012, depositata in data 10 aprile 2014.

[16] Analogo regime è in vigore in Italia ai sensi dell’art. 26-quinquies del D.P.R. n. 600/1973 che, al comma 5, esonera da imposizione i proventi distribuiti a soggetti esteri localizzati in Stati white list.

[17] In tal senso cfr., Corte di Giustizia dell’Unione Europea: sentenza 18 giugno 2009, causa C-303/07; sentenza 10 maggio 2012, cause riunite da C-338/11 a C-347/11; sentenza 10 aprile 2014, causa C-190/12; e sentenza 21 giugno 2018, causa C-480/016.

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