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Giurisprudenza

Disciplina applicabile al concordato preventivo c.d. misto

26 Febbraio 2020

Francesca Gaveglio, dottoressa di ricerca in diritto d’impresa presso l’Università Bocconi e avvocato presso Fivelex Studio Legale

Cassazione Civile, Sez. I, 15 gennaio 2020, n. 734 – Pres. Didone, Rel. Pazzi

Di cosa si parla in questo articolo

Nella sentenza in esame la Cassazione ha affrontato la questione della disciplina applicabile al concordato preventivo c.d. misto, vale a dire quel concordato il cui piano preveda, accanto a una continuazione dell’attività d’impresa, una liquidazione di beni non funzionali all’esercizio della stessa.

La Suprema Corte ha aderito alla prospettazione secondo cui la definizione di concordato misto non ha fondamento normativo, trattandosi di una delle ipotesi di concordato con continuità espressamente previste dall’art. 186 bis l.f. L’attuale contesto normativo relativo all’istituto del concordato preventivo – osserva la Corte – individua una disciplina di carattere generale (artt. 160 ss. l.f.) e una disciplina di carattere speciale (art. 186 bis l.f.). Quest’ultima norma, che disciplina il concordato con continuità aziendale, contempla espressamente il caso in cui il piano preveda «anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa».

Il criterio posto dall’art. 186 bis l.f. ai fini della qualificazione del concordato con continuità aziendale e dell’applicazione della relativa disciplina è – alla luce del predetto inciso – di tipo qualitativo piuttosto che quantitativo. In particolare, «la regola prevista dalla norma non riguarda la quantità delle porzioni a cui sia affidato un diverso destino (e la conseguente prevalenza dell’una rispetto all’altra in funzione delle risorse da devolvere alla soddisfazione dei creditori), ma la funzionalità di una porzione dei beni alla continuazione dell’impresa in uno scenario concordatario».

Precisa infine la Suprema Corte che la portata della predetta regola va altresì valutata alla luce del criterio generale del miglior soddisfacimento dei creditori, che regola l’istituto del concordato preventivo con continuità aziendale. Nell’ambito di un concordato in continuità con dismissione di una porzione di beni, la continuità dell’attività di impresa incontra in ogni caso il limite della manifesta dannosità per i creditori.

La Suprema Corte ha quindi enunciato il seguente principio di diritto: «il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell’impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell’attività aziendale rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso, dalla disciplina speciale prevista dall’art. 186-bis legge fall., che al primo comma espressamente contempla anche una simile ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito; tale norma non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnata una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una simile organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori».

 

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