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Approfondimenti

Crisi bancarie e strumenti Additional Tier 1: il caso Credit Suisse

14 Aprile 2023

Angelo Messore, Partner, Lexia

Federico Bonardi, Associate, Lexia

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza l’utilizzo degli strumenti Additional Tier 1 in caso di crisi bancaria con particolare riferimento al caso Credit Suisse nella prospettiva del diritto europeo


1. Introduzione

Per il settore bancario l’inizio del 2023 è stato segnato da un livello di incertezza e volatilità che non si vedeva da alcuni anni: il crollo di Silicon Valley Bank, il fallimento di Signature Bank e la situazione di stress finanziario che ha da ultimo interessato Credit Suisse hanno contribuito a generare interrogativi e dubbi sulla solidità del sistema, costringendo le autorità di vigilanza ad adottare misure straordinarie oggetto di dibattito a livello internazionale.

Il caso Credit Suisse ha senz’altro attirato maggiore attenzione da parte delle autorità di vigilanza europee, soprattutto a causa del trattamento riservato, nell’ambito delle misure volte a facilitare l’acquisizione della banca da parte di UBS, ai titolari di strumenti Additional Tier 1 (AT1) emessi dalla stessa.

Gli AT1 – anche indicati, nel gergo finanziario, come Contingent Convertible Bonds o “CoCo Bonds – sono strumenti “ibridi” di capitale, emessi di norma in forma di titoli di debito[1] subordinati, utilizzati dalle banche per rafforzare i propri coefficienti patrimoniali senza ricorrere all’emissione di azioni ordinarie o altri strumenti di equity, in tal modo evitando la diluizione degli azionisti e ottimizzando il costo del proprio capitale. Si tratta di strumenti tipicamente riservati a investitori istituzionali, che offrono un’opportunità di investimento normalmente considerata “più sicura” rispetto agli strumenti rappresentativi del capitale di rischio, in considerazione della gerarchia degli strumenti che compongono il capitale bancario.

Il dibattito sul caso Credit Suisse si è acceso in ragione della decisione, assunta dalle autorità svizzere, di procedere all’azzeramento integrale (total write-down) del valore nominale dei titoli AT1 emessi dalla banca senza imporre prima le perdite ai relativi azionisti. Tale scelta appare porsi in contrasto con i criteri che dovrebbero di norma definire la gerarchia degli strumenti del capitale bancario sotto il profilo dell’assorbimento delle perdite, i quali imporrebbero, infatti – almeno dal punto di vista del diritto europeo – di far gravare in primis sugli azionisti della banca e soltanto in subordine sui titolari di strumenti di debito (subordinati o meno).

Prima di analizzare la questione dal punto di vista normativo, appare opportuno ripercorrere brevemente gli accadimenti che hanno interessato Credit Suisse e le reazioni delle autorità europee al riguardo.

2. L’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS e l’azzeramento dei titoli AT1 disposto dalla FINMA

2.1  L’intervento delle autorità svizzere

Come noto, il 19 marzo 2023 il Consiglio Federale Svizzero, l’Autorità Svizzera di Regolamentazione dei Mercati Finanziari (FINMA) e la Banca Nazionale Svizzera (BNS) hanno approvato le misure necessarie, per quanto di rispettiva competenza, a consentire la prevista acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS[2].

L’operazione si è resa necessaria per consentire al gruppo Credit Suisse di superare – come affermato dalla FINMA – “una fase di sfiducia, manifestatasi in consistenti deflussi di fondi dei clienti”, che si è “acuita in ragione delle turbolenze sul mercato bancario statunitense nel marzo 2023”; secondo quanto osservato dall’autorità, “la banca, pur continuando a presentare una situazione di solvibilità, era esposta al rischio di insolvenza”, di talché le autorità svizzere “hanno dovuto adottare provvedimenti per evitare gravi danni per il mercato finanziario svizzero e internazionale”; in tale contesto, “nell’ottica di tutelare i depositanti e i mercati finanziari”, la FINMA ha approvato l’offerta di acquisto presentata da UBS.

Secondo i termini dell’offerta presentata da UBS, gli azionisti di Credit Suisse riceveranno un’azione UBS per ogni 22,48 azioni Credit Suisse da essi detenute, equivalente a 0,76 franchi svizzeri per azione, per un corrispettivo totale di 3 miliardi di franchi svizzeri[3].

2.2  Le misure di sostegno pubblico

L’operazione di acquisizione è facilitata da una serie di misure di sostegno pubblico.

La BNS ha messo a disposizione della liquidità – in forma di finanziamento prededucibile in ipotesi di fallimento, grazie alle misure introdotte dal governo federale – per un ammontare massimo complessivo di 100 miliardi di franchi svizzeri.

Sempre alla BNS è stata inoltre riconosciuta la possibilità di concedere a Credit Suisse un sostegno di liquidità, sotto forma di prestito assistito da garanzia della Confederazione, per un ammontare massimo di ulteriori 100 miliardi di franchi svizzeri.

Il governo federale ha infine emesso una garanzia di 9 miliardi di franchi svizzeri per farsi carico delle potenziali perdite derivanti da talune attività acquisite da UBS nell’ambito dell’operazione, qualora tali perdite dovessero superare una determinata soglia.

2.3 L’azzeramento dei titoli AT1

L’adozione delle forme di sostegno pubbliche sopra elencate è stata accompagnata dall’azzeramento di tutte le obbligazioni AT1 di Credit Suisse per un importo pari a circa 16 miliardi di franchi svizzeri, con corrispondente incremento dei fondi propri di base della banca. Nell’Ordinanza di necessità assunta dal Consiglio federale svizzero, come successivamente modificata, si prevede infatti il potere della FINMA di “ordinare al mutuatario e al gruppo finanziario di ammortizzare fondi propri di base supplementari[4].

Per far fronte alle numerose richieste di chiarimento pervenute in merito alla scelta di azzerare gli strumenti AT1, senza imporre alcuna perdita agli azionisti, la FINMA ha pubblicato, in data 23 marzo 2023, un comunicato stampa in cui ha evidenziato la duplice base giuridica per il c.d. write-down integrale dei titoli AT1.

Da un lato, le condizioni contrattuali che disciplinavano tali strumenti prevedevano l’azzeramento integrale degli stessi nel caso si verificasse un evento scatenante, il c.d. viability event, identificato nella concessione di un sostegno straordinario da parte dello Stato (nel caso di specie, sotto forma di mutui concessi a Credit Suisse a sostegno della liquidità con garanzia statale in caso di dissesto); dall’altro lato, l’ordine della FINMA di azzerare le obbligazioni AT1 è stato assunto sulla base dei poteri ad essa conferiti dall’Ordinanza di necessità menzionata in precedenza[5].

3. Le reazioni delle autorità europee

3.1 Il comunicato congiunto di BCE, EBA e SRB

La vicenda di Credit Suisse e i provvedimenti adottati dalle autorità svizzere hanno sollevato grande attenzione (e preoccupazione) da parte degli investitori istituzionali anche al di fuori della Confederazione elvetica[6].

Dal punto di vista istituzionale, nonostante le banche svizzere – come ben noto – non siano soggette al quadro normativo europeo in materia di risoluzione, la Banca Centrale Europea (BCE), il Single Resolution Board (SRB) e l’Autorità Bancaria Europea (EBA) hanno emesso, il 20 marzo 2023, un comunicato congiunto in cui, dopo aver manifestato il proprio apprezzamento rispetto alle azioni intraprese dalle autorità svizzere, hanno ribadito che il resolution framework comunitario è caratterizzato da una precisa gerarchia in base alla quale gli strumenti di capitale primario di classe 1 (CET1) sono i primi che vengono utilizzati per assorbire le perdite: soltanto dopo che siano stati utilizzati integralmente tali strumenti è possibile procedere a una riduzione (o azzeramento) del valore nominale degli strumenti AT1[7].

Le autorità evidenziano che l’approccio in questione è stato costantemente applicato nelle precedenti occasioni e continuerà a guidare le azioni delle autorità europee in caso di risoluzione delle crisi bancarie[8].

3.2 Il quesito posto dal caso Credit Suisse nella prospettiva del diritto europeo

La domanda che sovviene, dunque, alla luce dei chiarimenti resi dalle autorità europee, è se davvero la decisione di azzerare gli AT1 senza imporre perdite agli azionisti assunta dalla FINMA nel caso Credit Suisse rappresenti – per così dire – un’anomalia “svizzera”, o se non vi siano degli spazi, per quanto residuali, per ritenere possibile l’adozione di simili misure da parte dei governi e delle autorità competenti degli Stati membri anche con riferimento a una banca europea.

La questione non è di poco conto ed investe, in ultima analisi, le caratteristiche strutturali degli strumenti AT1 nell’architettura delineata sulla base dei c.d. Accordi di Basilea III, da cui conviene dunque prendere le mosse per ricostruire i termini del problema.

4. Gli strumenti AT1 negli Accordi di Basilea III

4.1 Gli Accordi di Basilea III (cenni)

Come noto, gli Accordi di Basilea III si sostanziano in una serie di proposte e raccomandazioni non vincolanti in materia prudenziale formulate nel 2010, in seguito alla crisi economico-finanziaria del 2007, dal Comitato di Basilea istituito presso la Bank of International Settlement.

Uno degli obiettivi perseguiti in tale sede è stato sicuramente rappresentato dal perfezionamento degli accordi precedenti (Basilea II) in materia di coefficienti patrimoniali, con l’obiettivo di incrementare i fondi propri delle banche dal punto di vista quantitativo e renderne più solida la composizione sotto il profilo qualitativo[9].

Nel quadro di Basilea III il capitale regolamentare di una banca è composto dal capitale di classe 1 (Tier 1) e dal capitale di classe 2 (Tier 2); nel capitale di classe 1 sono inclusi i menzionati strumenti di Common Equity Tier 1 (CET1) e gli strumenti di Additional Tier 1 (AT1)[10].

Il capitale di classe 1 è anche indicato come going concern capital, in quanto deve assicurare la possibilità per la banca di assorbire le perdite in condizioni di continuità aziendale (going concern); il capitale di classe 2 è invece qualificato come gone concern capital, essendo preordinato ad assorbire le perdite in una situazione in cui la banca non può più operare in condizioni di continuità aziendale (gone concern)[11].

4.2 La funzione degli strumenti AT1 negli Accordi di Basilea III

Con particolare riferimento agli strumenti AT1, nei lavori preparatori degli Accordi di Basilea III si evidenzia quanto sia importante la capacità per tali strumenti di assorbire le perdite assicurando la continuità aziendale della banca e di contribuire a tale processo senza esacerbare la situazione di crisi; viene inoltre sottolineata l’aspettativa che, in una situazione di stress finanziario, la banca possa liberamente sospendere il pagamento di dividendi e interessi in favore dei titolari di tali strumenti e che l’opzione di riacquisto dei titoli – su cui ci si soffermerà a breve – sia esercitata soltanto laddove l’emittente abbia un effettivo interesse economico a procedere in questo senso[12].

Al pari degli strumenti di Tier 2, gli strumenti AT1 devono assicurare, in base ai loro termini contrattuali, la possibilità per le autorità competenti di ridurre o azzerare il loro valore nominale o di convertire il relativo importo in azioni ordinarie quando la banca raggiunge una condizione di non sostenibilità delle proprie attività (c.d. point of non-viability o “PONV”)[13].

5. Gli strumenti AT1 nel CRR

Le caratteristiche degli strumenti AT1 delineate negli Accordi di Basilea III sono state recepite in Europa all’interno del Regolamento (UE) n. 575/2013 (CRR)[14].

Soffermandosi unicamente sulle componenti che maggiormente definiscono i connotati strutturali dei titoli AT1 ai fini della disamina in oggetto, è da evidenziare che il CRR impone il rispetto dei seguenti criteri:

  • Subordinazione – in caso di insolvenza della banca gli strumenti AT1 devono essere subordinati agli strumenti Tier 2, nonché sovraordinati agli strumenti CET1[15].
  • Natura perpetua e opzione call – gli AT1 sono titoli perpetui, vale a dire non prevedono un termine per il rimborso del capitale versato dagli investitori. È tuttavia possibile che le condizioni dello strumento prevedano – così come tipicamente avviene – un’opzione di riacquisto o rimborso da parte dell’emittente (opzione call), che può tuttavia essere esercitata soltanto una volta decorsi almeno cinque anni dalla data di emissione, previa in ogni caso autorizzazione da parte dell’autorità competente[16].
  • Assenza di incentivi al rimborso – le disposizioni che governano gli strumenti non devono prevedere alcun incentivo per il rimborso anticipato da parte della banca. Le norme tecniche emanate al riguardo ai sensi del Regolamento Delegato (UE) n. 241/2014 sono volte, in particolare, a salvaguardare la libera determinazione dell’emittente circa l’esercizio dell’opzione call – in linea con le direttive impartite in ambito Basilea III, richiamate al precedente paragrafo – non essendo ammessi meccanismi che, in caso di mancato esercizio dell’opzione, prevedano un incremento del costo del finanziamento (credit spread), riconoscano agli investitori la possibilità (o prevedano l’obbligo) di convertire gli strumenti in capitale di rischio ovvero impongano un incremento dell’importo da rimborsare agli investitori, mentre la sostituzione del tasso di riferimento è consentita soltanto a condizione che non si traduca, essenzialmente, in un aumento dello spread applicato all’emittente[17].
  • Assenza di aspettative concernenti il rimborso – per rafforzare ulteriormente le caratteristiche sintetizzate alle lettere (b) e (c) che precedono, il CRR prevede che le condizioni che disciplinano lo strumento non devono indicare, espressamente o implicitamente, che i titoli verranno riacquistati o rimborsati dalla banca, a seconda dei casi, in situazioni diverse dall’insolvenza o dalla liquidazione dell’istituto, il quale deve in ogni caso astenersi dal fornire siffatte indicazioni in qualsivoglia forma.
  • Piena discrezionalità nel pagamento di interessi o altre forme di distribuzione – secondo i termini contrattuali che governano l’emissione degli strumenti AT1, la banca deve avere piena discrezionalità nel decidere se cancellare eventuali distribuzioni in favore dei relativi titolari – ivi incluso il pagamento degli interessi – per un periodo illimitato di tempo e senza alcun obbligo di “recuperare” nei periodi successivi le distribuzioni non pagate nei periodi precedenti (non-cumulative). Gli importi recuperati attraverso la cancellazione delle distribuzioni possono essere utilizzati dalla banca senza alcuna restrizione per far fronte alle proprie obbligazioni correnti e la decisione di non procedere alla distribuzione non può costituire ipotesi di inadempimento (event of default) ai sensi dei termini contrattuali dello strumento emesso, né può comportare restrizioni di altra natura (es. negative covenant) in capo alla banca emittente.
  • Risorse utilizzabili per il pagamento di interessi o altre forme di distribuzione – le distribuzioni effettuate in favore dei titolari degli strumenti AT1 possono essere effettuate soltanto attingendo ai c.d. distributable items della banca – corrispondenti, in sintesi, all’importo degli utili di esercizio, delle riserve da utili e delle altre riserve distribuibili, al netto delle perdite portate a nuovo e delle altre somme non distribuibili ai sensi della legge applicabile o dello statuto della banca. In altri termini, laddove non vi siano utili e riserve distribuibili sufficientemente capienti, la banca non può procedere a pagare interessi o effettuare distribuzioni in favore dei titolari di strumenti AT1 (o deve ridurne l’importo di conseguenza). Sotto questo profilo, pertanto, i titolari degli strumenti AT1 “concorrono” con i titolari di strumenti CET1 nel riparto delle voci di bilancio riconducibili alla definizione di distributable items. La sospensione delle distribuzioni è comunque necessaria nelle ipotesi in cui la banca non sia in condizione di far fronte ai requisiti in materia di riserve di capitale, coefficiente di leva finanziaria o MREL[18].
  • Ammontare del pagamento degli interessi o di altre forme di distribuzione e relative condizioni – l’importo degli interessi pagati o delle distribuzioni effettuate a valere sugli strumenti AT1 non può essere modificato in ragione del merito di credito dell’emittente (o del relativo gruppo). Non è possibile, inoltre, prevedere dei meccanismi che impongano l’effettuazione di distribuzioni in caso di pagamenti in favore di strumenti aventi il medesimo rango, o rango inferiore, nella gerarchia del capitale della banca o la sospensione del pagamento di distribuzioni in favore dei titolari di altri strumenti di capitale in caso di mancata distribuzione in favore dei titolari di strumenti AT1[19];
  • Meccanismi contrattuali di assorbimento delle perdite tramite riduzione o conversione – le condizioni contrattuali che disciplinano lo strumento devono prevedere che, al ricorre di un c.d. trigger event, il valore nominale dei titoli AT1 sia ridotto, in via temporanea o permanente, o che gli strumenti siano convertiti in titoli di capitale di più elevata qualità (CET1).
  • Riduzione o conversione disposta dall’autorità – le condizioni contrattuali che disciplinano lo strumento devono altresì prevedere che la riduzione o la conversione degli strumenti AT1 possa essere disposta dalle autorità di risoluzione competenti nell’esercizio dei poteri loro attribuiti dal quadro normativo europeo.

I due criteri da ultimo menzionati sono quelli che assumono maggior rilievo sotto il profilo dell’utilizzabilità degli strumenti AT1 ai fini della risoluzione di eventuali crisi dell’istituto emittente o del relativo gruppo.

La previsione di meccanismi di assorbimento delle perdite costituisce infatti una caratteristica essenziale e di primaria importanza degli strumenti AT1 nell’impostazione adottata dal CRR, in linea con gli Accordi di Basilea III.

È bene distinguere, tuttavia, tra i due diversi meccanismi di riduzione o conversione sopra menzionati, che non devono essere tra di loro confusi.

6. I meccanismi di assorbimento contrattuale delle perdite

6.1 Assorbimento contrattuale delle perdite e trigger event

Le condizioni che governano gli strumenti AT1 devono in primo luogo prevedere la possibilità per l’emittente stesso di procedere in autonomia alla riduzione dell’importo nominale dei titoli emessi, in via temporanea o permanente, o di disporne la conversione in strumenti CET1, in assenza di un intervento da parte delle competenti autorità di risoluzione.

Trattasi di un meccanismo di assorbimento delle perdite di natura eminentemente contrattuale, che recepisce il concetto di going concern capital absorption positivizzato negli Accordi di Basilea III e che nella prassi ha portato all’elaborazione di articolate previsioni inserite all’interno del regolamento contrattuale (Terms and Conditions) degli strumenti AT1[20].

Il meccanismo in questione si attiva laddove la banca abbia accertato in qualsiasi momento (vale a dire, non necessariamente in sede di approvazione del bilancio di esercizio o contestualmente alla predisposizione di scritture contabili periodiche eventualmente richieste dalla legge o rese necessarie ai fini delle segnalazioni prudenziali) che il proprio coefficiente di CET1 si sia ridotto al di sotto di un livello minimo pari al 5,125%, ovvero alla soglia superiore eventualmente individuata dalla banca nelle condizioni contrattuali che disciplinano lo strumento (trigger event)[21]. La banca può altresì fissare ulteriori trigger event, anche con riferimento ai coefficienti patrimoniali di gruppo[22].

6.2 Differenze tra riduzione (temporanea o permanente) e conversione

Pur trattandosi di strumenti equivalenti dal punto di vista prudenziale – in quanto in entrambi i casi l’attivazione del meccanismo contrattuale di assorbimento delle perdite determina l’incremento del coefficiente di CET1 della banca[23] – la riduzione e la conversione presentano caratteristiche profondamente diverse:

Riduzione – laddove il regolamento del titolo AT1 preveda la riduzione (write-down) degli strumenti AT1 al ricorrere di un trigger event, la banca è tenuta a ridurne l’importo fino a che non sia ristabilito il coefficiente minimo del 5,125% di CET1 indicato in precedenza[24]. La riduzione dello strumento può essere a sua volta temporanea o permanente.

In ipotesi di riduzione temporanea (temporary write-down), la banca ha la possibilità di reintegrare il valore nominale degli strumenti (write-up) utilizzando gli utili di esercizio realizzati successivamente al write-down, nel rispetto, in ogni caso, delle condizioni fissate dalla normativa applicabile[25].

In caso di riduzione permanente (permanent write-down), di contro, il valore nominale degli strumenti non è suscettibile di successiva reintegrazione.

Conversione – qualora il regolamento dei titoli AT1 preveda la conversione degli stessi in strumenti computabili nel CET1 della banca, le condizioni contrattuali devono specificare il tasso di conversione e il limite all’ammontare convertibile, ovvero il range entro cui i titoli si convertiranno in strumenti CET1[26]. Ancora più importante è il requisito secondo cui, in tali ipotesi, le banche devono in ogni momento assicurare che le azioni di cui sia stata autorizzata l’emissione (authorised share capital) siano in ogni momento sufficienti a coprire il fabbisogno necessario per effettuare la conversione al ricorrere di un trigger event e che la banca disponga di tutte le autorizzazioni a tal fine occorrenti, anche dal punto di vista del diritto societario[27].

Dalla prospettiva dell’investitore, non è ovviamente indifferente la scelta circa il meccanismo contrattuale di assorbimento delle perdite.

In caso di riduzione temporanea (temporary write-down), infatti, gli investitori conservano comunque la possibilità di “recuperare”, in un successivo momento, il valore nominale dei titoli oggetto di riduzione tramite write-up, ancorché tale opzione sia rimessa alla piena discrezionalità della banca emittente.

In ipotesi di conversione, gli investitori restano titolari di strumenti di equity, potendo partecipare a un potenziale upside derivante da un eventuale apprezzamento nel valore del capitale della banca successivamente alla conversione stessa.

In uno scenario di riduzione permanente, gli investitori rischiano di perdere integralmente il capitale investito senza possibilità di successivo recupero.

7. La riduzione o la conversione a seguito dell’esercizio dei poteri delle autorità di risoluzione

7.1 Presupposti per l’esercizio dei poteri di riduzione o conversione

In aggiunta ai meccanismi di riduzione o conversione di natura contrattuale, gli strumenti AT1 devono prevedere espressamente la possibilità per le autorità di risoluzione di esercitare dei poteri di riduzione o conversione, congiuntamente all’adozione di misure di risoluzione (o indipendentemente dalle stesse) ai sensi della Direttiva 2014/59/UE (BRRD)[28].

Secondo quanto previsto dalla direttiva[29], tali poteri sono esercitati al ricorrere di uno dei seguenti presupposti[30]:

  • Risoluzione – la riduzione o la conversione è disposta quando sussistono le condizioni per porre la banca in risoluzione, prima che sia adottata qualsiasi azione di risoluzione. Tali condizioni consistono[31] nel fatto che (i) la banca deve essere in una situazione di dissesto o a rischio di dissesto (failing or likely to fail)[32], (ii) non vi sono ragionevolmente delle misure alternative, di carattere privato o consistenti nell’esercizio dei poteri di vigilanza, che possano prevenire il dissesto in questione entro un lasso di tempo ragionevole, e (iii) l’adozione di un’azione di risoluzione è necessaria per ragioni di interesse pubblico[33].
  • Non-viability – i poteri in discorso possono essere esercitati anche nel caso in cui l’autorità competente determini che l’esercizio degli stessi è necessario per evitare che la banca (o il relativo gruppo) versi in condizioni di non sostenibilità delle proprie attività (non-viability). Tale requisito può dirsi rispettato soltanto in presenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle richiamate alla lettera (a) che precede in relazione alle ipotesi di risoluzione, fatta eccezione per il requisito di cui al punto (iii) relativo all’interesse pubblico.
  • Sostegno finanziario pubblico straordinario – i poteri di riduzione o conversione sono esercitati laddove la banca acceda a misure di sostegno finanziario pubblico straordinario[34], fatte salve le ipotesi eccezionali, contemplate dalla BRRD, in cui tale sostegno pubblico sia concesso al fine di porre rimedio a un serio squilibrio nell’economia di uno Stato membro con l’obiettivo di preservare la stabilità finanziaria dello Stato in questione nella forma della c.d. “ricapitalizzazione precauzionale”.

Le ipotesi eccezionali da ultimo menzionate alla lettera (c) sono quelle in cui l’istituzione non è da ritenersi in stato di dissesto o a rischio di dissesto, in assenza degli altri indici considerati a tal fine dalla BRRD. In queste ipotesi, il sostegno pubblico può essere concesso in forma di (i) una garanzia statale a copertura di linee di credito fornite da banche centrali alle condizioni determinate da queste ultime, (ii) una garanzia statale su obbligazioni di nuova emissione o (iii) una ricapitalizzazione pubblica effettuata a condizioni di prezzo che non siano favorevoli per la banca (c.d. “ricapitalizzazione precauzionale”).

In caso di c.d. “ricapitalizzazione precauzionale” considerata al punto (iii), gli importi versati devono essere limitati a quanto necessario per coprire il fabbisogno di capitale determinato sulla base di stress test e asset quality review condotti dalle autorità di vigilanza nazionali o europee.

La direttiva impone che le misure eccezionali sopra indicate – necessariamente precauzionali, temporanee e proporzionate – siano adottate in relazione a banche solventi, non siano volte ad assorbire perdite, attuali o future, delle banche interessate dall’intervento e siano approvate ai sensi della disciplina europea sugli aiuti di Stato[35].

Laddove si ricada in una di tali ipotesi eccezionali, non è richiesta l’applicazione delle norme di cui alla BRRD, incluso con riferimento ai profili esaminati al paragrafo che segue[36].

7.2 Gerarchia dei crediti in caso di riduzione o conversione

L’esercizio dei poteri di riduzione e conversione deve necessariamente avvenire secondo la gerarchia (priority of claims) stabilita dalla BRRD, la quale al riguardo dispone – ai fini che qui interessano – che la riduzione o la conversione in strumenti CET1 del valore nominale di titoli AT1 possa avvenire soltanto dopo che si sia proceduto alla riduzione degli strumenti CET1[37].

La stessa gerarchia degli strumenti di capitale si ritrova nell’analoga disposizione dettata con riferimento all’esercizio del potere di c.d. bail-in, laddove si prevede che gli strumenti computabili nel CET1 della banca debbano essere ridotti prima che si proceda a un’eventuale riduzione degli strumenti AT1[38].

8. Interventi di sostegno pubblico in caso di crisi bancarie

8.1 Aiuti di stato nel settore bancario: la Comunicazione della Commissione europea

Come evidenziato nel paragrafo che precede, la BRRD contempla dunque la possibilità che le autorità pubbliche forniscano supporto alle banche in crisi attraverso la concessione di aiuti di Stato – analogamente a quanto accaduto nel caso di Credit Suisse.

La disciplina delineata dalla BRRD interagisce, pertanto, con il generale divieto di aiuti di Stato stabilito quale principio dell’Unione europea dal TFUE, alla cui stregua – come noto – sono normalmente incompatibili con il mercato interno gli aiuti concessi dagli Stati, sotto qualsiasi forma, che, favorendo talune imprese, falsino o minaccino di falsare la concorrenza[39].

La Commissione europea ha emesso un’apposita Comunicazione, risalente al 30 luglio 2013, concernente l’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria[40], la quale stabilisce il principio di condivisione degli oneri (c.d. burden sharing), secondo cui prima di concedere un qualsiasi tipo di aiuto di Stato è necessario che le perdite siano anzitutto ripartite tra i titolari di strumenti di capitali e successivamente tra i titolari di strumenti ibridi di patrimonializzazione e titoli di debito subordinati[41]; anche in questo caso, la Comunicazione specifica che il contributo dei titolari di strumenti ibridi di patrimonializzazione e titoli di debito subordinati può assumere le forme di una riduzione dell’importo nominale del capitale o di una conversione in strumenti di capitale. Il contributo da parte dei titolari di strumenti di debito non subordinati (senior) non è di contro richiesto per rendere legittimo l’aiuto di Stato concesso.

Le direttive impartite dalla Commissione europea si pongono, pertanto, in linea con i principi sopra enucleati in termini di gerarchia nell’assorbimento delle perdite, salvo quanto di seguito specificato in ordine alle differenze con la BRRD.

8.2 La natura non vincolante della Comunicazione della Commissione europea alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia e le eccezioni al burden sharing contemplate nella stessa Comunicazione

è importante notare che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 19 luglio 2016 (c.d. “caso Kotnik”, causa C-526/14[42]) ha dichiarato che la Comunicazione “dev’essere interpretata nel senso che essa non ha effetti vincolanti nei confronti degli Stati membri”, in quanto “non è idonea a creare obblighi autonomi in capo agli Stati membri, ma si limita a stabilire condizioni che mirano a garantire la compatibilità con il mercato interno di aiuti di Stato accordati alle banche nel contesto della crisi finanziaria, di cui la Commissione deve tener conto nell’esercizio dell’ampio margine di discrezionalità di cui essa dispone ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), TFUE”.

Il rispetto delle condizioni stabilite nella Comunicazione – ivi incluso il burden sharing – è condizione sufficiente, ma non necessaria, affinché la Commissione sia vincolata, in linea di principio, ad autorizzare un aiuto di Stato nel settore bancario[43]. Come affermato dalla Corte di Giustizia, gli Stati membri, nondimeno, “conservano la facoltà di notificare alla Commissione progetti di aiuti di Stato che non soddisfano i criteri previsti da detta comunicazione e la Commissione può autorizzare progetti siffatti in circostanze eccezionali”.

L’applicazione del c.d. burden sharing potrebbe, pertanto, non essere necessaria, in astratto, per l’approvazione di un aiuto di Stato da parte della Commissione.

D’altra parte, la stessa Comunicazione contempla la possibilità che, in via eccezionale, il requisito del burden sharing non sia applicato nell’ipotesi in cui l’implementazione di tali misure possa danneggiare la stabilità finanziaria o condurre a risultati sproporzionati. L’eccezione può trovare applicazione qualora l’aiuto di Stato sia ridotto in confronto agli attivi ponderati per il rischio (RWA) di una banca e la carenza di capitale sia stata ridotta significativamente attraverso altre misure (es. aumento di capitale, conversione volontaria degli strumenti subordinati in strumenti di capitale, operazioni di c.d. liability management exercise (LME), vendita di asset, cartolarizzazioni, etc.). Nelle ipotesi eccezionali in discorso, è anche possibile riconsiderare la sequenza delle misure da adottare per far fronte a un’eventuale carenza di capitale della banca[44].

8.3 Sostegno finanziario pubblico e uso dei fondi di risoluzione nell’impostazione della BRRD (cenni)

Rispetto ai requisiti di cui alla Comunicazione, la BRRD detta delle condizioni più stringenti affinché la risoluzione di una banca possa essere finanziata con risorse pubbliche o fondi di risoluzione, in particolare imponendo che tali risorse possano essere apportate soltanto a condizione che i titolari di azioni, strumenti di capitale e altre passività soggette al bail-in abbiano subito perdite, tramite riduzione o conversione delle relative pretese, per un importo non inferiore all’8% delle passività totali (inclusi i fondi propri) della banca al momento della risoluzione[45].

La BRRD è più prescrittiva, pertanto, in ordine al quantum del burden sharing che deve essere imposto prima che possa realizzarsi un intervento pubblico, mentre la Comunicazione della Commissione si limita a precisare che il burden sharing debba essere “adeguato”. La BRRD impone inoltre un limite massimo alle misure di sostegno realizzabili tramite fondi di risoluzione e include i titolari di strumenti di debito o obbligazioni senior tra i destinatari delle misure di burden sharing (a differenza della Comunicazione della Commissione).

9. Gerarchia dei creditori e aiuti di Stato: è davvero impossibile un caso Credit Suisse in Europa?

9.1 Finalità e interpretazione dello statement congiunto delle autorità europee in relazione al caso Credit Suisse

Ricostruita la normativa europea applicabile agli strumenti AT1 e ai relativi poteri di riduzione e conversione e tornando, dunque, al quesito di partenza, è da osservare che gli statement congiunti emessi dalle autorità europee in relazione al caso Credit Suisse sono certamente volti a rassicurare il mercato in ordine alla “tenuta” della gerarchia degli strumenti di capitale bancario in ipotesi di risoluzione o insolvenza ai sensi del framework regolamentare europeo.

Gli strumenti AT1 non sono nuovi a episodi di significativa volatilità[46] e il nervosismo degli investitori è stato di recente acuito, ad esempio, dalla decisione assunta da alcune banche tedesche di non esercitare l’opzione call sui titoli AT1 emessi, evitando in tal modo di doversi rifinanziare sul mercato a tassi considerati proibitivi[47]. Negli stessi giorni, alcuni strumenti AT1 emessi da Deutsche Bank ad un tasso del 7,5% venivano negoziati con un rendimento implicito del 27%, corrispondente a circa tre volte il rendimento registrato appena due settimane prima[48].

È comprensibile, pertanto, che le autorità siano intervenute tempestivamente per confermare la solidità della gerarchia degli strumenti rientranti nel capitale bancario prevista dalla normativa europea, con l’obiettivo di rasserenare i mercati. La risposta fornita dalle autorità europee sembra tuttavia assumere che ogni crisi bancaria sia risolta tramite gli strumenti del framework europeo in materia di risoluzione, il che potrebbe non accadere, invero, in tutte le ipotesi.

9.2 L’applicazione della gerarchia dei crediti di cui alla BRRD in ipotesi ordinarie di risoluzione e in caso di sostegno finanziario pubblico eccezionale

Riprendendo i contenuti del comunicato congiunto emesso dalle autorità europee, è senz’altro vero che in caso di applicazione di misure di risoluzione da parte delle autorità competenti, la riduzione o la conversione degli strumenti AT1 emessi da una banca europea potrebbe avvenire soltanto a seguito dell’assorbimento delle perdite da parte degli strumenti CET1.

Così come è vero che l’adozione di una misura di sostegno pubblico o tramite fondi di risoluzione, ai sensi della BRRD, potrebbe avvenire soltanto dopo che sia garantito il c.d. burden sharing, imponendo agli azionisti e ai creditori della banca di subire le perdite per un importo almeno pari all’8% del totale delle passività; il che rende a dir poco improbabile l’adozione di una simile misura di sostegno finanziario pubblico o l’intervento del fondo di risoluzione senza che venga imposto agli azionisti in primis di farsi carico degli oneri di ristrutturazione del capitale dell’ente.

Dall’altro lato, tuttavia, occorre evidenziare che la decisione delle autorità svizzere non è stata adottata – in base alle dichiarazioni rese – nei confronti di una banca in stato di dissesto o insolvenza bensì, come espressamente indicato nel comunicato stampa del 19 marzo 2023, verso un ente che continuava a presentare una “situazione di solvibilità e che tuttavia si trovava in una condizione di potenziale stress finanziario. La decisione è stata inoltre giustificata dall’esigenza di garantire la stabilità del sistema finanziario svizzero, che sarebbe stato gravemente danneggiato dal tracollo di Credit Suisse per ragioni a tutti evidenti.

Le circostanze affrontate dalle autorità svizzere appaiono dunque assomigliare ai casi in cui, ai sensi della BRRD, è possibile per gli Stati membri fornire un sostegno finanziario pubblico straordinario al fine di porre rimedio a una situazione di serio squilibrio nell’economia di uno Stato membro con l’obiettivo di preservare la stabilità finanziaria dello Stato in questione (si veda supra al par. 7, lettera (c)).

Si ipotizzi, ad esempio, il caso di una banca di dimensioni molto rilevanti per l’economia nazionale che, pur non essendo in dissesto o a rischio di dissesto, mostri delle carenze di capitale sulla base degli stress test condotti dalle autorità competenti: in tale ipotesi, le autorità potrebbero rilasciare delle garanzie pubbliche sulle passività emesse dalla banca in questione o sulle linee di liquidità concesse alla stessa (come nel caso di Credit Suisse) se non anche intervenire direttamente tramite una ricapitalizzazione precauzionale, come peraltro accaduto in passato in Italia[49], senza che trovino applicazione le norme sulla gerarchia degli strumenti di capitale previste dalla BRRD.

L’intervento sarebbe soggetto ai vincoli previsti dalla disciplina in materia di aiuti di Stato e spetterebbe, dunque, alla Commissione europea valutare la compatibilità dello stesso con le norme del TFUE.

9.3 Le regole meno stringenti previste dalla Comunicazione della Commissione sugli aiuti di Stato

Come si è visto in precedenza, la Comunicazione della Commissione sugli aiuti di Stato nel settore bancario richiede a sua volta la riduzione del valore delle azioni prima degli strumenti AT1 per poter considerare legittimo un intervento pubblico.

Dall’altro lato, tuttavia, la Comunicazione non è vincolante per gli Stati membri, i quali possono pertanto adottare degli schemi differenti. La stessa Comunicazione contempla la possibilità di derogare al principio di burden sharing, consentendo anche di riconsiderare la sequenza delle misure da adottare per far fronte a un’eventuale carenza di capitale della banca, ancorché in circostanze eccezionali – come è probabile che sia da considerare la crisi di una banca come Credit Suisse, memori dell’esperienza del too-big-too-fail.

In uno scenario di intervento pubblico regolato unicamente dalla Comunicazione della Commissione europea, pertanto, è astrattamente ipotizzabile che uno Stato membro si discosti dai principi in materia di burden sharing in essa stabiliti.

9.4 Risoluzioni al di fuori della BRRD: il caso delle banche venete

In aggiunta a quanto sopra, giova osservare che già in altre occasioni si è assistito all’adozione di misure di soluzione delle crisi di enti creditizi sottratte al quadro normativo della BRRD, ma che hanno di fatto comportato degli effetti equivalenti a una vera e propria risoluzione realizzata in conformità ai principi della direttiva.

Emblematico è il caso dei provvedimenti adottati rispetto alla Banca Popolare di Vicenza e a Veneto Banca sulla base del Decreto Legge 99/2017, convertito con modificazioni dalla Legge 121/2017, con il quale è stata disposta, nei fatti, una risoluzione extra ordinem delle due banche.

A seguito della valutazione effettuata dalla BCE circa la situazione di dissesto (o verosimile dissesto) in cui versavano i due istituti, infatti, l’SRB decise di non procedere all’applicazione delle misure di risoluzione ai sensi della BRRD, in quanto ritenute non conformi all’interesse pubblico, e di acconsentire alla liquidazione delle banche secondo le norme ordinarie in materia di insolvenza[50].

La liquidazione coatta amministrativa delle due banche venete ha seguito, tuttavia, uno schema molto simile (a dir poco) all’utilizzo congiunto degli strumenti della bad bank e della cessione delle attività (sale of assets) ai sensi della BRRD, senza tuttavia seguire formalmente le norme dettate dalla relativa normativa italiana di attuazione.

L’operazione è stata inoltre facilitata da misure di sostegno statale di varia natura (garanzie, finanziamenti pubblici e sostegno finanziario pubblico a fronte del fabbisogno di capitale generato dall’operazione di cessione) che sono state messe a disposizione applicando le norme in materia di aiuti di Stato e il principio di burden sharing previsto dalla Comunicazione della Commissione.

10. Considerazioni sul caso Credit Suisse e su alcuni aspetti problematici del framework normativo europeo in materia di gestione delle crisi bancarie e strumenti AT1

10.1 L’azzeramento integrale degli AT1 potrebbe interessare anche banche europee?

In conclusione, il caso Credit Suisse rappresenterebbe un’anomalia nel quadro normativo europeo assumendo che qualsiasi crisi bancaria sia risolta sempre e comunque applicando effettivamente le norme di cui alla BRRD e la relativa gerarchia degli strumenti del capitale bancario.

Il salvataggio di Credit Suisse è tuttavia avvenuto in circostanze che, ai sensi della normativa europea, potrebbero in linea di principio giustificare il ricorso a strumenti di sostegno pubblico straordinario al di fuori della BRRD e senza rispettare necessariamente la gerarchia prevista dalla direttiva.

Se è vero che simili interventi dovrebbero essere approvati dalla Commissione ai sensi delle norme sugli aiuti di Stato, occorre ricordare nuovamente che la Comunicazione della Commissione sugli aiuti di Stato nel settore bancario e la relativa gerarchia dei crediti non è vincolante per gli Stati membri e riconosce degli spazi di manovra anche con riferimento all’applicazione del principio del burden sharing.

L’esperienza insegna inoltre che in altri casi – si pensi alla liquidazione delle banche venete – il framework della BRRD non ha trovato applicazione e gli Stati membri hanno gestito le crisi bancarie applicando i principi, meno stringenti, in materia di aiuti di Stato e burden sharing di cui alla richiamata Comunicazione della Commissione europea.

Naturalmente la possibilità, in astratto, di discostarsi dai principi sulla gerarchia dei crediti affermati dal quadro normativo europeo, nei limiti sopra evidenziati, non implica che l’azzeramento di strumenti AT1 in assenza di una contestuale riduzione degli strumenti CET1 sarebbe compatibile con la normativa applicabile a livello europeo o nazionale: qualsiasi misura di questo genere andrebbe infatti vagliata alla luce delle norme analizzate nei paragrafi che precedono e richiederebbe probabilmente lo svolgimento di complesse analisi dal punto di vista della tutela (societaria, civilistica e, a ben vedere, costituzionale) dei diritti dei creditori, anche sulla scorta del c.d. “no creditor worse off principle”.

10.2  I titoli AT1 sono ancora strumenti di going concern capital?

La vicenda esaminata induce in ogni caso a svolgere alcune brevi considerazioni anche sulla funzione degli strumenti AT1, i quali, come illustrato in precedenza, sono stati pensati e nascono come strumenti di going concern capital, destinati per loro natura ad assorbire le perdite in uno scenario di continuità aziendale.

Essi dovrebbero essere pertanto ordinariamente preposti ad assorbire le perdite prima che le stesse si ripercuotano sugli altri strumenti di capitale della banca, ivi inclusi gli strumenti CET1.

La gerarchia degli strumenti del capitale bancario, in altri termini, dovrebbe valere unicamente in ipotesi di risoluzione, insolvenza o liquidazione della banca, o comunque quando i meccanismi di riduzione e conversione degli strumenti AT1 sono attivati su impulso delle autorità di risoluzione. In uno scenario di going concern, senza l’intervento dell’autorità di risoluzione, la banca emittente dovrebbe essere pienamente legittimata a imporre la riduzione o la conversione degli strumenti AT1 prima di ridurre il proprio capitale sociale (e anzi, se del caso, proprio per assorbire le perdite ed evitare tale riduzione).

Per certi versi, dunque, la riduzione, l’azzeramento o la conversione dei titoli AT1 in via prioritaria rispetto agli altri strumenti di capitale della banca – come accaduto nel caso Credit Suisse – dovrebbe costituire l’ipotesi ordinaria di assorbimento delle perdite, per le quali tali strumenti sono stati per l’appunto immaginati[51]. La mancata operatività, nella prassi, dei meccanismi contrattuali di assorbimento delle perdite rischia di snaturare i titoli AT1, trasformandoli in strumenti di gone concern capital caratterizzati, tuttavia, da un più elevato grado di incertezza sotto il profilo dei diritti dei relativi titolari[52].

10.3  Prospettive di riforma

Da quanto sin qui esposto emerge inoltre come il difetto di coordinamento tra la BRRD e la disciplina europea in materia di aiuti di Stato con riferimento all’applicazione del principio del burden sharing rappresenti un potenziale vulnus del framework normativo europeo in materia di risoluzione, aprendo le porte a possibili interventi di risoluzione “innovativi” che si svolgano al di fuori dei binari tracciati dalla BRRD, anche sotto il profilo della gerarchia degli strumenti del capitale bancario.

Anche la decisione assunta dall’SRB nel caso delle banche venete potrebbe portare all’applicazione di regimi differenziati, a seconda delle dimensioni e della rilevanza delle banche interessate, consentendo potenzialmente agli Stati membri di sottrarsi all’applicazione dei principi introdotti dalla BRRD.

Queste lacune nel quadro normativo europeo contribuiscono a ridurre la certezza del diritto per i titolari di strumenti AT1 e a incrementarne la volatilità.

Secondo le indiscrezioni di recente trapelate, la Commissione europea si starebbe muovendo nel senso di limitare la facoltà degli Stati di adottare delle misure di sostegno pubblico al di fuori del quadro normativo delineato dalla BRRD, in particolare per il tramite di “ricapitalizzazioni precauzionali”, e di ampliare l’ambito di applicazione della BRRD anche alle banche “minori” riformando il concetto di “interesse pubblico” previsto dalla direttiva; la risoluzione secondo il quadro normativo di cui alla BRRD diverrebbe inoltre la via preferenziale nella gestione delle crisi, mentre sarà più difficile ricorrere alla liquidazione ordinaria secondo le norme nazionali[53].

Resta da vedere se le proposte che saranno formulate sul punto saranno in grado di chiarire i profili di ambiguità che ancora oggi interessano il regime normativo europeo applicabile in caso di crisi bancarie.

[1]     L’emissione in forma di titoli di debito non è richiesta dalla normativa regolamentare di riferimento, essendo possibile, in linea di principio, che strumenti AT1 siano strutturati anche in forma differente (es. strumenti finanziari partecipativi o azioni speciali).

[2]     Sul punto, si veda quando indicato nel comunicato stampa rilasciato dalla FINMA e disponibile al seguente indirizzo https://www.finma.ch/it/~/media/finma/dokumente/dokumentencenter/8news/medienmitteilungen/2023/03/20230319-mm-cs-ubs.pdf?sc_lang=it&hash=3C6CD94EC0E1EC6267D7C0B9E073EBB9, in aggiunta alle informazioni e ai documenti messi a disposizione del pubblico sul proprio sito web dal Consiglio federale svizzero al link che segue https://www.efd.admin.ch/efd/it/home/piazza-finanziaria/acquisizione-credit-suisse-ubs.html.

[3]     Al riguardo, si veda il comunicato stampa pubblicato da UBS sul proprio sito web, disponibile al seguente indirizzo https://www.ubs.com/global/en/media/display-page-ndp/en-20230319-tree.html.

[4]     Il testo dell’Ordinanza è stato dapprima adottato in data 16 marzo 2023 e successivamente modificato il 19 marzo 2023. La previsione in commento è contenuta nell’art. 5a dell’ordinanza modificata, disponibile all’indirizzo web indicato nella nota 2.

[5]     Il comunicato stampa della FINMA è disponibile al seguente link: https://www.finma.ch/it/news/2023/03/20230323-mm-at1-kapitalinstrumente/. L’intervento delle autorità svizzere è difeso da E. Martino e T. Vos, Credit Suisse CoCos: Why the Write-Down Makes Sense, Oxford Business Law Blog, 6 aprile 2023 (https://blogs.law.ox.ac.uk/blog-post/2023/04/credit-suisse-cocos-why-write-down-makes-sense).

[6]     Si legga, senza pretesa di esaustività e a titolo esemplificativo, https://www.ilsole24ore.com/art/banche-salvataggio-cs-molti-nodi-sciogliere-contraccolpi-mercato-at1-AES7bD7C.

[7]     Si veda https://www.bankingsupervision.europa.eu/press/pr/date/2023/html/ssm.pr230320~9f0ae34dc5.en.html.

[8]     Sempre il 20 marzo 2023 la Bank of England ha pubblicato un proprio statement nel quale, in modo analogo a quanto fatto dalle autorità europee, è stato precisato che il resolution framework del Regno Unito prevede un ordine chiaro secondo il quale gli strumenti AT1 sono sovraordinati agli strumenti di CET1 e i detentori di titoli AT1 possono fare affidamento sul fatto che la loro esposizione alle perdite in caso di risoluzione o insolvenza seguirà tale gerarchia. Per lo Statement della Bank of England si veda https://www.bankofengland.co.uk/news/2023/march/boe-statement-uk-creditor-hierarchy.

[9]     Sugli accordi di Basilea e sulla disciplina prudenziale si vedano in letteratura ex multiis: P. Manzoni, Il patrimonio netto nelle società ordinarie e bancarie e i principi contabili IAS/IFRS, Giuffrè, 2020; V. Bevivino, I requisiti degli strumenti di capitale primario di classe 1. Appunti per uno studio del capitale delle banche, in Ricerche giuridiche, 8(2), 89-114, 2019; F. Accettella, L’Accordo di Basilea III: contenuti e processo di recepimento all’interno del diritto dell’UE, BBTC, 2013; V. Caldara Buonaura, L’attività degli intermediari finanziari nella regolamentazione sovranazionale, RODC, 2013.

[10]   Si veda, in particolare, il documento (Basel III: A global regulatory framework for more resilient banks and banking systems) disponibile al seguente link: https://www.bis.org/publ/bcbs189.pdf. Senza entrare nel merito delle singole disposizioni di dettaglio, basti in questa sede ricordare che in seguito agli Accordi di Basilea III, le banche sono tenute al soddisfacimento nel continuo dei seguenti requisiti di fondi propri: (a) un coefficiente di capitale primario di classe 1 del 4,5%; (b) un coefficiente di capitale di classe 1 del 6%; (c) un coefficiente di capitale totale dell’8%; e (d) un coefficiente di leva finanziaria del 3%. Requisiti aggiuntivi possono essere imposti dalle autorità competenti nell’ambito delle misure c.d. di Secondo Pilastro (Pillar 2).

[11]   Per quanto attiene alle caratteristiche qualitative degli strumenti di fondi propri, rispetto al previgente quadro in vigore sotto gli Accordi di Basilea II, gli Accordi di Basilea III hanno essenzialmente (a) circoscritto alle azioni ordinarie (o strumenti equiparabili) la categoria degli strumenti di più elevata qualità computabili nel capitale primario di classe 1 (CET1), (b) reso significativamente più stringenti, rispetto a quanto previsto in precedenza, i criteri applicabili agli strumenti ibridi di patrimonializzazione ai fini della loro computabilità nei fondi propri della banca, (c) semplificato la struttura del capitale di classe 2, eliminando le diverse sotto-categoria che erano previste in precedenza e introducendo un insieme univoco di criteri per la qualificazione degli strumenti in questione, e (d) abolito la categoria degli strumenti rientranti nel capitale di classe 3.

[12]   Si veda ai paragrafi 67, 76 e 77 del documento di consultazione (Strengthening the resilience of the banking sector) disponibile al seguente link: https://www.bis.org/publ/bcbs164.pdf.

[13]   I requisiti di c.d. PONV loss absorption sono stati emanati successivamente dal Comitato di Basilea e sono contenuti nel documento denominato Minimum requirements to ensure loss absorbency at the point of non-viability, disponibile al seguente link: https://www.bis.org/publ/bcbs164.pdf.

[14]   Si veda, in particolare, l’art. 52 del CRR.

[15]   Si veda l’art. 28, par. 1, lett. (j), del CRR.

[16]   L’autorizzazione è concessa al ricorrere delle condizioni specificate all’articolo 77 del CRR. In casi eccezionali, è possibile procedere al rimborso o al riacquisto degli strumenti AT1 prima che sia decorso il termine di cinque anni, purché ricorrano le condizioni specificate nell’articolo 78, par. 4, del CRR. In linea con la previsione menzionata, nella prassi l’opzione di rimborso o riacquisto anticipato viene contemplata, tra l’altro, in caso di eventi che possano determinare una diversa qualificazione dei titoli ai fini prudenziali (regulatory call) o un diverso trattamento degli stessi dal punto di vista fiscale (tax call).

[17]   Le norme tecniche in materia di incentivi al rimborso di cui al Regolamento Delegato (UE) n. 241/2014 sono attualmente in corso di revisione – si veda il Final Report dell’EBA del 26 maggio 2021 (EBA/RTS/2021/05).

[18]   In particolare, nel caso in cui la banca non soddisfi il proprio requisito combinato di riserve di capitale (combined buffer requirement) ai sensi dell’art. 141 della Direttiva 2013/36/UE (CRD), le distribuzioni che possono essere effettuate, tra l’altro, in relazione agli strumenti AT1 sono limitate all’importo del c.d. maximum distributable amount (MDA) calcolato ai sensi delle norme applicabili. Analoghe disposizioni trovano applicazione in caso di mancato soddisfacimento dei requisiti in materia di coefficiente di leva finanziaria (leverage buffer requirement) ovvero di MREL: in queste ipotesi, le distribuzioni devono essere limitate all’importo del maximum distributable amount connesso, rispettivamente, al coefficiente di leva finanziaria (L-MDA) ovvero all’MREL (M-MDA) della banca.

[19]   Si veda l’art. 53 del CRR, il quale vieta inoltre la possibilità di prevedere un obbligo di sostituire il pagamento di interessi o dividendi con dei pagamenti in altra forma (es. distribuzioni in natura).

[20]   La prassi al riguardo è in larga parte uniforme anche grazie alla pubblicazione dello Standard Template dell’EBA recante le condizioni contrattuali standard degli strumenti AT1, disponibile all’indirizzo https://www.eba.europa.eu/eba-updates-on-monitoring-of-additional-tier-1-instrumen-1.

[21]   Art. 54, par. 1, lett. (a), del CRR.

[22]   Art. 54, par. 1, lett. (b), del CRR. La possibilità di fare riferimento a coefficienti di gruppo è espressamente riconosciuta nello Standard Template pubblicato dall’EBA e nel Final Report sugli strumenti AT1 emesso dall’EBA il 24 giugno 2021 (EBA/REP/2021/19), dove anzi si afferma che “the EBA considers that there should be a trigger on the basis of all levels of solvency applicable to the institution (or the banking group). This means that there should be a trigger on the basis of consolidated CET1 when the entity is supervised on a consolidated basis, based on sub-consolidated figures when the entity is supervised on a sub-consolidated basis, and based on solo figures when the entity is supervised on a solo basis, as well as any applicable combination of any of the cases mentioned above”. In caso di strumenti emessi da una banca soggetta al controllo di una società capogruppo (holding company), la mancata inclusione di trigger riferibili alla situazione consolidata di gruppo impedisce di considerare gli strumenti in questione computabili ai fini dei coefficienti prudenziali consolidati, ma non ai fini dei coefficienti individuali della banca.

[23]   L’art. 54, par. 2, del CRR stabilisce che la riduzione o la conversione degli strumenti AT1 devono generare elementi computabili nel CET1 della banca ai sensi delle disposizioni contabili applicabili a quest’ultima.

[24]   Art. 54, par. 4, del CRR.

[25]   Si veda, in particolare, l’art. 21 del Regolamento Delegato n. 241/2014. Nella prassi si prevede che l’ammontare degli strumenti a seguito di riduzione non possa in ogni caso scendere al di sotto di un importo minimo di un centesimo (c.d. one-cent floor) per evitare che lo strumento debba considerarsi estinto ai sensi delle applicabili disposizioni di diritto societario o civile. Il tema è stato affrontato dall’EBA nel proprio Report sugli strumenti AT1 emesso il 24 giugno 2021 (EBA/REP/2021/19).

[26]   Nella prassi si prevede, come clausola di salvaguardia, che, laddove la banca non abbia la possibilità, per qualsivoglia motivo, di emettere o consegnare le azioni a servizio della conversione, gli strumenti AT1 emessi debbano essere comunque azzerati in forza di un meccanismo di permanent write-down. Tale prassi è stata da ultimo avallata dall’EBA con il Final Report emesso nel giugno 2021 citato in precedenza, a condizione che non si traduca in un indebolimento dei requisiti richiamati nel prosieguo del testo circa la necessità di assicurare in ogni momento la sussistenza di tutte le condizioni per poter effettuare la conversione.

[27]   Art. 54, par. 6, del CRR.

[28]   Art. 59, par. 1, della BRRD. L’esercizio dei poteri in discorso è disciplinato anche all’interno del Regolamento (UE) n. 806/2014, relativo al Single Resolution Mechanism, che tuttavia non sarà considerato nel prosieguo del testo per semplicità di esposizione.

[29]   In via di estrema sintesi, a seguito della BRRD, sono previste dall’ordinamento misure di prevention, early intervention e resolution: le prime sono rappresentate dagli istituti del piano di risanamento e del piano di risoluzione; le seconde includono la possibilità di adottare provvedimenti straordinari e di sospensione dei pagamenti, nonché gli istituti dei poteri di intervento sugli esponenti aziendali e di removal; le terze, che si collocano a cavallo dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa, comprendono (a) la vendita di una parte dell’attività a un acquirente privato (sale of business tool), (b) il trasferimento temporaneo delle attività e passività a un ente-ponte costituito e gestito al fine di proseguire le funzioni più importanti e in modo prodromico alla successiva vendita sul mercato (bridge institution tool, (iii) il trasferimento delle attività deteriorate a un veicolo che si occupi della relativa liquidazione in tempi ragionevoli (asset separation tool, più noto nel gergo con il termine bad bank), e (iv) l’applicazione del bail-in, ossia la svalutazione di azioni e crediti o la loro conversione in azioni, al fine di assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in crisi o una nuova entità che continui a svolgere le funzioni essenziali. Per un’analisi puntuale di tali istituti e della loro applicazione in Italia si veda S. Bonfatti, Crisi bancarie in Italia 2015-2017, Riv. dir. banc., 2018.

[30]   Art. 59, par. 3, della BRRD.

[31]   Art. 32 della BRRD.

[32]   Le circostanze al ricorrere delle quali tale condizione può dirsi soddisfatta sono fissate dall’art. 32, par. 4, della BRRD.

[33]   Ai sensi dell’art. 32, par. 5, della BRRD, l’azione di risoluzione si considera nell’interesse pubblico se è necessaria per il raggiungimento di uno o più degli obiettivi fissati all’art. 31 della BRRD ed è proporzionata rispetto agli stessi, nonché se la liquidazione della banca secondo le regole ordinariamente applicabili in ipotesi di insolvenza non consentirebbe di raggiungere tali obiettivi allo stesso modo.

[34]   Ai sensi dell’art. 3, par. 1, n. (28), della BRRD, per sostegno finanziario pubblico straordinario si intente un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107(1) del TFUE o ogni altra forma di sostegno finanziario pubblico a livello sovra-nazionale che, se fornita a livello nazionale, si qualificherebbe in termini di aiuto di Stato, che viene fornito al fine di preservare o ripristinare la sostenibilità, la liquidità o la solvibilità di una banca o del relativo gruppo.

[35]   Vale la pena ricordare, al riguardo – senza pretesa di esaustività – che in Italia misure di questo genere furono introdotte per effetto del Decreto Legge n. 237/2016, convertito nella Legge n. 15/2017, in forza del quale furono emesse obbligazioni assistite da garanzia dello Stato da parte della Banca Popolare di Vicenza, di Veneto Banca e di Banca Monte dei Paschi di Siena. Le norme del decreto furono altresì utilizzate per consentire la c.d. “ricapitalizzazione precauzionale” di Monte dei Paschi di Siena, attraverso l’applicazione del meccanismo di c.d. burden sharing. Si trattò, invero, di un’applicazione soltanto parziale del principio del burden sharing di cui si dirà a breve, in quanto le azioni risultanti dalla conversione delle obbligazioni subordinate della banca furono “convertite” – almeno con riferimento agli investitori retail e per il tramite di un complesso meccanismo di scambioin obbligazioni ordinarie di nuova emissione grazie all’intervento del MEF.

[36]   Si veda anche il Considerando (41) della BRRD.

[37]   Art. 60 della BRRD. Contestualmente, l’autorità di risoluzione deve adottare una delle misure indicate dall’art. 47 della BRRD, consistenti nella cancellazione degli strumenti CET1, nel loro trasferimento ai titolari degli strumenti oggetto di conversione, ovvero nella diluizione degli stessi a condizioni penalizzanti per i relativi titolari.

[38]   Art. 48 della BRRD.

[39]   Art. 107, par. 1, del TFUE.

[40]   La Comunicazione fu emessa nel contesto storico successivo alla crisi dei mutui sub prime, a seguito dei “salvataggi” realizzati per far fronte all’emergenza che si era venuta a determinare in quel particolare frangente.

[41]   Cfr. il punto 40 della Comunicazione.

[42]   La sentenza è disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A62014CJ0526.

[43]   Si veda N. Ruccia, Le crisi bancarie al vaglio della Corte di Giustizia. Osservazioni sulla sentenza del 19 luglio 2016, causa C-526/14, Tadej Kotnik e altri, pubblicato su Eurojus.it.

[44]   Si veda il par. 45 della Comunicazione.

[45]   Art. 44, par. 5, lett. (a) e (b), della BRRD. La norma si applica in relazione ai fondi di risoluzione nei casi previsti dall’art. 44, par. 4, della BRRD, riferibili alle ipotesi in cui l’autorità di risoluzione decide di escludere in tutto o in parte alcune passività dal bail-in e di non far gravare le perdite su altri creditori; in queste circostanze, il contributo non può essere superiore al 5% delle passività totali. Il limite dell’8% del totale delle passività è richiamato anche dall’art. 37, par. 10, della BRRD con riferimento al finanziamento tramite strumenti pubblici di stabilizzazione, utilizzabili come extrema ratio nel contesto di una situazione eccezionale di crisi sistemica – ad esempio, anche attraverso la temporanea nazionalizzazione della banca, come chiarito al Considerando (8) della BRRD.

[46]   Si ricorda, a questo proposito, la “crisi” che ha interessato i CoCo bonds emessi da Deutsche Bank nel corso del 2015-2016, su cui si veda il seguente articolo https://www.reuters.com/article/us-deutsche-bank-bonds-idUSKCN11Y1RQ.

[47]   Si fa riferimento al caso delle banche Deutsche Pfandbriefbank e Aereal Bank, su cui si veda al link che segue https://www.bloomberg.com/news/articles/2023-03-23/german-banks-rethink-at1-calls-to-avoid-tapping-chaotic-market#xj4y7vzkg.

[48]   Si veda quanto riportato al seguente indirizzo https://www.reuters.com/markets/deutsche-bank-shares-whipsaw-after-cds-blow-out-2023-03-24/.

[49]   Si è già avuto modo di ricordare in nota 35 che questi interventi sono stati già adottati in Italia con riferimento a Banca Popolare di Vicenza, a Veneto Banca e a Banca Monte dei Paschi di Siena.

[50]   Si veda il press release disponibile al seguente link https://www.srb.europa.eu/en/node/341.

[51]   Una delle principali ragioni per cui i meccanismi di assorbimento contrattuale delle perdite non sono operativi è legata al fatto che normalmente le soglie che identificano i trigger event sono fissate a livelli notevolmente più bassi rispetto alle richieste e alle aspettative di vigilanza in termini di fondi propri della banca. Il coefficiente di 5,125% di CET1 previsto dal CRR come livello minimo per l’attivazione dei trigger event non è sufficiente a coprire neanche i requisiti di riserva di conservazione del capitale (capital conservation buffer) – che, insieme ai requisiti di CET1 di primo pilastro in materia di fondi propri, richiedono alle banche di possedere un coefficiente minimo di CET1 pari al 7%. Tale coefficiente può essere a sua volta incrementato in ragione degli ulteriori requisiti di riserva di capitale, nonché dei requisiti (P2R) e delle aspettative (P2G) di secondo pilastro, tanto da potersi complessivamente attestare – guardando alle banche italiane più significative – nell’intorno dell’8-10% circa. Si noti che, secondo le statistiche pubblicate dalla BCE, il livello medio del coefficiente CET1 delle banche significative soggette alla vigilanza diretta della BCE nel terzo trimestre del 2022 era pari al 14,74%, con un minimo del 12,48% in Spagna e un picco del 24,06% in Estonia (si veda al seguente link https://www.bankingsupervision.europa.eu/press/pr/date/2023/html/ssm.pr230111~4cb4953fd6.en.html). Ad indebolire ulteriormente la configurazione degli strumenti AT1 come going concern capital, rispetto agli obiettivi fissati negli Accordi di Basilea III, contribuisce la disciplina imposta dal mercato rispetto all’esercizio delle opzioni call e alla cancellazione dei pagamenti o delle distribuzioni dovute ai relativi titolari. Come dimostrano anche i recenti casi citati in precedenza, la decisione assunta dalle banche di esercitare le discrezionalità ad esse riconosciute dagli Accordi di Basilea III sovente incontra una reazione avversa del mercato e alimenta l’incertezza su questa tipologia di strumenti, incrementando il rischio sistemico. Infine, le difficoltà, anche di carattere societario, legate all’emissione di strumenti effettivamente convertibili su iniziativa dell’emittente fanno sì che nella maggior parte dei casi – almeno in base all’esperienza italiana – gli emittenti prevedano il ricorso a meccanismi di riduzione (write-down) temporanea o permanente del valore nominale dei titoli al fine di ridurre le perdite, ingenerando il timore negli investitori di perdere in tutto o in parte il capitale investito al manifestarsi dei primi segni di crisi. In una prospettiva de jure condendo, varrebbe forse la pena chiedersi se non convenga ripensare alcuni aspetti legati al funzionamento di questi strumenti.

[52]   è stato affermato, in proposito, che “the design of CoCos itself requires them to absorb losses ahead of insolvency” e che “if CoCos do not absorb losses on a going concern basis, they are simply useless and cannot be told apart from traditional subordinated bonds, making CoCos just another layer of debt” (E. Martino e T. Vos, op. cit.).

[53]   Si veda, in particolare, quanto riportato nell’articolo disponibile al seguente link https://www.milanofinanza.it/news/banche-ecco-le-regole-ue-per-le-crisi-i-fondi-di-garanzia-potranno-evitare-perdite-per-i-conti-202304122101593081.

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