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Note

Credito fondiario, credito edilizio e riserva soggettiva a favore delle banche: il caso dei mutui INPS

13 Giugno 2023

Isabella Baldo, Dottoranda di ricerca in Diritto, mercato e persona, Università Ca’ Foscari Venezia

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: La questione è rivolta al caso dei prestiti concessi dall’INPS. Il lavoro propone un’analisi della normativa italiana sul credito fondiario con riferimento alla possibilità di estenderla ai mutui con le stesse caratteristiche, ma non concessi dalle banche come contemplato dall’art. 40 t.u.b. Successivamente, viene valutata la vocazione aperta dalla suddetta disposizione normativa. Infine, l’analisi si rivolge all’autonomia contrattuale delle parti nella previsione di una clausola di risoluzione espressa, nonostante l’intenzione del legislatore di includere una tutela per il consumatore.

ABSTRACT: The issue is addressed to the case of loans granted by INPS. The work proposes an analysis of the Italian regulation of land credit (“credito fondiario”) with reference to the possibility of extending it to mortgages with the same characteristics, but not granted by banks as contemplated by art. 40 t.u.b. Subsequently, the vocation opened up by the aforementioned rule is assessed. Finally, the analysis turns to the contractual autonomy of the parties in the provision of an express termination clause, notwithstanding the legislator’s intention to include protection for the consumer.


1. Il fatto

La sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 23 maggio 2022 affronta una tematica non particolarmente frequentata[1], ma indubbiamente interessante. Il caso di specie riguarda il mancato pagamento di cinque rate di un credito edilizio concesso dall’Inps a L.M., nonostante il contratto di mutuo all’art. 5 prevedesse la possibilità di risoluzione del contratto stesso in luogo del mancato pagamento di due rate di ammortamento nel termine di novanta giorni della relativa scadenza. Il mutuatario era stato condannato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere all’immediata restituzione dell’intera linea capitale erogata, oltre interessi. L.M, a seguito, aveva presentato ricorso presso la Corte di Appello di Napoli, ma il gravame era stato rigettato: la Corte, infatti, aveva rilevato come risultasse ben evidenziata «la clausola risolutiva espressa di cui all’art. 5 del contratto di mutuo in oggetto […] in forza della quale l’Inps ha chiesto e ottenuto la condanna di L. al pagamento dell’importo di Euro 180.984,91». Avverso questo provvedimento, il mutuatario aveva presentato ricorso per Cassazione per violazione della disposizione di cui all’art. 40, c. 2, t.u.b. Orbene, tale ricorso è stato rigettato.

Due appaiono i profili di particolare interesse della pronuncia: innanzitutto, la Cassazione afferma la specificità dell’art. 40 t.u.b., confermando l’impossibilità di estenderne l’applicazione alle prestazioni creditizie, pur di per sé rientranti nella fattispecie del credito fondiario latamente inteso, rese da soggetti diversi dalle banche; in relazione al secondo profilo, la Corte valuta la predisposizione dell’art. 5 del contratto di mutuo come rappresentativo dell’autonomia contrattuale delle parti.

2. Credito fondiario e credito edilizio: profili di unione

Venendo in dettaglio all’esame dei due nodi centrali della sentenza in commento, il primo comporta innanzitutto la disamina della qualifica soggettiva del mutuante, ovvero l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, ente di diritto non economico, nonché della specifica fattispecie creditizia, poiché opinione comune afferma l’arduità di comprendere appieno la disciplina del credito fondiario qualora se ne ignorasse l’evoluzione[2]. La parte ricorrente chiama in causa la forma tecnica di tale credito disciplinato nel Titolo II, Capo VI, del Testo unico bancario (artt. 38 ss.): oggetto della questione è, infatti, un mutuo edilizio concesso dall’INPS, ai sensi dell’art. 1, lett. a), del d.m. Lavoro e Previdenza Sociale 28 luglio 1998, n. 463[3]. Come noto, nell’etichetta di «credito fondiario» sono infatti da ricomprendersi, a seguito della riforma introdotta con l’avvento del t.u.b., sia le tipologie di finanziamento volte alla mobilizzazione della proprietà fondiaria sia quelle con lo scopo di finanziare l’acquisto o il restauro di immobili («credito edilizio»). È opportuno sottolineare, infatti, come il credito fondiario sia visto come una species del credito immobiliare, là dove il credito edilizio è considerato come una species di quello fondiario[4]. Nonostante l’attuale assimilazione, credito edilizio e credito fondiario differivano originariamente per molteplici ragioni. Da un lato, nel credito edilizio – operazione negoziale nata nella prima metà del XX secolo – la somma mutuata assumeva rilevanza giuridica invece del tutto assente nel mutuo fondiario, configurandosi ordunque alla stregua di un mutuo di scopo legale[5], essendo questo un finanziamento per immobili a destinazione prevalentemente abitativa e non di lusso[6]. Dall’altro, il credito fondiario, la cui prima disciplina è contenuta nella L. 24 giugno 1866, n. 2983[7], prescindeva dall’utilizzo che il mutuatario ne potesse compiere ed era concesso appositamente a coloro che possedevano già un fondo o un immobile ed in esso ne vedevano l’unica fonte di ricchezza[8]. Tali circostanze influivano sulle differenti modalità di erogazione: il credito edilizio era caratterizzato da erogazioni parziali a stato avanzamento lavori[9], mentre il credito fondiario da “cartelle fondiarie”[10]. Ulteriori difformità erano riscontrabili originariamente nel limite dell’importo concedibile: 50 per cento del valore cauzionale dell’immobile nel credito fondiario[11]; 75 per cento del costo della costruzione da realizzare nel credito edilizio compresa l’area necessaria alla realizzazione, elevabile al 90 per cento laddove l’operazione finanziata comportasse opere di ricostruzione[12].[13] Ulteriori profili di specialità riguardavano i soggetti erogatori: fu solamente con la ormai abrogata l. n. 474/1949 che agli istituti di credito fondiario fu consentito di attuare operazioni di credito edilizio[14]. Successivamente, il d.lgs. n. 481/1992, in attuazione della direttiva 89/646/CEE, abilitò tutte le banche a effettuare operazioni attive di credito speciale secondo la disciplina propria di ciascuna di esse, anche con riferimento a misure fiscali e tariffe. Con l’entrata in vigore del Testo unico bancario, la disciplina del credito fondiario e edilizio venne unificata sotto l’unica denominazione di credito fondiario: dalla relazione illustrativa al provvedimento[15] pare desumersi che il nuovo credito fondiario debba sostituire sia il vecchio credito fondiario che quello edilizio nelle particolari operazioni che la disciplina di entrambi prevedeva, salve le modifiche introdotte dalla nuova legge. Tuttavia, il riferimento al «costo delle opere da eseguire» ex art. 38, c. 2, t.u.b. sui beni oggetto di ipoteca consentirebbe l’individuazione di una categoria di operazioni sostanzialmente assimilabili[16] a quelle comprese nella nozione di «credito edilizio» ex. art. 9 l. n. 175/1991, avvalorando la tesi per cui tale credito sia una species del credito fondiario[17] [18]. In antitesi, parte della dottrina nega l’autonoma rilevanza della categoria del «credito edilizio», ritenendo che questo sia stato assorbito nella nozione di credito fondiario[19]. Trascendendo la valenza di entrambe le teorie, la disciplina applicabile è comune ed è quella dettata dagli artt. 38-40 t.u.b.

3. La riserva soggettiva a favore delle banche

Nonostante, l’individuazione del genus, la previsione di cui all’art. 38, c. 1, t.u.b. impedirebbe l’applicazione di tale disciplina al caso in esame: l’esercizio del credito fondiario è riservato infatti alle sole banche, escludendo gli intermediari finanziari, i quali possono tuttavia svolgere operazioni di credito garantite da ipoteca ai sensi del Codice civile senza però godere dei privilegi previsti per il credito fondiario. È risaputo che l’attività di erogazione del credito, unitamente alla raccolta del risparmio presso il pubblico, costituisce il c.d. “binomio” nel quale si palesa l’attività tipica svolta dalle banche e che tale riserva soggettiva sussiste qualora le attività vengano svolte congiuntamente, come evidenziato dalla congiunzione «e» cui ricorre l’art. 10, c. 1, t.u.b.[20]. Inoltre, pur essendo l’esercizio del credito momento attivo dell’operare bancario, ex art. 106, c. 1, t.u.b.[21] esso è esteso, sotto qualsiasi forma, anche agli intermediari finanziari iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia, al quale tuttavia l’INPS non è iscritto.

L’erogazione di prestazioni creditizie ai dipendenti pubblici in servizio e in pensione avviene mediante il Fondo della Gestione Unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, istituito dall’art. 37 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 e dall’art. 1, c. 242, della c.d. legge finanziaria per il 1997 23 dicembre 1996, n. 662. Il rinvio, contenuto all’interno dell’art. 44 del D.P.R. n. 1032/1973, alle disposizioni del testo unico approvato con D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 e successive modificazioni ed integrazioni, e al relativo regolamento approvato con D.P.R. 28 luglio 1950, n. 895, conferma quanto già esposto. Sul punto, l’art. 15 del suddetto testo unico riserva infatti la concessione di prestiti ai dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni solamente «..agli istituti di credito e di previdenza costituiti fra impiegati e salariati delle pubbliche amministrazioni, l’Istituto nazionale delle assicurazioni, le società di assicurazioni legalmente esercenti, gli istituti e le società esercenti il credito, escluse quelle costituite in nome collettivo e in accomandita semplice, le casse di risparmio e i monti di credito su pegno». Pertanto, nel caso in cui il credito venga erogato da istituti e società esercenti il credito, casse di risparmio[22] e i monti di credito su pegno[23], risulterebbe applicabile la disciplina riservata al credito fondiario. Nonostante il processo di “despecializzazione”, avviato nel 1990 con la legge n. 218 di riforma della banca pubblica, il profilo della riserva soggettiva a favore degli istituti bancari conserva, tuttavia, ancora un certo grado di specialità, quantomeno istituzionale, ancorato al previgente sistema delle cartelle fondiarie[24]. Né la presumibile maggiore solvibilità degli istituti bancari rispetto ad altri intermediari finanziari[25], né la tutela costituzionale del risparmio (art. 47 Cost.), appaiono validi elementi giustificativi di tale scelta[26]. Tendenze più recenti confermano, infatti, profili sempre più comuni fra enti bancari e finanziari, ancor più a seguito della riforma della disciplina degli “intermediari del titolo V” introdotta dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, che ha unificato gli intermediari finanziari non bancari sotto il profilo della sottoposizione alla vigilanza della Banca d’Italia, e all’autorizzazione da parte di quest’ultima della relativa attività, avvicinando ulteriormente, pertanto, intermediari finanziari e banche[27]. Se ne può quindi desumere che il vincolo soggettivo nell’erogazione del credito fondiario impedisce l’applicazione della disciplina dello stesso al caso di specie[28].

Inoltre, il limite di finanziabilità, nella fattispecie pari al massimo al 100% del valore delle unità immobiliari come previsto dal Regolamento per l’erogazione di mutui ipotecari, supera quello previsto per il mutuo fondiario, pari all’80%[29], facendo decadere purchessia la possibilità di usufruire di tale peculiare disciplina in via generale; resta tuttavia valutabile nel singolo caso il limite previsto.

4. Art. 40 t.u.b.: norma a vocazione aperta

Nonostante la riserva soggettiva non sembri consentire l’applicazione della disciplina dei crediti fondiari al caso di specie, è doveroso valutare la natura dell’art. 40 t.u.b., quale norma di ispirazione aperta o limitata ai solo crediti speciali rientranti nella definizione. Diversi fattori ne indicherebbero una vocazione aperta: fra tutti, il riferimento ex art. 120-quinquiesdecies in tema di credito immobiliare ai consumatori, dove l’intera disciplina è caratterizzata da una protezione più marcata della figura del mutuatario e dove sembra doversi ritenere applicabile la disciplina degli artt. 38 ss. t.u.b. solo qualora non in contrasto con il Capo I bis t.u.b.[30].

Per giunta, l’INPS non risulta estraneo alle prescrizioni normative contenute nel Testo unico: espresso richiamo ai finanziamenti concessi, fra gli altri, dagli «enti di previdenza obbligatoria ai loro iscritti» è contenuto nelle previsioni di cui agli artt. 120 ter, c. 2, 120 quater, c. 9, nonché 40 bis, c. 6, t.u.b. I profili dell’attività di erogazione, gestione e recupero del credito, oggettivamente non dissimili da quelli posti in essere dalle comuni imprese bancarie, risultano oltremodo attestarsi su cifre consistenti[31]. L’applicazione dell’art. 40 t.u.b. sarebbe allora sollecitata anche sulla base dei principi di ordine costituzionale: da quello della tutela della concorrenzialità del mercato, come ricavabile dall’art. 41, c. 1, Cost., nonché da quello della parità di trattamento tra situazioni tra loro oggettivamente non diverse, di cui all’art. 3, c. 2, Cost.

5. Autonomia contrattuale e clausola risolutiva espressa

Alla luce della clausola contrattuale di cui si è dato in conto in apertura, nella vicenda che ci occupa il secondo aspetto meritevole di attenzione è inerente all’autonomia contrattuale fra le parti, valore fondamentale di libertà, ma al contempo di responsabilità. L’art. 1456 c.c. consente alle parti, nell’esercizio della propria autonomia, di prefissare in anticipo le ipotesi che conducono alla risoluzione del contratto, la cui disciplina è riservata dall’art. 1453 c.c. ai contratti a prestazioni corrispettive e costituisce il paradigma di riferimento della categoria di matrice dottrinale dei contratti sinallagmatici[32]: di qui l’immediata riferibilità ad ogni contratto di scambio. Sebbene l’art. 1453 c.c. parli di obbligazioni, non possono ritenersi esclusi infatti i contratti ad effetti reali, non fosse altro perché tali contratti producono comunque delle obbligazioni per il venditore come per l’acquirente, sicché l’inadempimento a tali obbligazioni attrae anche questi contratti nella sfera della disciplina in esame[33]. Come accennato, nel caso specifico il contratto, all’art. 5, prevedeva una clausola risolutiva espressa tale per cui il mancato pagamento di due rate di ammortamento nel termine di novanta giorni dalla relativa scadenza avrebbe comportato la risoluzione del contratto stesso ai sensi dell’art. 1456 c.c.

Analizzando la disciplina del credito fondiario e quella del credito immobiliare ai consumatori, emerge come il legislatore abbia voluto garantire al mutuatario-risparmiatore una forma di tutela maggiore rispetto a quanto concesso nel contratto in esame, al punto da chiedersi se tale clausola non comporti uno squilibrio contrattuale. In tema di credito fondiario, l’art. 40, c. 2, t.u.b. prescrive che la banca può, eventualmente, invocare come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento laddove lo stesso si sia verificato almeno sette volte, anche non consecutive. La dottrina[34], tuttavia, è concorde nel ritenere che il ritardato pagamento anche per sette volte non giustifica la risoluzione del contratto, ma al giudice sia comunque riservata la valutazione circa la gravità dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c. È qualificabile come ritardato pagamento quello effettuato tra il trentesimo ed il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata, dovendosi ritenersi ininfluente ai fini della risoluzione il ritardo nel pagamento: a) di trenta giorni anche di tutte le rate; b) fino a sei mesi per un numero massimo di sette rate, purché il pagamento di ciascuna sia effettuato entro i già menzionati centottanta giorni; nel concreto, peraltro, sarà sempre necessario attendere la scadenza della rata successiva a quella che scade oltre il 180º giorno[35]. Ciò premesso, si ritiene che non sia possibile per le parti disciplinare nel contratto la materia del ritardato o mancato pagamento in deroga a quanto previsto dalla legge (ad es. prevedendo la risoluzione del contratto anche nel caso di ritardato pagamento di una sola rata). Eventuali clausole risolutive espresse potranno ovviamente riguardare l’inadempimento di altre prestazioni o condizioni contrattuali[36].

La giurisprudenza[37] ha ritenuto nulla la clausola risolutiva espressa di un contratto di credito fondiario secondo cui la banca può risolvere il mutuo ai sensi dell’art. 1456 c.c. allorquando la parte finanziata non abbia provveduto all’integrale pagamento anche di una sola rata, proprio per contrasto con l’art. 40, c. 2, t.u.b.. Quest’ultima norma è da ritenersi inderogabile, in quanto il legislatore avrebbe limitato, a tutela del mutuatario inadempiente e in deroga ai principi di diritto comune, la possibilità della risoluzione nel caso di ritardo o di mancato pagamento[38]. Tuttavia, qualora il livello di gravità non sia ancora stato raggiunto la banca può comunque invocare la decadenza del debitore dal beneficio del termine ai sensi dell’art. 1186 c.c., laddove intervengano le situazioni descritte tassativamente da tale norma, e, in particolare, l’insolvenza del debitore, da desumersi comunque da elementi ulteriori e diversi rispetto al ritardato pagamento delle rate entro il limite di tolleranza fissato dall’art. 40 t.u.b., che – se non consente la risoluzione del contratto di finanziamento – non potrà essere assunto quale indice di insolvenza ai fini della decadenza dal termine.

Con la crisi finanziaria del 2008, l’incidenza dei debiti finanziari dei consumatori è aumentata notevolmente, soprattutto nel settore dei beni immobili ad uso residenziale. Il legislatore sovranazionale è intervenuto in tal senso per riorganizzare il mercato dei crediti immobiliari, con finalità, fra le altre, di uniformare le conseguenze dell’inadempimento del consumatore. Secondo il d.lgs. 21 aprile 2016, n. 72, recante attuazione della Direttiva europea 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, costituisce inadempimento il mancato pagamento di un ammontare equivalente a diciotto rate mensili; non costituiscono inadempimento i ritardati pagamenti che consentono la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 40, c. 2[39]. Tale previsione, ex art. 120-sexies t.u.b, è applicabile ai contratti di credito, comunque denominati, ad eccezione di alcuni determinati casi[40]. Il contratto de quo è stato stipulato in data anteriore all’emanazione del d.lgs. n. 72/2016, pertanto secondo i principi fondamentali del nostro ordinamento, nel caso di specie non è applicabile la normativa sul credito immobiliare ai consumatori in quanto successiva alla data di stipula del contratto di mutuo[41].

Sebbene i testi normativi concernenti l’erogazione del credito finalizzato all’acquisto di immobili sembrano garantire al consumatore una maggiore elasticità circa i mancati pagamenti, resta tuttavia da valutare l’eventuale esercizio del diritto di dichiarare la decadenza del beneficio del termine ex art. 1186 c.c. e la facoltà di invocare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c. Mentre la seconda presuppone un inadempimento idoneo a giustificare lo scioglimento del contratto, nella decadenza dal beneficio del termine per insolvenza a rilevare sono eventi che segnalano la compromissione della capacità del debitore di far fronte ai debiti futuri, dalla quale discende il diritto del creditore di chiedere immediatamente il pagamento di quanto dovuto. L’effetto della decadenza dal beneficio del termine è, quindi, quello di anticipare il termine di adempimento dell’obbligo di restituzione, rendendo immediatamente esigibile la prestazione: di inadempimento si potrà parlare, di regola, solo successivamente, qualora a fronte della richiesta di immediato pagamento integrale il debitore non risultasse in grado di soddisfare detta pretesa[42].

La presenza di una clausola risolutiva espressa non elimina in astratto la risolubilità del contratto per inadempimenti non contemplati nella stessa, ma demanda al giudice di procedere in quella verifica omessa dai contraenti, ovvero nell’individuazione della gravità dell’inadempimento agli effetti risolutori. Ai sensi dell’art. 1455 c.c., l’“interesse” cui va comparata l’importanza dell’inadempimento ai fini della pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto, è rappresentato dall’interesse che la parte inadempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del contratto, e non dalla convenienza della domanda di risoluzione rispetto a quella di adempimento. Elemento contrapposto appare essere la solidarietà fra gli aderenti al fondo, i quali non possono godere contemporaneamente delle prestazioni del fondo, ma lo fanno in ordine cronologico in base alla presentazione della richiesta[43]. Tale principio risulta di eguale importanza rispetto al diritto di cui gode il soggetto aderente al fondo stesso in virtù del pagamento di un’aliquota pari allo 0.35% o 0,15% della retribuzione, rispettivamente, contributiva o pensionabile. Tuttavia, nell’ambito della risoluzione del contratto per inadempimento, qualora uno dei contraenti dichiari di volersi avvalere di una clausola risolutiva espressa a fronte di un’obbligazione che non viene adempiuta secondo le modalità stabilite nel contratto ex art. 1456 c.c. è inibita al giudice la possibilità di valutare il merito della gravità dell’inadempimento, avendo le parti preventivamente valutato i fatti che comportino all’alterazione dell’equilibrio economico-giuridico del contratto[44].

6. Conclusioni

Nonostante, dunque, l’accorpamento delle discipline del credito edilizio e del credito fondiario, l’impossibilità di estenderne l’applicabilità è da ricondursi alla riserva soggettiva a favore delle banche. Pur volendo far ricorso all’interpretazione analogica, questa, ex. art. 12 prel., risulta applicabile qualora sia assente una norma regolante la fattispecie, vuoto non configurabile nel caso in esame. Sebbene la possibile vocazione aperta dell’art. 40, c. 2, t.u.b., l’autonomia contrattuale dell’INPS e la franchigia di protezione accordatagli consentono ai mutui ipotecari concessi dall’ente di previdenza di essere esonerati dalle regole previste per chi istituzionalmente svolge attività bancaria. È opportuno sottolineare, a prova dell’imperatività dell’art. 40, c. 2, t.u.b., come a partire da gennaio 2023 è entrato in vigore l’adeguamento di cui all’art. 22 («Mancato pagamento delle rate») del Regolamento per l’erogazione di mutui ipotecari, per cui nel caso di mancato pagamento di sette rate può essere richiesta la risoluzione del contratto, in linea con l’art. 40, c. 2., t.u.b. e con la maggiore tutela che il legislatore negli anni ha inteso garantire al consumatore.

 

[1] Per un precedente, cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 14 maggio 2021, n. 13077, in dirittobancario.it, con nota di Lentini, INPS e trasparenza: alla pubblica udienza l’applicabilità dell’art. 40 t.u.b. ai mutui INPS, 18 maggio 2021.

[2] Per tutti, Moglie, Credito fondiario ed edilizio, Milano, 1982, p. 1 ss.

[3] Inps, Regolamento per l’erogazione di mutui ipotecari agli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, art.1.

[4] Tardivo, Il credito fondiario nella nuova legge bancaria, Milano, 2003, p. 21.

[5] Fra gli altri, Fragali, Il mutuo di scopo, in Banca borsa tit. cred., 1961, I, p. 471; Mazzamuto, Mutuo di scopo, in Enc. Giur., XX, Roma, 1993; Rispoli Farina, Mutuo di scopo, in Tratt. Rescigno, XII, Torino, 1985, p. 692 e Rispoli Farina, voce Mutuo di scopo, in Dig. disc. priv., sez. civ., XI, Torino, 1994, p. 559 ss.

[6] R.d.l. 2 maggio 1920, n. 698, e successivamente L. 6 giugno 1991, n. 175.

[7] Successivamente riorganizzato nel t.u. 16 luglio 1905, n. 646 e dal relativo regolamento di attuazione r.d. 5 maggio 1910, n. 472.

[8] Rispoli Farina, Le operazioni bancarie per l’acquisto della proprietà, in Innovazione e diritto, 2015, n. 6, p. 145 ss.

[9] Inizialmente si prevedeva l’emissione di cartelle «edilizie»; soltanto con la l. 29 luglio 1949, n. 474 si ammise, al fine di rendere compatibile l’operazione con le erogazioni del finanziamento a stati di avanzamento dei lavori, che la stessa potesse perfezionarsi anche attraverso l’erogazione di denaro.

[10] Alcuni parlavano all’epoca anche di mutuo di titoli: così Greco, Le operazioni di banca, Padova, 1930, p. 413.

[11] Art. 2 D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7. Il limite era in precedenza del 50% (l. n. 474/1949, cit.).

[12] Art. 23 D.P.R. n. 7/1976, cit..

[13] Soglie poi modificate con la l. 6 giugno 1991, n. 175.

[14] Art. 3 l. n. 474/1949: «Gli Istituti autorizzati all’esercizio del credito fondiario possono, in aggiunta alle operazioni previste dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 10 aprile 1947, n. 261, concedere, con le modalità di cui al presente decreto ed in deroga alle vigenti disposizioni legislative e statutarie, anche mutui destinati alla costruzione, ricostruzione, riparazione, trasformazione e sopra elevazione di edifici ad uso prevalente di abitazione non di lusso».

[15] Per il testo della Relazione Illustrativa, v. ABI, Norme essenziali per la banca, Roma, 1993, pp. 13 e 89.

[16] Rispoli Farina, voce Mutuo di scopo, in Digesto disc. priv., Sez. civ., XI, Torino, 1994, p. 574 ss.

[17] In tal senso assumerebbe rilievo legale la destinazione del prestito: si veda, Trib. Nola, 24 febbraio 2009, in Foro it., 2009, I, c. 2243, che considera nullo il contratto di mutuo con cui si prevede che il finanziamento erogato da una banca qualora risulti che le parti non abbiano inteso perseguire la finalità apparentemente convenuta.

[18] A tal proposito, è d’obbligo ricordare, anche se pare che l’iniziativa non abbia avuto più seguito, un progetto di direttiva, risalente al 1987, sul credito fondiario, orientata a dare rilievo legale alle finalità dei finanziamenti fondiari.

[19] Bonfatti, L’accertamento del passivo nelle procedure concorsuali: i crediti pignoratizi e ipotecari, in Bonfatti – Falcone (a cura di), Procedure concorsuali e problemi della prassi, Milano, 1997, p. 37.

[20] L’assunto del testo, come noto, è ormai pacifico da decenni, tanto più dopo l’avvento del Testo unico bancario: per tutti, cfr. Desiderio, Le attività connesse e strumentali esercitate dalle banche, in Urbani (a cura di), L’attività delle banche2, Padova, 2020, pp. 493 ss.; Urbani, Banca, attività bancaria, attività delle banche, ivi, pp. 15 ss.; Capriglione, Commento all’art. 10, in Capriglione (a cura di), Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia4, Padova, 2018, p. 111 ss.

[21] Art. 106, c. 1, t.u.b.: «1. L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia.»

[22] Si ricordi peraltro che con la Legge delega 30 luglio 1990, n. 218, le Casse di risparmio furono incentivate a conferire l’azienda bancaria a una nuova apposita entità giuridica avente forma di società per azioni, assumendo la diversa qualificazione di «ente conferente» (successivamente qualificato come «fondazione») al quale furono assegnate le finalità di interesse pubblico e di utilità sociale previste negli statuti delle originarie Casse di Risparmio. L’attuale configurazione delle Casse di Risparmio Spa è pertanto quella di società commerciali private, disciplinate dal Codice civile e dalle specifiche norme che regolamentano l’attività bancaria, al pari delle altre banche.

[23] Nel 1936, i monti di credito su pegno erano stati suddivisi in due categorie (art. 1, r.d. 14 giugno 1923, n. 1936) in base all’ammontare rilevante (prima categoria) o meno (seconda categoria) dei depositi fruttiferi. Successivamente, quelli di prima categoria sono stati assoggettati alla stessa disciplina delle Casse di Risparmio e quelli di seconda, ex art. 152 t.u.b., sono stati invitati alla trasformazione dell’oggetto dell’attività o all’estinzione volontaria. Sul punto v. Gugnoni, Dai Monti di Pietà e le Casse di Risparmio alle Fondazioni Bancarie: evoluzione e profili di riforma, in Giust. amm., 2006, p. 1096 ss.

[24] Il sistema delle cartelle fondiarie era basato sulla costruzione di un rapporto giuridico economico perfetto tra operazioni attive (emissione delle cartelle) e passive (prestiti ipotecari), cioè tra quantità e qualità delle condizioni delle operazioni di provvista e quantità e qualità delle operazioni di credito. L’operazione negoziale si componeva, inoltre, di due atti distinti: un mutuo condizionato, stipulato non appena si avesse la certezza della convenienza dell’operazione con cui l’istituto poteva iscrivere l’ipoteca e si impegnava ad erogare il mutuo al verificarsi delle condizioni presenti nel contratto preliminare; e il mutuo definitivo, stipulato a seguito della dichiarazione di ammissibilità delle cartelle fondiarie.

[25] Oriani, Espropriazione singolare per credito fondiario, in Corr. giur., 1995, p. 370 ss., il quale scriveva peraltro in un momento nel quale non tutti gli intermediari finanziari di cui al Titolo V del t.u.b. erano annoverabili tra i soggetti vigilati.

[26] Rispoli Farina, Nozione di credito fondiario, in Capriglione (a cura di), Commentario al testo unico in materia bancaria e creditizia, cit. p. 581 ss.

[27] Falcone, op. cit., p. 257 ss.

[28] Inoltre, Cass. Civ., 12 novembre 2014, n. 24038, in Diritto & Giustizia, 2014, stabilisce che «la natura fondiaria di un credito non è subordinata all’esclusivo scopo acquisitivo di un immobile, assistito da garanzia ipotecaria necessariamente id primo grado». Si tenga presente anche Cass., 12 settembre 2014, n. 19282, in www.dirittobancario.it.

[29] Ai sensi della delibera CICR 22 aprile 1995, tutt’oggi in vigore.

[30] Visconti, La disciplina del credito immobiliare ai consumatori introdotta nel T.U.B. dal D.Lgs. n. 72/2016, in Contr., 2016, p. 490.

[31] Secondo rilevazioni ISTAT, il numero di dipendenti pubblici in Italia, e dunque con possibilità di accedere a tali forme di credito, è pari a 3,5 milioni.

[32] Per tutti, v. Sicchiero, La risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1459, in Comm. al cod. civ. diretto da Schlesinger, Milano, 2007, p. 57.

[33] Così, Amadio, Inattuazione e risoluzione: la fattispecie, in Trattato del contratto a cura di Roppo, V. 2, Milano, 2006, p. 38; Sicchiero, op. cit., p. 15 ss.

[34] Piga, La risoluzione per inadempimento e il ritardo nell’adempimento nelle operazioni di credito fondiario, in Giust. civ., 1996, II, p. 45; Sepe, Commento all’art. 38, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia3, a cura di Capriglione, I, Padova, 2012, p. 429 ss.

[35] Cfr. Bozza, Il credito fondiario nel nuovo TU bancario, Padova, 1996, p. 98; Piga, La risoluzione per inadempimento e il ritardo nell’inadempimento nelle operazioni di credito fondiario, in Giust. civ., 1996, II, p. 45.

[36] Banca d’Italia, Chiarimenti sul Testo unico (d.lgs. n. 385/93). Stralcio dalle Comunicazioni del febbraio 1994 e del maggio 1994, 1994; CICR, Attuazione dell’art. 38 c. 2, del Decreto Legislativo 1 settembre 1993. Credito fondiario, 2 aprile 1995.

[37] Trib. Taranto, sez. II, 12 luglio 2018, n. 1885, in Foro it. 2018, I, c. 3277.

[38] Bacchi-Giacobbe, La derogabilità delle norme sul credito fondiario, in Riv. not., 1996, p. 818; Filograno, Il credito fondiario. Disciplina e funzione negoziale, Padova, 2000, p. 52.

[39] Cfr, ora, Art. 120-quinquiesdecies, c. 4, lett.1.c), t.u.b..

[40] «a) contratti di credito in cui il finanziatore: 1) concede una tantum o periodicamente una somma di denaro o eroga credito sotto altre forme in cambio di una somma derivante dalla vendita futura di un bene immobile residenziale o di un diritto reale su un bene immobile residenziale; e; 2) non chiede il rimborso del credito fino al verificarsi di uno o più eventi specifici afferenti la vita del consumatore, salvo in caso di violazione, da parte del consumatore, dei propri obblighi contrattuali che consenta al finanziatore di domandare la risoluzione del contratto di credito;

b) contratti di credito mediate i quali un datore di lavoro, al di fuori della sua attività principale, concede ai dipendenti crediti senza interessi o a un TAEG inferiore a quello prevalente sul mercato e non offerti al pubblico in genere;

c) contratti di credito, individuati dalla legge, relativi a prestiti concessi a un pubblico ristretto, con finalità di interesse generale, che non prevedono il pagamento di interessi o prevedono tassi inferiori a quelli prevalenti sul mercato oppure ad altre condizioni più favorevoli per il consumatore rispetto a quelle prevalenti sul mercato e a tassi debitori non superiori a quelli prevalenti sul mercato;

d) contratti di credito in cui il credito è concesso senza interessi o ulteriori oneri, a esclusione di quelli per il recupero dei costi direttamente connessi all’ipoteca;

e) contratti di credito nella forma dell’apertura di credito, qualora il credito sia da rimborsare entro un mese;

f) contratti di credito risultanti da un accordo raggiunto davanti a un giudice o altra autorità prevista dalla legge;

g) contratti di credito relativi alla dilazione, senza spese, del pagamento di un debito esistente, se non comportano l’iscrizione di un’ipoteca;

h) contratti di credito non garantiti finalizzati alla ristrutturazione di un bene immobile residenziale;

i) contratti di credito in cui la durata non è determinata o in cui il credito deve essere rimborsato entro dodici mesi ed e’ destinato ad essere utilizzato come finanziamento temporaneo in vista di altre soluzioni per finanziarie l’acquisto della proprietà di un bene immobile.».

[41] Così anche Trib. Ancona, sez. II, 2 dicembre 2021, n. 1575, in DeJure.

[42] Luminoso, I contratti tipici e atipici, I, in Trattato di Diritto Privato diretto da Iudica-Zatti, Milano, 1995, p. 724 ss.

[43] Frigeni, Mancato pagamento delle rate nel mutuo fondiario e rimedi a disposizione della banca: tra risoluzione del contratto e decadenza dal beneficio del termine, in Banca borsa tit. cred., 2013, II, p. 578 ss.

[44] Cfr. Cass., sez. III, 7 marzo 2001, n. 3343, in Altalex.

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