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Giurisprudenza

Contratti derivati, mark to market e costi impliciti

26 Marzo 2024

Cassazione Civile, Sez. I, 19 marzo 2024, n. 7368 – Pres. Marulli, Rel. Falabella

Di cosa si parla in questo articolo

La Cassazione, con ordinanza n. 7368 del 19 marzo 2024, si è pronunciata in materia di contratti derivati, in particolare in tema di mark to market e costi impliciti.

Secondo la pronuncia in esame, il contratto analizzato nel caso de quo, infatti, non menzionava il mark to market e i costi impliciti e mancava in conseguenza di esplicitare il fair value, ovvero il valore negativo del derivato: la Corte di merito, pertanto, avrebbe dovuto considerare che le tali carenze erano incidenti sulla validità del contratto e tali da determinarne la nullità.

La Cassazione ribadisce quindi la posizione della Suprema Corte sulla cd. alea razionale (SS. UU. n. 8770/2020), prendendo posizione sulla piena conformità di tale orientamento giurisprudenziale con il diritto UE, motivando con riferimenti puntuali alla Direttiva 2004/39/CE (MIFID 1), alla Direttiva 2006/73/CE, alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ed alla Comunicazione Consob del 02/03/2009.

La Corte, preliarmene, ricorda il rilievo dei costi impliciti dei contratti derivati non nasce dall’esigenza che lo swap, al momento della sua stipula, dia origine a prestazioni di contenuto equivalente, giacché non vi è necessità che vi sia proporzione tra i flussi di pagamento: nei contratti di scambio lo squilibrio economico originario delle prestazioni delle parti non può comportare la nullità del contratto per mancanza di causa, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive.

L’importanza dei costi impliciti nasce, piuttosto, dal fatto che l’occultamento del reale valore dello strumento finanziario è stato alternativamente considerato ora come un risultato non coerente con la causa del contratto, ora, come una condizione che rende indeterminabile l’oggetto di questo, ora come un inadempimento dell’intermediario agli obblighi informativi nei confronti dell’investitore: sicché la presenza dei detti costi potrebbe alternativamente rilevare sul piano genetico, determinando la nullità del contratto, oppure sulla dinamica attuativa del rapporto obbligatorio, traducendosi nella mancata osservanza, da parte dell’intermediario, dell’obbligo, posto dall’art. 23, lett. a), TUF, di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l’interesse del cliente.

Le Sezioni Unite (n. 8770/2020) hanno infatti precisato che, in tema di interest rate swap, occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che investe il mark to market, ossia il costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all’operazione è disposto a subentrarvi.

La nullità del contratto mancante delle richiamate indicazioni è quindi, una nullità per indeterminabilità dell’oggetto, pur non escludendo le Sezioni Unite che quella carenza ricada altresì sul piano della causa del contratto.

La Cassazione ricorda poi che l’art. 19 della Direttiva MIFID 1 prevede che tutte le informazioni, comprese le comunicazioni di marketing, indirizzate dalle imprese di investimento a clienti o potenziali clienti siano corrette, chiare e non fuorvianti, richiedendo, poi, che ai clienti o potenziali clienti vengano fornite in una forma comprensibile informazioni appropriate, sull’impresa di investimento e i relativi servizi, sugli strumenti finanziari e sulle strategie di investimento proposte, comprese le avvertenze relative ai rischi associati agli investimenti relativi a tali strumenti e ai costi e gli oneri connessi.

La successiva Direttiva 2006/73/CE , all’art. 31, prevede, inoltre, che gli Stati membri prescrivano alle imprese di investimento di fornire ai clienti o potenziali clienti una descrizione generale della natura e dei rischi degli strumenti finanziari, tenendo conto in particolare della classificazione del cliente: tale descrizione deve spiegare le caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato, nonché i rischi propri a tale tipo di strumento, in modo sufficientemente dettagliato da consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate.

L’art. 33 poi, con riguardo alle informazioni sui costi e sugli oneri dello strumento finanziario, impone di rappresentare il prezzo totale che il cliente deve pagare in relazione allo strumento finanziario, comprese tutte le competenze, le commissioni, gli oneri e le spese connesse, e tutte le imposte che verranno pagate tramite l’impresa di investimento.

Pertanto, quanto disposto nell’art. 19 della dir. 2004/39/CE e nell’art. 33 della dir. 2006/73/CE esclude che la necessità di dare evidenza, nel contratto, al mark to market e ai costi impliciti, si ponga in conflitto con la disciplina UE: le indicazioni relative a tali elementi sono piuttosto coerenti con la necessità di specificare i rischi associati all’investimento, le caratteristiche dello strumento finanziario e il prezzo che il cliente deve pagare in relazione allo strumento finanziario e ai servizi ad esso correlati.

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