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Giurisprudenza

Contratti derivati conclusi da enti locali: nullità per vizio di causa in concreto

8 Giugno 2012

Tribunale di Orvieto, 13 aprile 2012

Di cosa si parla in questo articolo

Con il provvedimento in oggetto il Tribunale di Orvieto ha respinto il reclamo della banca ex art. 669 terdecies c.p.c. avverso l’ordinanza emessa su ricorso promosso dall’ente locale ex artt. 700 e 659 quater c.p.c. in corso di causa per l’immediata sospensione dell’efficacia di sette contratti derivati in essere con la stessa banca e quindi degli addebiti ed accrediti degli stessi.

L’ordinanza affronta diverse tematiche note in sede di contenzioso formatosi sul tema dei contratti derivati.

Vizio di causa in concreto

Di particolare interesse la disamina che il Tribunale svolge circa la presenza di un potenziale vizio di causa concreta del contratto di swap (ossia dello scopo pratico del negozio), comportante la nullità insanabile dei contratti fra le parti, e ravvisabile nella presenza di uno squilibrio genetico tra le posizioni dei contraenti.

Nello specifico, il Tribunale evidenzia come, pur a fronte della natura “no par” del contratto sottoscritto, le posizioni delle parti non siano state bilanciate con un coerente up front iniziale, sì da determinare uno squilibrio originario (e perdurante) del contratto.

Secondo il Tribunale, la disparità iniziale tra i contraenti, non riequilibrata da un adeguato up front – ed anzi, come si dirà in seguito, acuita in ipotesi di rinegoziazione – comporta il venir meno della finalità conservativa consentita agli enti locali nella operatività in strumenti derivati, privando in concreto i contratti della loro causa, oltre che porli in contrasto con le specifiche norme di legge.

Rinegoziazione dei contratti

Il Tribunale evidenzia come, nel caso di specie, la maggior parte degli swap fossero stati stipulati attraverso una proceduta di rinegoziazione.

Tale attività costituisce di per sè una deviazione dalla normale operatività in derivati che un ente pubblico può compiere in ossequio alle esigenze di copertura del debito, essendo la stessa preordinata a limitare le perdite subite attraverso un aggravio del rischio connesso all’operazione originaria.

A fronte di tale operazione, il contratto derivato rinegoziato appare sempre più debolmente legato alla sua causa originaria (copertura di un rischio di natura sostanziale) e pericolosamente vicino a finalità più strettamente speculative, tali da privare il contratto di swap della sua causa concreta ed incompatibili con la natura e gli obiettivi dell’ente pubblico siccome riconducibili alla normativa che autorizza gli enti locali a sottoscrivere investimenti in derivati solo a fini conservativi (art. 3 D.M. 389/2003 e art. 41 L. 448/2001).

Costi impliciti

Il Tribunale rileva, nel caso di specie, la presenza di costi impliciti tali da rendere le condizioni contrattuali non allineate con quelle prevalenti sul mercato, e comunque non consentite dall’ordinamento, trattandosi di costi non esattamente percepibili dal sottoscrittore al momento della stipulazione e destinati a ripercuotersi negativamente soprattutto sugli enti territoriali, che hanno nel contenimento del costo del debito un principio fondamentale.

Il “disallineamento” (c.d. mispricing) fra valore di mercato e valore di negoziazione del contratto, che la presenza di tali costi impliciti determina, deve essere adeguatamente illustrato, e questo indipendentemente dalla natura effettiva di tale costo.

Laddove, infatti, si voglia ricondurre tali costi ad una generica remunerazione dell’attività commerciale della banca, gli stessi devono qualificarsi come commissione ed essere esplicitati in ossequio a quanto previsto dalla lettera g) dell’art, 61 Reg. Consob; diversamente, laddove tali costi vengano ricondotti al “vero costo” del contratto, senza costituire, o senza costituire integralmente, il margine lucrato dalla banca, gli stessi, rappresentando un’alterazione delle naturali condizioni contrattuali, devono esere resi noti al contraente che li subisce, questo in ossequio al generale dovere di correttezza e buona fede così come specificato anche dalla normativa di settore all’art.21 TUF.

Dichiarazione di operatore qualificato

Da segnalare infine l’orientamento seguito dal Tribunale in ordine all’acquisizione da parte della banca della dichiarazione di operatore qualificato ex art. 31 Regolamento Consob 11522/1998, la quale, come noto, comportava la deroga, in favore dell’intermediario, di una serie di obblighi posti a tutela dell’investitore.

Secondo tale orientamento, l’intermediario è sempre tenuto ad avvertire il cliente del significato della dichiarazione e delle conseguenze che ne derivano, soprattutto in caso di contratti particolarmente complessi quali i contratti derivati.

Infatti, più il contratto è rischioso e difficilmente comprensibile nelle sue possibili implicazioni, più è pregnante l’obbligo di informare il cliente in ordine al significato e alle conseguenze della sua dichiarazione; e poiché la banca agisce professionalmente nel settore finanziario, dovrebbe trasferire al cliente tutta quella serie di Informazioni, notizie e conoscenze di cui la stessa dispone, e che sono funzionali ad una dichiarazione consapevole, ivi compresi, ad esempio, i dati di tendenza del mercato, così importanti nelle operazioni in derivati e che solo la banca può conoscere.

Secondo il Tribunale tale impostazione non contrasta con la pronuncia della Corte di Cassazione n. 12138/2009, secondo cui la semplice dichiarazione dell’investitore di disporre della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in valori mobiliari esonera l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche sul punto.

Infatti, proprio perché la ratio normativa di cui al citato art. 31 Reg. Consob non può prescindere dalla tutela dell’investitore debole, l’esonero dell’intermediario da verifiche ulteriori rispetto all’autocertificazione del cliente di possedere specifiche competenza ed esperienza non appare inconciliabile con l’obbligo dello stesso di fornire al cliente, prima che rilasci la sua dichiarazione, un adeguato bagaglio di conoscenze che gli faranno rendere una dichiarazione il più possibile aderente alla realtà.

Consentire al cliente di rilasciare una dichiarazione “informata”, evidenzia il Tribunale, non significa compiere quelle “verifiche ulteriori” che la Cassazione del 2009 esonera l’intermediario dallo svolgere.

In applicazione di tali principi, l’intermediario è tenuto, precedentemente al rilascio della dichiarazione di operatore qualificato, a spiegare al cliente (oltre le conseguenze in termini di minore protezione che derivano dal dichiararsi operatore qualificato) la tipologia e le caratteristiche dello strumento finanziario, in modo che lo stesso sia in grado di capire se ed in quale misura le proprie competenze ed esperienze sussistano effettivamente in relazione alle operazioni finanziarie che si devono concludere.

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