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Contenzioso bancario ed eccezione di prescrizione delle rimesse solutorie: considerazioni teorico-pratiche sulla sentenza delle Sezioni Unite

27 Giugno 2019

Vittorio Pisapia, Partner fondatore, FiveLex Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

I. – Premessa

Le Sezioni Unite risolvono, con un’unica sentenza, due rilevanti contrasti giurisprudenziali: a) il primo più specificatemente attinente alla materia del contenzioso bancario e all’eccezione di prescrizione solitamente sollevata dalle banche in tema di rimesse solutorie dei pagamenti nell’ambito di rapporti di conto corrente; b) il secondo avente per oggetto l’interpretazione della nozione di “domanda” contenuta nell’art. 2033 c.c. in tema di ripetizione di indebito oggettivo.

Cominceremo dall’esame della prima questione, alla quale dedicheremo il maggiore spazio, questione che, come, in sintesi, vedremo è stata a lungo dibattuta sia nella giurisprudenza di merito che in quella di legittimità e ha alimentato negli anni un notevole contenzioso.

II. – La prima questione: modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione dei pagamenti solutori nei contenziosi aventi per oggetto rapporti di conto corrente

1. – La questione trae origine dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 24418 del 2 dicembre 2010, la quale, in tema di rapporti di conto corrente bancario, aveva valorizzato la distinzione (mutuata dal diritto fallimentare) tra rimesse (sul conto corrente) ripristinatorie della provvista (di un affidamento concesso dalla banca al cliente) e rimesse solutorie, ossia atti di pagamento (del cliente a favore della banca).

In sintesi, è qui sufficiente ricordare che, con quella sentenza, le Sezioni Unite avevano affermato i seguenti principi (riconfermati dalla pronuncia in commento):

a) il diritto alla ripetizione di un pagamento presuppone, appunto, l’esistenza di un pagamento non dovuto;

b) in particolare, non può ipotizzarsi la prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giudico qualificabile come pagamento che l’attore assuma indebito;

c) il contratto di conto corrente ha natura unitaria e dà luogo a un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi;

d) pertanto: (i) è soltanto con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti; (ii) il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto; (iii) le mere annotazioni a debito sul conto corrente non sono, in quanto tali, pagamenti;

e) i versamenti effettuati sul conto durante lo svolgimento del rapporto possono essere considerati pagamenti, come tali in astratto oggetto di azione di ripetizione (a sua volta, soggetta a prescrizione), soltanto quando: (i) siano stati eseguiti su un conto in passivo (scoperto), sul quale non acceda alcuna apertura di credito a favore del correntista oppure (ii) quando siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento.

2. – In questo quadro, nei contenziosi in tema di rapporti di conto corrente, la prescrizione può quindi essere (e di norma viene) eccepita dalle banche convenute: a)o quando siano decorsi oltre dieci anni dalla chiusura del conto ovvero b)quando, in corso di rapporto, siano intervenute rimesse solutorie sul conto, ossia siano stati eseguiti pagamenti, e siano decorsi oltre dieci anni senza che sia stata validamente interrotta, dal cliente, la prescrizione dell’azione di ripetizione.

Da qui la questione, poi approdata alle Sezioni Unite, delle modalità di formulazione dell’eccezione di prescrizione.

Si è, cioè, a lungo dibattuto se, ai fini della valida formulazione dell’eccezione, fosse onere della banca indicare in modo specifico le singole rimesse ritenute solutorie ovvero se fosse invece sufficiente la mera allegazione (cioè affermazione) del decorso del termine decennale e la manifestazione della volontà di avvalersi dell’effetto della prescizione.

3. – Come si diceva, sia la giurisprudenza di merito che quella di legittimità hanno a lungo dibattuto sulla questione.

In particolare, a un primo orientamento secondo cui (in coerenza, come vedremo, con la natura e il contenuto dell’eccezione di prescrizione), ai (soli) fini dell’ammissibilità dell’eccezione sarebbe stata sufficiente l’allegazione del mero decorso del termine previsto dalla legge (e la manifestazione della volontà di avvalersi dell’effetto della prescizione), se ne è contrapposto un altro; tale secondo orientamento aveva invece ritenuto che fosse onere della banca allegare fin dall’atto introduttivo tempestivamente depositato (ossia dalla comparsa di risposta depositata venti giorni prima dell’udienza) le singole rimesse ritenute solutorie.

4. – In questa situazione, le tecniche difensive solitamente (e prudenzialmente) adottate finora dalle banche sono state, in particolare, le seguenti (oltre al sostenere la non necessità di indicare le singole rimesse solutorie sulla base delle argomentazioni del primo orientamento giurisprudenziale):

a) articolare l’eccezione di prescrizione allegando alla comparsa (ovvero inserendo nel corpo di quest’ultima) un prospetto contenente l’elenco delle rimesse ritenute solutorie, ossia dei pagamenti ormai prescritti e quindi non ripetibili da parte del cliente;

b) indicare in ogni caso i criteri per l’individuazione delle rimesse solutorie; ad esempio, laddove il conto fosse pacificamente non affidato, individuare come prescritti tutti i pretesi diritti di ripetizione aventi per oggetto le rimesse eseguite sul conto nel decennio anteriore alla notifica della citazione: infatti, ove il conto non sia affidato, tutte le rimesse eseguite durante il rapporto hanno di regola natura di pagamenti, con conseguente decorrenza della prescrizione per la relativa azione di ripetizione.

5. – Inutile dire che, nella prospettiva dell’orientamento secondo cui occorreva individuare le singole rimesse, anche la soluzione sub a) poteva presentare criticità per le banche convenute: infatti, alla stregua di tale orientamento, soltanto le rimesse specificamente indicate erano coperte dall’eccezione di prescrizione, la quale quindi non si sarebbe potuta estendere ad altre, in ipotesi anche rilevanti, rimesse che, ad esempio, fossero emerse in sede di CTU, ovvero all’esito della produzione degli estratti conto da parte del correntista soltanto in corso di causa (con la seconda memorias ex art. 183 c.p.c.).

III. – Segue: la soluzione delle Sezioni Unite: ai fini della valida formulazione dell’eccezione non occorre indiduare le singole rimesse solutorie

La Cassazione ha messo la parola fine alla querelle e ha affermato che “l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie”.

Il ragionamento delle Sezioni Unite si basa sull’applicazione alla questione di principi generali di diritto sostanziale e processuale e si articola nei seguenti passaggi:

a) in generale, la nozione processuale di “allegazione” si identifica con l’affermazione dei fatti processualmente rilevanti posti a base dell’azione o dell’eccezione, mentre non rientra nell’ambito dell’allegazione la qualificazione dei fatti allegati, che è attività riservata al giudice;

b) l’onere di allegazione del convenuto è diverso a seconda che essa riguardi eccezioni in senso stretto (ossia l’allegazione di fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto fatto valere dall’attore) ovvero eccezioni in senso lato (mera contestazione dei fatti costitutivi allegati dall’attore): nel primo caso l’allegazione deve avvenire nei tempi e nei modi previsti dal codice (ossia con la comparsa di risposta tempestivamente depositata); nel secondo caso i relativi fatti, se acquisiti in causa, possono essere rilevati d’ufficio dal giudice;

c) l’onere di allegazione è distinto dall’onere della prova: il primo attiene alla delimitazione dell’oggetto della causa, il secondo alla verifica della fondatezza della domanda o eccezione; ragione per cui, una volta assolto l’onere di allegazione, occorre poi comunque provare (a questo punto entro i termini di cui all’art. 183 c.p.c.) il fondamento dell’azione o dell’eccezione;

d) l’eccezione di prescrizione è un’eccezione in senso stretto e l’elemento costitutivo è costituito dall’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio mentre la determinazione della durata di tale inerzia, necessaria per il verificarsi dell’estinzione del diritto, è riservata all’attività del giudice di qualificazione della fattispecie e di individuazione della norma, in tema di prescrizione, applicabile;

e) ne deriva che chi eccepisce la prescrizione ha solo l’onere di allegare, cioè di affermare, l’inerzia del titolare del diritto e la volontà di avvalersi dell’effetto estintivo; sarà poi il giudice a identificare le norme applicabili, anche applicando un termine prescrizionale diverso da quello, in ipotesi, invocato dalla parte (ad esempio decennale anziché quinquennale o viceversa);

f) ne segue che la banca che sollevi l’eccezione di prescrizione con riguardo a rimesse solutorie, non ha l’onere di indicare le singole rimesse, ma è sufficiente che alleghi l’inerzia dell’attore e manifesti la volontà di avvalersi dell’effetto estintivo della prescrizione.

Le Sezioni Unite precisano che questa conclusione è coerente con l’impostazione giurisprudenziale che ritiene che il correntista non è, a sua volta, onerato di indicare i singoli addebiti per i quali agisce con l’azione di ripetizione; a maggior ragione, quindi, non si può pretendere che lo faccia la banca convenuta con riferimento all’eccezione di prescrizione.

IV.- Segue: le implicazioni pratiche della pronuncia delle Sezioni Unite

1. – Un punto fondamentale del ragionamento delle Sezioni Unite è il seguente.

La Cassazione precisa che il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano dell’allegazione a quello della prova.

Pertanto, una volta che l’eccezione sia stata validamente formulata, il giudice dovrà valutarne la fondatezza nel merito alla luce della ripartizione dell’onere probatorio, se del caso, aggiunge la Corte, anche avvalendosi di una consulenza tecnica percipiente.

In altre parole, occorrerà accertare nel merito l’esistenza delle rimesse solutorie e il decorso del relativo termine prescrizionale.

Il che potrà eventualmente avvenire anche in sede di consulenza tecnica d’ufficio, che, come si diceva, potrà aver anche carattere percipiente. Al riguardo occorre ricordare che la consulenza percipiente è quella consulenza attraverso la quale “il giudice può affidare al consulente tecnico non solo l’incarico di valutare i fatti da lui stesso accertati o dati per esistenti, ma anche quello di accertare i fatti stessi” (Cass., 14 marzo 2016, n.4899); “nel primo caso, la consulenza presuppone l’avvenuto espletamento dei mezzi di prova e ha per oggetto la valutazione di fatti i cui elementi sono già stati completamente provati dalle parti; nel secondo caso la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, senza che questo significhi che le parti possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente. In questo secondo caso è necessario, infatti, che la parte quanto meno deduca il fatto che pone a fondamento del proprio diritto e che il giudice ritenga che il suo accertamento richieda cognizioni tecniche che egli non possiede o che vi siano altri motivi che impediscano o sconsiglino di procedere direttamente all’accertamento” (Cass., 14 marzo 2016, n.4899).

2. – È vero, dunque, che il problema è (soltanto) spostato dal piano dell’allegazione a quello della prova.

Tuttavia ciò ha implicazioni pratiche rilevantissime.

Infatti:

a) ove, ai fini della valida formulazione dell’eccezione di prescrizione, la banca fosse onerata (come invece la Cassazione ha escluso), di indicare le singole rimesse solutorie, ciò, in coerenza con le premesse, dovrebbe avvenire fin dalla comparsa di risposta tempestivamente depositata; il che comporterebbe un aggravio difensivo per la banca molto importante, considerati: (i) i tempi ristretti per la costituzione in giudizio; (ii) la possibilità che l’attore non abbia prodotto in tutto o in parte gli estratti conto; (iii) la possibilità che la banca possa non essere (legittimamente, in quanto decorso il periodo di conservazione di legge) nel possesso di tutti gli estratti conto;

b) viceversa, sulla base del principio affermato dalle Sezioni Unite, per la banca convenuta sarà sufficiente, nella comparsa di risposta, allegare l’inerzia dell’attore e manifestare la volontà di avvalersi della prescrizione, salvo poi, anche sulla base delle produzioni effettuate o che saranno effettuate dall’attore, doversi verificare, occorrendo anche sulla base di consulenza tecnca percipiente, se e quali siano le rimesse solutorie non ripetibili per intervenuta prescrizione.

3. – A quest’ultimo riguardo molto chiara è la sentenza della Cassazione, 22 febbraio 2018, n. 4372, richiamata (seppur in estrema sintesi) dalla pronuncia delle Sezioni Unite qui in commento.

In tale sentenza la Cassazione, nell’escludere che la banca abbia l’onere di indicare le singole rimesse in sede di formulazione dell’eccezione di prescrizione, precisa quanto segue:

a) “la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti emerge dagli estratti conto che il correntista, attore nell’azione di ripetizione, ha l’onere di produrre in giudizio”;

b) la prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione dell’eccepita prescrizione è, dunque, nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione: perlomeno lo è ove il correntista assolva al proprio onere probatorio; se ciò non accada il problema non dovrebbe nemmeno porsi, visto che mancherebbe la prova del fatto costitutivo del diritto azionato, onde la domanda attrice andrebbe respinta senza necessità di prendere in esame l’eccezione di prescrizione” (Cass., 22 febbraio 2018, n. 4372).

In altre parole:

a) o il correntista che agisce per la ripetizione di asseriti indebiti produce gli estratti conto, e allora non sarà comunque necessario per la Banca indicare specificamente le rimesse solutorie perché “la prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione dell’eccepita prescrizione è (…) nella disponibilità del giudice”;

b) oppure il correntista non produce gli estratti conto, e allora, così come non sarà possibile per il giudice individuare le rimesse solutorie, ancor prima, non sarà possibile per il correntista provare “il fatto costitutivo del diritto azionato”.

V. – La seconda questione: la nozione di “domanda” di cui all’art. 2033 c.c. ai fini della decorrenza degli interessi

1. – L’altra questione che le Sezioni Unite hanno affrontato e risolto attiene alla individuazione della nozione di “domanda” contenuta nell’art. 2033 c.c. in tema di ripetizione di indebito.

Ai sensi di tale norma, “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”.

La questione che si è posta è se la “domanda” di cui alla norma vada intesa come domanda giudiziale ovvero in senso atecnico, comprensivo, quindi, anche di un semplice atto di costituzione in mora.

La giurisprudenza, anche della Cassazione, è stata sempre pressoché costante nell’interpretare tale nozione come riferentesi alla “domanda giudiziale”, essendo irrilevanti, ai fini del decorso degli interessi, eventuali precedenti atti di costituzione in mora.

Le Sezioni Unite sconfessano ora tale indirizzo e affermano che la “domanda” di cui all’art. 2033 c.c. non va intesa come “domanda giudiziale”, ma comprende anche gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora ex art. 1219 c.c.

2. – Il ragionamento delle Sezioni Unite può essere così sintetizzato:

a) a differenza dell’art. 1148 c.c. (in tema di possesso di buona fede e restituzione dei frutti), l’art. 2033 c.c. non fa riferimento alla “domanda giudiziale”; il che, sotto il profilo testuale, significa che il legislatore non ha voluto riferirsi (soltanto) all’atto introduttivo di un giudizio;

b) sempre a differenza del caso del possessore di buona fede, in tema di indebito oggettivo, il legislatore si limita a prendere atto che manca un presupposto legale affinché la prestazione corrisposta possa essere mantenuta e concede alla parte che ha effettuato il pagamento il diritto di riprendersi quanto pagato.

3. – Anche in questo caso le implicazioni pratiche sono rilevanti ma si collocano prevalentemente su un piano sostanziale e, in parte, extraprocessuale.

In altre parole, la questione che si porrà a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite atterrà alla configurabilità o meno nello specifico caso di un atto di costituzione in mora rilevante ai sensi dell’art. 1219 c.c., tale da segnare il momento di avvio per il decorso degli interessi.

Le difese dei soggetti convenuti con l’azione di ripetizione di indebito potranno quindi riguardare l’eventuale inidoneità di un determinato atto a valere quale atto di costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219 c.c., ovvero la sussistenza dei relativi requisiti di sostanza e di forma prescritti dalla legge.

 

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