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Giurisprudenza

Condizioni per l’ammissione al beneficio dell’esdebitazione del fallito persona fisica

28 Febbraio 2022

Francesca Gaveglio, dottoressa di ricerca in diritto d’impresa, Università Bocconi di Milano; avvocato presso FIVELEX Studio Legale

Cassazione Civile, Sez. I, 10 settembre 2021, n. 24509 – Pres. Cristiano, Rel. Amatore

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito ai presupposti per l’ammissione del fallito persona fisica al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti.

L’art. 142 l.f. stabilisce, tra le altre cose, che il predetto beneficio si applichi a condizione che il fallito «5) non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; 6) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione».

La Suprema Corte si è interrogata se le condizioni di cui ai nn. 5 e 6 dell’art. 142 l.f. debbano sussistere congiuntamente o alternativamente.

In particolare, la Cassazione ha ritenuto che, laddove si ritenesse che «le due disposizioni in esame attengono a requisiti distinti e non sovrapponibili», la clausola di salvezza di cui all’inciso al n. 6 («salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione») rimarrebbe priva di significato: «è infatti evidente che, poiché tutte le condotte materiali descritte al n. 5 rientrano astrattamente nella tipologia di reati elencati al successivo art. 142, n. 6 (…), il fallito condannato per uno dei reati in questione, pur avendo ottenuto la riabilitazione, non potrebbe mai essere ammesso al beneficio se i medesimi fatti integranti la fattispecie delittuosa per la quale è stato a suo tempo imputato dovessero essere autonomamente valutati, quali condizioni ostative all’esdebitazione, ai sensi del n. 5».

Deve dunque ritenersi – così la Cassazione – che «le norme in esame si pongano fra loro in rapporto di alternatività, con la conseguenza che, una volta che sia intervenuta la riabilitazione, le condotte tipizzanti il reato per il quale il fallito ha riportato la condanna, non più preclusive dell’acceso al beneficio ai sensi del n. 6, non possono nuovamente essere tenute in considerazione, e condurre al rigetto della domanda [di esdebitazione], sotto il diverso profilo del n. 5».

In conclusione, la Cassazione ha affermato che «[l]e disposizioni di cui alla L.Fall., art. 142, comma 1, nn. 5 e 6 si pongono fra loro in rapporto di alternatività; ne consegue che il giudice dell’esdebitazione – qualora il fallito sia stato condannato in via definitiva per uno dei delitti elencati al n. 6 ma abbia poi conseguito la riabilitazione, od altro provvedimento ad essa equiparato – può rigettare la domanda [di esdebitazione] ai sensi del n. 5 solo se taluno dei fatti ivi contemplati, tutti astrattamente configurabili come reato, di cui abbia accertato la commissione da parte dell’istante, non abbia già formato oggetto di imputazione e non sia pertanto compreso fra quelli in ordine ai quali si sono prodotti gli effetti di cui all’art. 178 cod. pen.».

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