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Con la pronuncia in esame, il Tribunale di Milano interviene sui rapporti intercorrenti tra le clausole statutarie volte a disciplinare la sostituzione di uno o più amministratori cessati dalla carica prima della scadenza naturale del mandato e l’esercizio della facoltà di revoca degli amministratori rimasti in carica ex art. 2383, comma 3 c.c.
In particolare, la clausola statutaria che stabilisce che “se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli stessi sono sostituiti con le medesime modalità di nomina degli amministratori venuti a mancare” si limita a porre una regola organizzativa che, riproponendo in via generalizzata la previsione di cui all’art. 2386, comma 2 c.c., disciplina unicamente le modalità di sostituzione degli amministratori cessati nel corso dell’esercizio, in parziale deroga rispetto alle disposizioni codicistiche in materia di cooptazione. Al contrario, la previsione statutaria anzidetta non vale in alcun modo a limitare la facoltà di revoca degli amministratori rimasti in carica da parte dell’assemblea, che “si colloca su di un piano autonomo e differente” e non “può ritenersi limitato nella sua portata dalle eventuali intervenute dimissioni spontanee di altri componenti del consiglio di amministrazione”.
Invero, il potere dell’assemblea di revocare l’amministratore è una fattispecie di recesso attribuita ex lege alla società come forma di autotutela privata, che consente di sciogliere il rapporto gestorio senza alcuna necessità di intervento giudiziario, tramite adozione di una delibera assembleare avente efficacia estintiva del rapporto. Trattandosi di un potere che discende dal generale principio di autonomia privata, il relativo esercizio è libero, pur trovando un limite, imposto da un’esigenza di rispetto della posizione sociale ed economica dell’amministratore, nella sussistenza di una “giusta causa” di revoca (in tal senso, Cass. n. 2037/2018).
Alla luce di tali principi, è di tutta evidenza che le eventuali dimissioni di uno o più membri del consiglio di amministrazione, che impongono – in ragione della clausola statutaria anzidetta – la tempestiva convocazione dell’assemblea dei soci per la sostituzione dei medesimi, non vale in alcun modo a impedire che l’assemblea in questione deliberi la revoca dei consiglieri non dimissionari, laddove ne ricorrano i presupposti. Inoltre, la sussistenza di una “giusta causa” di revoca, pur rappresentando un limite all’esercizio discrezionale del potere di recesso ex art. 2383, comma 3 c.c., non integra una condizione di efficacia della delibera assembleare di revoca, ricoprendo la più limitata funzione di escludere qualsivoglia obbligo risarcitorio a carico della società per il recesso anticipato dal rapporto.
Infine, la pronuncia in esame procede a un’indagine della relazione intercorrente tra modifica della forma di governance(nella specie, adozione di un amministratore unico in sostituzione del precedente organo collegiale) e revoca dei componenti del precedente organo gestorio. Anche sotto tale profilo, il giudice di merito statuisce la completa autonomia delle due deliberazioni, affermando che la decisione dei soci di modificare la forma dell’organo amministrativo non limita, né altrimenti incide su, la facoltà di revocare i soggetti che, al momento dell’adozione della delibera modificativa, rivestono la carica di amministratori della società, restando peraltro inteso che la modifica della forma di governance non integra, di per sé, una giusta causa di revoca dei componenti dell’organo amministrativo in carica (nello stesso senso, Cass SS.UU. n. 29078/2019).