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Giurisprudenza

Chiarimenti sulla responsabilità degli amministratori non operativi

4 Ottobre 2016

Alessia Benevelli

Cassazione Civile, Sez. I, 31 agosto 2016, n. 17441 – Pres. Bernabai, Rel. Di Marzio

Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha delineato i confini della responsabilità degli amministratori non operativi, chiarendo che questi ultimi rispondono delle conseguenze dannose della condotta di altri amministratori (operativi) soltanto qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati. E ciò sul rilievo che la riforma del 2003 ha notevolmente innovato la disciplina in materia, prevedendo, quanto agli amministratori operativi (art. 2392, primo comma, c.c.), una responsabilità non in quanto mandatari, bensì in ragione della “diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze” – il che equivale, nella sostanza, a equiparare la diligenza esigibile dall’amministratore a quella dell’art. 1176, secondo comma, c.c. (ossia ragguagliata alle circostanze del caso); mentre gli amministratori non operativi non risultano più sottoposti ad un generale obbligo di vigilanza per una ben precisa scelta legislativa[1].

L’art. 2392, secondo comma, c.c., infatti, richiamando espressamente l’art. 2381, terzo comma, c.c., pone a carico degli amministratori l’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’assetto amministrativo, organizzativo e contabile della società “sulla base delle informazioni ricevute”, e l’andamento della gestione “sulla base della relazione degli organi delegati”. Detto rinvio, peraltro, nell’interpretazione della Cassazione è da intendersi necessariamente esteso anche al sesto comma dell’art. 2381, a norma del quale “gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”. Da ciò discende che la responsabilità degli amministratori privi di specifiche deleghe operative non possa discendere da una generica condotta di omessa vigilanza, tale da trasformarsi, nei fatti, in un’ipotesi di responsabilità oggettiva. Detta responsabilità deve essere connessa alla violazione del dovere di agire informati, sia sulla base delle informazioni che devono essere loro somministrate, sia sulla base di quelle che essi stessi possono acquisire di propria iniziativa. Per quest’ultima ipotesi occorre che la facoltà di “chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società” sia in qualche modo innescata da elementi sufficienti a trasformare il loro agire in un obbligo positivo di condotta parametrato alla diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

In capo agli amministratori, pertanto, non può che configurarsi un generale obbligo di agire informati avvalendosi delle informazioni ricevute e, se del caso, di quelle acquisite di propria iniziativa in presenza di segnali di allarme tali da indurli a ricercare informazioni altrimenti non disponibili. Altrimenti, conclude la Corte, si ricadrebbe nuovamente nella configurazione di un generale obbligo di vigilanza, obbligo che la riforma ha volutamente eliminato.

 


[1] Nella Relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 6/2003, infatti, è evidenziato come la scelta sia stata motivata dall’esigenza di “evitare sue indebite estensioni che, soprattutto nell’esperienza delle azioni esperite da procedure concorsuali, finivano per trasformarla in una responsabilità sostanzialmente oggettiva, allontanando le persone più consapevoli dall’accettare o mantenere incarichi in società o in situazioni in cui il rischio di una procedura concorsuale le esponeva a responsabilità praticamente inevitabili”.


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