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Giurisprudenza

Bond argentini: inadempimento agli obblighi informativi e presunzione del nesso di causalità

4 Marzo 2021

Edoardo Pistone, Junior Associate presso Gattai, Minoli, Agostinelli & Partners, Cultore della Materia in Diritto Commerciale e dei Mercati Finanziari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore

Cassazione Civile, Sez. I, 22 ottobre 2020, nn. 23130-23131-23132 – Pres. De Chiara, Rel. Amatore

Di cosa si parla in questo articolo

Con tre pronunce in stretta successione tra loro, la Suprema Corte ritorna a fare ulteriore chiarezza sul corretto assolvimento degli obblighi informativi incombenti sugli intermediari finanziari ai sensi dell’art. 21 del Testo Unico della Finanza e dell’attuale art. 36 del Regolamento Intermediari Consob.

Le suddette ordinanze affondano le loro radici storiche nel default dello stato argentino dei primi anni 2000 e, in particolare, hanno quale sfondo le vicende personali di tre clienti tra di loro accomunati dall’insoddisfazione per l’inadeguatezza dell’informazione ricevuta da parte del rispettivo istituto di credito all’atto dell’acquisto di prodotti finanziari (i.e. titoli di debito dello stato argentino) presentati loro come ordinari e poco dopo rivelatisi invece speculativi.

Riguardo, pertanto, alla richieste di risarcimento avanzate dai tre clienti per violazione degli obblighi informativi in riferimento ai rispettivi contratti di intermediazione finanziaria la Cassazione conferma le sue recenti posizioni (si v., ex multis, Sez. I, Sent. n.7905 del 17/04/2020, Sez. I Ord. n. 3914/2018 e n.12544/2017) trattando nello specifico un duplice aspetto.

Quanto al primo profilo, la Corte ribadisce come “il nesso causale tra inadempimento degli obblighi informativi e danno si presume, salvo prova contraria”. E ciò in considerazione della funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario finanziario, preordinato al “riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole”.

E contro tale presunzione, a giudizio della Corte, l’intermediario non può limitarsi a fornire dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore (anche quando desunta da scelte intrinsecamente rischiose pregresse) in quanto “anche l’investitore speculativamente orientato […] deve poter valutare la sua scelta nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati”. Su tale assunto la Corte arriva a confermare la posizione della corte di merito che aveva addirittura escluso la possibilità della prova contraria da parte dell’intermediario finanziario “sulla base del rilievo che la concretezza del rischio impediva di ritenere che, se informato, l’investitore non si sarebbe astenuto” (Ord. 23130/2020).

Nello specifico, la Suprema Corte (Ord. 23131/2020) evidenzia come l’obbligo informativo di cui al Regolamento Intermediari Consob non possa ritenersi certamente adempiuto attraverso una generica e standardizzata segnalazione di inadeguatezza dell’operazione al profilo del cliente nel modulo sottoscritto da quest’ultimo. L’informazione preventiva deve difatti essere dettagliata, con particolare riferimento alla natura dei prodotti offerti e ai caratteri propri dell’emittente “ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi non siano integrati e restando irrilevante, a tal fine, ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento” (conformemente, Sez.I, Ord. n. 15936 del 18 giugno 2016). Sebbene infatti, secondo risalente giurisprudenza, la sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d’ordine contenente la segnalazione di inadeguatezza del prodotto – sulla quale egli pertanto verrebbe “avvisato” – sarebbe idonea fa presumere assolto l’obbligo informativo previsto in capo all’intermediario, la Cassazione precisa ora che “a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi l’omissione di specifiche informazioni, grava sulla banca l’onere di provare, con qualsiasi mezzo, di averle specificamente rese”. L’intermediario dovrà pertanto provare di aver fornito un’informativa “sufficiente in concreto” tale cioè da soddisfare le esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente. Sarà pertanto la deduzione di inadempimento ai suddetti obblighi informativi avanzata dal cliente a dettare la misura dell’onere probatorio gravante sull’intermediario, laddove, secondo la Corte, all’onere dell’investitore di indicare specificatamente le informazioni che assuma di non avere ricevuto, corrisponde l’onere dell’intermediario di provare di averle, invece, fornite (e.g., nel caso oggetto di esame, l’ordine scritto da parte del cliente di eseguire l’operazione che identifichi lo strumento finanziario e attesti l’opera dissuasiva all’acquisto da parte dell’intermediario per la sua inadeguatezza al profilo del cliente).

Su di un piano, infine, più strettamente economico la Cassazione (Ord. 23132/2020) chiarisce come, trattandosi nei casi in esame di richieste di ristoro risarcitorio a fronte dell’inadempimento della banca ai suoi obblighi informativi – e non già della richiesta della risoluzione giudiziale dei contratti di acquisto dei prodotti finanziari – sia in ogni caso opportuno applicare la compensatio lucri cum damno. Talché andrà sempre operata la detrazione dal quantum debeatur del valore di eventuali cedole incassate dall’investitore per scongiurare un ristoro risarcitorio esagerato che non tenga conto degli effetti economici positivi discendenti dalla negoziazione di titoli, comunque qualificabili come “guadagno” del cliente.

 

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