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Giurisprudenza

Bancario licenziato: sulla tempestività del licenziamento

21 Agosto 2025

Cassazione Civile, Sez. Lav., 01 giugno 2025, n. 14760 – Pres. Doronzo, Rel. Caso

Di cosa si parla in questo articolo

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza n. 14760 del 01 giugno 2025, in un caso di un bancario licenziato per giusta causa, si è pronunciata sulla tempestività del licenziamento intimato, per aver fornito informazioni riservate sui correntisti, al contempo debitori di un soggetto indagato per usura.

In particolare, nel caso di specie, il bancario poi licenziato:

  • aveva omesso di segnalare le “operazioni sospette” intercorrenti fra i clienti della banca e l’indagato
  • aveva, altresì, riferito all’indagato informazioni riservate, riguardanti le esposizioni debitorie dei clienti nei confronti della banca e ciò al fine di tenere aggiornato lo stesso in merito allo stato di bisogno di questi ultimi e di agevolarne la riscossione del credito.

Tale condotta sarebbe risultata posta in essere dal dipendente di banca nella piena consapevolezza dell’usurarietà del rapporto tra l’indagato e i correntisti e violando ripetutamente la normativa antiriciclaggio, la normativa posta a tutela della privacy, la normativa interna, il codice di condotta, l’art. 2104 C.c. e l’art. 38 CCNL credito.

La pronuncia del Tribunale – poi riformata in appello – aveva tuttavia ritenuto non giustificabile il tempo trascorso tra la prima contestazione disciplinare (con sospensione cautelare dal servizio e sospensione provvisoria del procedimento disciplinare), la seconda (9 mesi dopo la prima) ed il licenziamento (14 mesi dopo).

La Corte d’Appello, a contrario, aveva ritenuto giustificato l’intervallo temporale intercorso, in quanto la banca, solo 5 mesi dopo la prima contestazione disciplinare aveva ottenuto copia degli atti del procedimento penale, ovvero atti che in precedenza non erano nella propria disponibilità e che erano stati acquisiti o formati, non dalla stessa banca, bensì in ambito giudiziario: pertanto, non appariva rilevante “il tempo trascorso dall’acquisizione degli atti del procedimento penale e la seconda contestazione, atteso che dalla stessa lettera di contestazione emerge che la banca ha effettuato riscontri interni dei fatti oggetto di contestazione”.

Inoltre, chiariva che non appariva “logico pretendere che la datrice di lavoro frazionasse il procedimento disciplinare, adottando immediatamente la sanzione ritenuta proporzionata ai fatti contestati [con la prima contestazione] essendo di contro pienamente giustificata l’attesa dell’esito, anche non definitivo, del procedimento penale, sospendendo nel frattempo il procedimento disciplinare, al fine di contestare eventuali comportamenti disciplinarmente rilevanti, che avrebbero potuto supportare ulteriormente la sussistenza della giustacausa”.

La Cassazione conferma l’impianto motivazione della Corte d’Appello, non ravvisando alcun difetto di motivazione, come sostenuto dal bancario licenziato  che aveva impugnato il licenziamento (e poi la decisione della Corte d’Appello).

La Corte ricorda che, secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione, espressione del generale precetto di correttezza e buona fede, si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro e va inteso in senso relativo, potendo, nei casi concreti, essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, in ragione della complessità di accertamento della condotta del dipendente, oppure per l’esigenza di una articolata organizzazione aziendale, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo.

Compete quindi al giudice di merito verificare in concreto quando un potenziale illecito disciplinare sia stato scoperto nei suoi connotati sufficienti a consentire la contestazione, mentre costituisce questione di diritto, sindacabile in sede di legittimità, determinare se l’arco temporale intercorso tra la scoperta dell’illecito disciplinare e la sua contestazione dia luogo, o meno, a violazione del diritto di difesa del lavoratore.

Inoltre, il ritardo della contestazione può costituire un vizio del procedimento disciplinare solo ove sia tale da determinare un ostacolo alla difesa effettiva del lavoratore (circostanza non avvenuta nel caso di specie), tenendo anche conto che la ponderata e responsabile valutazione dei fatti da parte del datore di lavoro può e deve precedere la contestazione anche nell’interesse del dipendente, che altrimenti sarebbe esposto ad incolpazioni non adeguatamente meditare o comunque non sorrette da un sufficiente approfondimento.

In conclusione, per la Cassazione, si sottrae a qualsiasi rilievo in sede di legittimità, il giudizio espresso dalla Corte territoriale, che, in punto motivo, ave altresì escluso anche “la contrarietà a buona fede del comportamento” datoriale, circa il tempo non eccessivo trascorso tra la prima contestazione disciplinare e l’adozione del provvedimento di licenziamento.

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