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Giurisprudenza

Arbitrato e fallimento: la sentenza delle Sezioni Unite

27 Febbraio 2023

Cassazione Civile, Sez. Un., 23 febbraio 2023, n. 5694 – Pres. D’Ascola, Rel. Ferro

Di cosa si parla in questo articolo

Con Sentenza n. 5694 del 23 febbraio 2023, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è espressa sulla sorte dell’arbitrato e del relativo lodo arbitrale nel caso di fallimento.

Di seguito i principi di diritto pronunciati dalle Sezioni Unite:

  • il giudizio arbitrale promosso sulla base della clausola compromissoria accessoria ad un appalto e per l’accertamento di un credito da esso dipendente, diviene improcedibile al sopraggiungere della messa in liquidazione coatta amministrativa di una delle parti del contratto (nella specie, l’appaltatore), stante l’esclusività dell’accertamento del passivo nella sede concorsuale cui è comunque tenuta, ai sensi degli artt.52 e 93 l.f., la parte creditrice (nella specie, il committente), se il rapporto è ancora pendente, cioè non esaurito ai sensi dell’art.72 l.f.;
  • il lodo ciononostante emesso, prima della scadenza del termine di 60 giorni assegnato dall’art.81 l.f. all’organo concorsuale per dichiarare il proprio eventuale subentro nel contratto presupposto e senza che siffatta dichiarazione sia intervenuta, è nullo, con conseguente inettitudine a produrre effetti già nei confronti della procedura concorsuale, in quanto lo scioglimento dell’appalto in conseguenza dell’apertura del concorso ne realizza un effetto legale ex nunc, solo risolutivamente condizionato alla decisione di subentro del commissario fin quando è possibile e così gli arbitri, nella fattispecie, difettano di potestas judicandi;
  • l’apertura della procedura concorsuale in pendenza del rapporto determina altresì, secondo la regola generale dell’art.72 co.6 l.f., valevole anche per l’appalto, la inefficacia della clausola negoziale che ne fa dipendere la risoluzione da tale evento.

In particolare, evidenziano le Sezioni Unite, l’accessorietà della clausola compromissoria rispetto al contratto sorregge (come confermato anche dall’art.192 CCII, parimenti non utile a chiarire i quesiti in esame, perché identico alla disposizione qui applicabile) la regola che esige, nella LCA come nel fallimento, la non sopravvivenza del procedimento arbitrale una volta che il contratto sia sciolto, trattandosi di mero riflesso esterno di una scelta dell’organo concorsuale volontaria e consapevole, per quanto anche tacita.

La formula legale, invero, rende definitivamente disagevole sostenere la clausola compromissoria come rapporto pendente, ai sensi del concorso, risolvendo invece negativamente ogni dubbio su correlativi autonomi obblighi di prestazione in carico alle parti; la biunivocità del legame contratto-clausola, d’altronde, è stata enunciata anche dalle Sezioni Unite, su fattispecie inversa ma a conferma del principio, evincibile dall’art.83bis l.f. nonostante la sola previsione dello scioglimento, secondo cui «nell’ipotesi di subentro da parte del curatore nelle situazioni giuridiche attive derivanti dal contratto contenente la clausola compromissoria, questa conserv[a] piena efficacia anche nei confronti del curatore: diversamente opinando, infatti, si consentirebbe al curatore di sciogliersi da singole clausole del contratto di cui pure chiede l’adempimento.

Se perciò già in via teorica anche l’arbitrato ai sensi dell’art.83bis l.f. subisce questa portata, nonostante la duplicità delle posizioni di debito-credito (come nella presente vicenda), quando esso prosegua finirebbe per concernere – al più – le sole controversie riguardanti diritti di credito nella titolarità del fallito e in quanto tali appresi alla massa e perseguiti (e non meramente eccepiti) dal suo organo esponenziale.

Pertanto, un’azione di condanna della procedura, come non è suscettibile d’essere intrapresa fuori dal contesto della verifica del passivo nel fallimento, così non può essere proseguita dal creditore nei riguardi della curatela in sede di arbitrato (Cass. 4453/2016); la regola concorsuale di esclusività determina perciò che se l’arbitrato pendente al momento della dichiarazione di fallimento attiene ad un diritto nei confronti del fallito, esso – anche per questa via – è in ogni caso destinato all’improseguibilità; se l’arbitrato, poi, si concluda con un lodo, almeno e come premesso, per la parte dei diritti che sarebbero da avanzare verso la massa, l’improprietà della sede di accertamento si riflette sulla carenza di titolo alla relativa pronuncia, di per sé comunque inopponibile alla massa.

Nel bilanciamento degli interessi, tra la posizione del contraente in bonis che aspira ad una definizione giudiziale della controversia sorta sul rapporto e così contando sul compimento dell’arbitrato in corso, da un lato ed il curatore che deve assumere determinazioni gestorie congrue rispetto al patrimonio, già oggetto di messa in sicurezza giuridica immediata con la sentenza di fallimento ai sensi degli artt.51 e 52 l.f., dall’altro, il legislatore concorsuale rafforza ulteriormente l’immunizzazione della massa dei creditori, così rappresentata, da ogni iniziativa di terzi

Per l’appalto, la modalità specificativa del principio è la fissazione di un termine per derogare, con il subentro e sotto il controllo del comitato dei creditori, mentre l’esaurimento di ogni effetto della stessa vicenda contrattuale è solo confermato alla scadenza, in mancanza di una scelta comunque espressa; per questa considerazione, anche lo spatium deliberandi, proprio per la sua ratio di istituto di servizio strategico alla procedura per la miglior ponderazione degli interessi della massa, non potrebbe convivere con la vulnerabilità interinale a decisioni, a maggior ragione se inconsapevoli della dichiarazione di fallimento, nel frattempo emesse nel corso dell’arbitrato.

Se pertanto l’appalto si assoggetta, con tutte le sue clausole, alle eventuali determinazioni di subentro del curatore, da esprimersi nei 60 giorni dal fallimento e, in mancanza, la non prosecuzione stessa viene consolidata, restando nel frattempo il contratto privo di efficacia anche sul piano processuale, ne deriva che il lodo emesso a conclusione dell’arbitrato ciononostante reso è nullo, in difetto della potestas judicandi dell’arbitro, afferendo ad una prerogativa decisoria manifestata senza giuridica partecipazione al contratto – presupposto dalla clausola compromissoria – della nuova e unica parte a ciò legittimata, l’organo concorsuale.

Al contempo lo scioglimento del contratto cui la clausola compromissoria accede s’impone, come visto, altresì ed in modo irreversibile sul rapporto sostanziale, perdurando quale effetto definitivo, per entrambi (contratto e clausola), anche dopo la chiusura della procedura; proprio la vicenda di causa evidenzia così il carattere assoluto dell’effetto della improcedibilità del giudizio arbitrale, non potendo il lodo assumere efficacia nemmeno a processo concorsuale concluso, per scioglimento irretrattabile del contratto cui accedeva la relativa clausola compromissoria.

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