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Giurisprudenza

Applicabilitá dell’art. 1526 c.c. ai casi di risoluzione anticipata del contratto di leasing traslativo

15 Febbraio 2019

Giulia Zanzottera

Cassazione Civile, Sez. I, 31 ottobre 2018, n. 27935 – Pres. Di Virgilio, Rel. Dolmetta

Di cosa si parla in questo articolo

Nella fattispecie in questione il ricorrente ha agito contro la decisione del giudice del merito che aveva confermato l’esclusione di questo dal passivo fallimentare in relazione a una somma derivante da un’operazione di leasing, già risolta prima del fallimento a causa dell’inadempimento dell’utilizzatore in virtù di una clausola risolutiva espressa. Il giudice delegato, e successivamente il Tribunale di Rovigo, hanno respinto la domanda della società di leasing ritenendo applicabile non già la clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di leasing immobiliare o, in alternativa, l’art. 72 quater legge fall., – come da domanda subordinata del ricorrente –, bensì l’art. 1526 c.c.; già in virtù della qualificazione del contratto in termini di «leasing traslativo». L’applicazione di tale norma, il cui scopo è di evitare locupletazioni ingiustificate in danno all’utilizzatore, è stata pertanto ritenuta non validamente derogabile dalla clausola risolutiva espressa prevista contrattualmente.

Più nel dettaglio, ritiene la Corte che la pretesa del ricorrente basata sul disposto della clausola risolutiva espressa – peraltro, erroneamente ritenuta dal ricorrente come identica per disciplina al disposto dell’art. 72 quater legge fall. – non possa trovare applicazione nel caso di specie, ritenendo tale clausola – qualificata dalla giurisprudenza come «patto di addebito» o «patto di deduzione» (già Cass., 19 settembre 2017, n. 21476) – elusiva della disciplina contenuta ai sensi dell’art. 1526 c.c. Tale è, in particolare, il patto che attribuisce all’utilizzatore il diritto di trattenere il ricavato della vendita o del reimpiego del bene «al netto di tutte le spese e oneri, anche se giudiziali e non ripetibili, e comunque a qualsiasi titolo sostenuti dal concedente». La Corte considera tale patto nullo in quanto «contrario all’ordine pubblico economico e, in particolare, alla previsione di cui all’art. 1526 c.c., applicabile in via analogica a tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto».

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