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Giurisprudenza

Antieconomicità dell’operazione irrilevante ai fini della detrazione dell’IVA

16 Settembre 2021

Matteo Mancini, Avvocato

Cassazione Civile, Sez. V, 07 luglio 2021, n. 19212 – Pres. Manzon, Rel. Castorina

Di cosa si parla in questo articolo

L’Amministrazione finanziaria non ha la possibilità di disconoscere il diritto alla detrazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto (“IVA”) in capo ad un soggetto passivo in ragione della sola antieconomicità del prezzo sostenuto per l’acquisto di beni o servizi rispetto a quello da considerarsi “normale”.

In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza in oggetto, stabilendo altresì che deroghi a tale principio il caso in cui l’antieconomicità dell’operazione rilevi come indizio (a) della non veridicità dell’operazione, (b) della non verità del prezzo ovvero (c) della mancanza di inerenza (i.e. destinazione del bene o del servizio acquistato a scopi diversi dal compimento di operazioni attive soggette ad IVA).

Richiamando sinteticamente i fatti di causa, il contribuente – esercente un’attività di bar e caffè, oltre che di vendita di tabacchi e lotterie – veniva raggiunto da un avviso di accertamento contenente contestazioni circa il conseguimento di maggiori ricavi generati dalle vendite a fronte dell’applicazione di una percentuale di ricarico negativa ritenuta “del tutto incongruente” rispetto alla media di settore: tale antieconomicità – a parere dell’Ufficio – produceva, tra l’altro, l’esclusione del diritto alla detrazione dell’IVA assolta.

Dopo un primo grado favorevole al contribuente, l’Ufficio proponeva appello presso la competente Commissione Tributaria Regionale (“CTR”), la quale, di contro, attribuiva validità alle ragioni dell’appellante, in particolare riscontrando (i) la correttezza del metodo di accertamento dei ricavi effettuato, (ii) la relativa idoneità a provare l’antieconomicità dell’attività e (iii) l’inadeguatezza della prova contraria fornita dal contribuente.

A seguito di tale giudizio di appello, il contribuente proponeva ricorso alla Suprema Corte, lamentando, ai fini che qui interessano, la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, primo comma, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, fondando la propria censura sull’assunto che, in materia di IVA, per escludere il diritto alla detrazione dell’imposta in ragione di costi antieconomici sostenuti dal soggetto passivo, l’Amministrazione finanziaria debba necessariamente dimostrare l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione – come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica – rilevante quale indizio di non verità della fattura, e, dunque, di (i) non verità dell’operazione stessa ovvero di (ii) non inerenza fra la destinazione del bene o servizio ed il compimento di operazioni attive assoggettate ad IVA.

A parere dei giudici ermellini, in condizioni normali non è consentito all’Amministrazione finanziaria di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dal contribuente escludendo il diritto alla detrazione dell’IVA assolta per le ipotesi in cui tale valore sia ritenuto (i) antieconomico – e dunque diverso da quello da considerare “normale” – o comunque (ii) tale da produrre un risultato antieconomico.

Tuttavia, tale potere è attribuito all’ente accertatore esclusivamente allorché la riscontrata antieconomicità rilevi quale indizio di non verità della fattura, intesa quale (a) non verità dell’operazione, (b) non verità del prezzo ovvero (c) mancato riscontro dell’inerenza fra la destinazione del bene o del servizio acquistati ed il compimento operazioni attive assoggettate ad IVA.

Come statuito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nonché da alcune precedenti pronunce della Corte di Cassazione, infatti, ai fini dell’accertamento dell’inerenza in materia di IVA, il giudizio di congruità si pone come di per sé inidoneo ad escludere il diritto a detrazione, salvo il caso in cui l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione sia “tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad I.V.A.” (cfr., inter alia, Corte di Giustizia, 20 gennaio 2005, C-412/03, Hotel Scandic Gasaback, per cui “la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante”; Corte di Giustizia, 26 aprile 2012, C-621/10 e C-129/11, Balkan; Corte di Giustizia, 9 giugno 2011, C-285/10, Campsa Estaciones de Servici; Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, C-263/15, Lajvér e, con riferimento alla giurisprudenza delle Suprema Corte, Cass. 3 febbraio 2017, n. 2875 e Cass. 30 gennaio 2018, n. 2240).

Ciò considerato, non apparendo il giudizio di congruità di per sé in grado di escludere l’inerenza del costo – “salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e l’attività d’impresa” (cfr. Cass. 17 luglio 2018, n. 18904 e Cass. 14 giugno 2019, n. 16010) – l’antieconomicità assume, in materia di IVA, un ruolo meramente procedimentale (cfr. Cass. 4 giugno 2014, n. 12502; Cass. 10 dicembre 2014, n. 25999 e Cass. 27 settembre 2013, n. 22130).

Su queste basi, dunque, diversamente dalle imposte sui redditi – ove la valutazione di antieconomicità può assumere valore sintomatico di mancata inerenza (e di impossibilità di deduzione del costo) – in materia di IVA il sindacato sull’antieconomicità dell’operazione appare quasi del tutto irrilevante possedendo il giudizio di congruità “una diversa incidenza, di per sé non idonea ad escludere il diritto a detrazione” (cfr. Cass. 14 giugno 2019, n. 16010).

Posto tutto quanto sopra, escludendo che la contestazione dell’Ufficio e, in particolare, i contenuti della prova posta a suo carico, possano considerarsi soddisfatti adducendo la mera antieconomicità dell’operazione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata con rinvio alla competente CTR.

 

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