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Giurisprudenza

Anti deprivation rule nel diritto fallimentare anglosassone: commento alla sentenza “Belmont Park Investments”

4 Gennaio 2013

Jacopo Crivellaro, BCL Candidate, St. Catherine’s College, University of Oxford

Belmont Park Investments PTY Limited v BNY Corporate Trustee Services Limited and Lehman Brothers Special Financing Inc [2011] UKSC 38

***

Introduzione

La sentenza Belmont Park Investments offre la piu’ significativa interpretazione dell’anti deprivation rule nel diritto fallimentare anglosassone. Tale principio prevede che dal momento dell’insolvenza il debitore non possa legittimamente disporre dei propri beni per ridurre il patrimonio disponibile per la distribuzione ai creditori. Nello specifico, la Corte Suprema britannica ha stabilito che l’applicazione di una clausola contrattuale “flip in”, che inverte l’ordine di precedenza nel risarcimento in caso del fallimento di una delle controparti, non viola l’anti deprivation rule.

Fatti Oggetto della Disputa

Il procedimento giuidiziario fu avviato a seguito del fallimento del colosso finanziario Lehman Brothers nel settembre del 2008. Il ricorrente, la societa’ finanziaria Lehman Brothers Special Financing (LBSF) stipulo’ un accordo di investimento (c.d. swap contract) con una serie di fondi istituzionali australiani, riuniti nella figura giuridica del convenuto, Belmont Park Investments.

L’accordo prevedeva la vendita ai convenuti di obbligazioni da parte di una societa’ veicolo (SPV) appositamente creata. Con la somma ricavata dalla vendita delle obbligazioni la SPV ha acquistato azioni in investimenti considerati privi di rischio (investimento collaterale) come ad esempio i titoli del Tesoro statunitense. Esse sono state in seguito depositate in un fondo separato sotto la gestione di un trustee. Sulla base dell’accordo stipulato tra LBSF e Belmont Park, la prima si impegnava a pagare l’interesse sulle obbligazioni mentre la seconda acconsentiva che i profitti dell’investimento collaterale venissero trasferiti direttamente ed unicamente a LBSF.

La scadenza del contratto di investimento avrebbe comportato per LBSF la restituzione dell’ammontare inizialmente investito da Belmont per l’acquisto del collaterale (vale a dire le obbligazioni acquistate dalla SPV). A questa somma sarebbe stato tuttavia sottratto un ammontare prestabilito, calcolato con riferimento al fallimento di alcune azioni gestite nel portafoglio azionario di LBSF. A quest’ultima venivano in ogni casi garantiti i proventi generati dalla vendita dell’investimento collaterale. Il contratto stabili’ che l’avverarsi di alcune situazioni (tra cui il fallimento di LBSF) avrebbe avuto come conseguenza quella di invertire l’ordine di precedenza sul pagamento dei proventi ricavati dalla vendita dell’investimento collaterale; in questo caso Belmont sarebbe stato risarcito prioritariamente rispetto a LBSF. Tale clausola fu introdotta per evitare che un fallimento artificioso di LSBF (realizzato unicamente per sfruttare un andamento positivo nei mercati) avesse l’effetto di terminare il contratto a sfavore di Belmont.

Con l’inaspettato fallimento di Lehman Brothers Holding International il 15 settembre e di LBSF il 3 ottobre 2008, il contratto termino’ anticipatamentee la clausola per l’inversione dell’ordine delle precedenze fu applicata ai danni di LBSF.

Conclusioni Giuridiche

LBSF sostenne che il diritto al pagamento degli attivi nel contratto (la somma speculativa determinata dai fallimenti di societa’ presenti nel suo portafoglio azionario) e la precedenza goduta sul pagamento dei proventi della vendita del collaterale costituissero beni proprietari e che l’effetto della clausola “flip in” fosse di sancire una distribuzione illegittima del patrimonio del debitore in violazione della normativa fallimentare.

La sentenza della Corte Suprema, pronunciata dal Giudice Lord Collins, respinse unanimemente il ricorso di LBSF. In particolare, la Corte ritenne che una transazione commerciale stipulata in bona fide dalle parti non violasse l’anti deprivation rule (paragrafi 78-79). In aggiunta, una clausola contrattuale che restituisse il titolo alla parte commerciale che lo aveva originariamente trasferito, non sarebbe stata vista con sfavore dalla Corte (paragrafi 96-98). Una simile situazione si verifico’ infatti nella controversia, con l’investimento collaterale reso possibile dai proventi dell’acquisto delle obbligazioni da parte di Belmont. Il giudice concluse ritenendo che le transazioni commerciali tra LBSF e Belmont fossero state stipulate in bona fide e che, visto l’acquisto del collaterale da parte di Belmont e data l’assenza di prove che manifestassero una deliberata intenzione di evadere l’applicazione del regime fallimentare, la clausola “flip in” del contratto non violasse l’anti deprivation rule (paragrafi 108-113).

Nella stessa sentenza, il giudice Lord Mance, concordo’ con la decisione di respingere l’appello ma basandosi su ragioni differenti. Egli sostenne che l’ordine di precedenza di LBSF rispetto al pagamento del collaterale non costituisse un bene proprietario, e che quindi nel caso in questione, l’anti deprivation rule non fosse applicabile.

Analisi

La sentenza della Corte ha rassicurato gli operatori finanziari che l’applicazione del diritto fallimentare non interferira’ con transazioni commerciali, anche sofisticate, in mancanza di una voluta intenzione di eludere l’applicazione del diritto. Ciononostante, la sentenza e’ stata oggetto di pesanti critiche nel mondo accademico1 in quanto lascia irrisolte molte questioni, fra cui l’applicazione del principio quid pro quo, secondo cui una controparte commerciale puo’ esigere l’adempimento contrattuale al di fuori delle procedure concorsuali e la teoria del flawed asset, considerata dalla Corte come insoddisfacente ma troppo consolidata nel diritto anglosassone per poter essere eliminata in assenza di un intervento legislativo.

In conclusione, nonostante l’importante segnale rivolto agli istituti finanziari secondo cui transazioni commerciali del tipo illustrato verrano rispettate da tutte le corti inferiori – si ricorda sull’argomento lo sconcerto generato dalla sentenza contraria del Giudice James M. Peck negli Stati Uniti2 da un punto di vista dottrinale occorre riconoscere che la sentenza in questione non apporta di certo una maggiore chiarezza.

 

1

In particolare, si notino i seguenti commenti alla sentenza:

Worthington, “Good faith, flawed assets and the emasculation of the UK anti-deprivation rule” (2012) 75 Modern Law Review 112; Goode, “Flip Clauses: the end of the affair” (2012) 128 Law Quarterly Review 171; Moss, “Should British Eagle Be Extinct?” (2011) 24 Insolvency Intelligence 49; Calnan, “Anti-deprivation: a missed opportunity” (2011) 9 Journal of International Banking and Financial Law 531; Cleary, “Lehman Brothers and the anti-deprivation principle: current uncertainties and proposals for reform” (2011) 6 Capital Markets Law Journal 411


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2

Lehman Bros. Special Fin. Inc. v. BNY Corporate Tr. Servs. (In re Lehman Bros. Holdings Inc.), 422 B.R. 407 (Bankr. S.D.N.Y. 2010).


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