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Giurisprudenza

Anche la Corte di Giustizia apre alla revocabilità della scissione societaria

31 Gennaio 2020

Luca Serafino Lentini, Dottorando di ricerca, Università Cattolica del Sacro Cuore

Corte di Giustizia UE, Sez. II, 30 gennaio 2020, C-394/18 – Pres. Arabadjiev, Rel. Xuereb

Di cosa si parla in questo articolo

A stretto giro rispetto al primo precedente di legittimità (Cass., 4 dicembre 2019, n. 31654, con nota di Lentini, in Riv. dir. banc., 2020, II, 1 ss.; già confermato da Trib. Catanzaro 7 gennaio 2020), anche la Corte di Giustizia si esprime favorevolmente in ordine al problema della revocabilità della scissione societaria, ritenendo l’azione pauliana strumento di protezione compatibile con l’operazione straordinaria.

La fattispecie concreta esaminata riguarda un’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) esperita nei confronti di una scissione parziale di società a responsabilità limitata. Con l’operazione venivano assegnati ad una beneficiaria neocostituita la maggior parte degli elementi patrimoniali di titolarità della scissa, cui rimanevano soltanto alcuni terreni di modesto valore. La domanda viene accolta in primo grado, per poi essere rinviata in sede d’Appello alla Corte di Giustizia (è peraltro noto la giurisprudenza di merito fosse decisamente spaccata sul punto, fra le sentenze recenti favorevoli cfr. Trib. Roma 12 giugno 2018; Trib. Bergamo 28 febbraio 2018, n. 513; Trib. Benevento 12 ottobre 2017; contrarie App. Roma 27 marzo 2019, n. 2043; Trib. Napoli 26 novembre 2018; App. Catania, 19 settembre 2017).

Con il rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte d’Appello di Napoli (App. Napoli 20 marzo 2018, con nota di Pototschnig, in Società, 2018, 1411 ss.; con nota di Fimmanòin Giur. Comm., 2019, II, 154 ss.; con nota di Sarale, in Giur. It., 2019, 113 ss.) si è domandato alla Corte del Lussemburgo di pronunciarsi sull’interpretazione degli artt. 12 e 19 della sesta direttiva comunitaria (82/891 CEE), rispettivamente dedicati alla predisposizione di un «adeguato sistema di tutela degli interessi dei creditori» anteriori delle società partecipanti e ai limiti della definizione di «nullità» della scissione.

Più precisamente la questione – rispetto a cui il dibattito può dirsi ormai nutrito, e che vede la dottrina prevalente orientata nel senso dell’inammissibilità della revocatoria (per molti, recentemente v. Picciauin Riv. Soc., 2019, 695 ss.; Fimmanò, in www.ilcaso.it; e in Società, 2019, 469 ss.; Paciello, in Riv. dir. comm., 2018, 225 ss.; Magliulo, in Nuovo dir. soc., 2014, 9 ss.; a favore, tra gli altri, v. Cacchi Pessani, La tutela dei creditori […], Milano, 2007, 186 ss.; Pototschnig, in Fall., 2018, 907 ss. e in Fall., 2017, 59 ss.; Marzo, in Dir. Fall., 2016, 1131 ss.) –, con riferimento al diritto interno, si articola su una duplice linea direttiva e attiene da un lato alla presunta autosufficienza del microsistema di tutela dei creditori predisposto dalla disciplina della scissione, costituito segnatamente dal diritto di opposizione e dalla responsabilità solidale delle beneficiarie nei limiti del patrimonio netto (artt. 2503 e 2506-quater, ult. co. c.c.); dall’altro al tema dell’irregredibilità degli effetti (art. 2504-quater c.c.), quindi al rapporto fra le categorie dell’invalidità e dell’inefficacia (e cioè al preteso “assorbimento” della seconda nella prima, ovvero all’indipendenza dei due rimedi).

Rispetto al primo dei due quesiti viene chiarito – coerentemente con l’obiettivo enunciato all’ottavo considerando della direttiva, diretto a garantire un’adeguata tutela ai creditori della scissa – che le alternative predisposte dall’art. 12, par. 2 costituiscono soltanto un «sistema minimo di tutela degli interessi dei creditori della scissa»: come, infatti, è confermato dall’utilizzo dell’espressione «quanto meno» nella disposizione in parola. In questa prospettiva la mancata previsione dell’azione revocatoria fra gli strumenti di reazione del creditore della scissa non può determinare l’esclusione del rimedio.

Dall’accoglimento della pauliana deriverebbe, prosegue la Corte, «nell’ambito dell’esecuzione forzata, una posizione preferenziale» del revocante «rispetto ai creditori della società beneficiaria o delle società beneficiarie», il che risulta coerente con la constatazione che la direttiva né prevede, né richiede, una protezione equivalente per i creditori delle beneficiarie. Non è di poco conto l’importanza di quest’ultimo passaggio motivazionale, perché la Corte indirizza la questione sul piano del rapporto di preferenza fra creditori delle società coinvolte, risolvendo a favore dei creditori della scissa (come è noto, sistematicamente, la questione si intreccia con il tema della stabilità degli atti societari e dell’affidamento che i terzi hanno riposto sugli stessi, cfr. artt. 2332, 2377, 2384,2 c.c., 2500-bis, 2504-quater c.c.).

Con riferimento alla seconda questione – relativa alla definizione della nozione di nullità – la Corte, posto che la direttiva non fornisce direttamente un’indicazione in questo senso, ritiene di doverla ricavare in ottica funzionale. Tanto posto, afferma la sentenza, i tre casi di nullità delineati dall’art. 19 – i) mancanza di controllo preventivo di legittimità, giudiziario o amministrativo; ii) difetto di atto pubblico; iii) invalidità della delibera assembleare di approvazione del progetto – «attengono alla formazione della scissione e incidono sull’esistenza stessa di quest’ultima», si tratta cioè di casi che ne comportano «la scomparsa». Corollario ne è che un rimedio che non demolisce l’operazione, non ne comporta la scomparsa, «e non produce effetti nei confronti di tutti» non impatta con la nozione di nullità come intesa dalla direttiva.

Da quanto premesso consegue il principio di diritto riportato in epigrafe.

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