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Giurisprudenza

Anatocismo: la riforma dell’art. 120, secondo comma, TUB non ha natura self-executing

23 Febbraio 2021

Paola Dassisti

Tribunale di Bologna, Sez. III, 24 settembre 2020, n. 20485 – G.U. Marconi

Di cosa si parla in questo articolo

Il tribunale, nella sentenza in esame, in materia anatocismo nei rapporti bancari, afferma che la novella di cui all’art. l, comma 629, L. 27.12.2013 n. 147 (Legge di stabilità 2014), che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, modificando il 2° comma dell’art. 120 TUB, ha reintrodotto il divieto di qualunque prassi anatocistica nei rapporti bancari, non ha natura self-executing, seguendo quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui tale novella, per la sua operatività, necessita dell’emanazione di norme attuative, con conseguente ultrattività della precedente disciplina di legge e della Delibera CICR 9.2.2000 (Trib. Torino 16.6.2015, 5.8.2015; Trib. Parma 30.7.2015).

Sul punto già il Tribunale di Bologna con ordinanza del 7.12.2015 ha affermato che è lo stesso art. 120 TUB che rimanda ad una delibera CICR le modalità ed i criteri per la produzione di interessi, sia pure con i limiti posti da essa normativa primaria, in stretta aderenza al disposto di cui all’alt. 161, 5° comma, TUB (non modificato), in forza del quale “Le disposizioni emanate dalle autorità creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del presente decreto legislativo”, con ciò sancendo che in tale materia l’iter legislativo non può essere definito/completato se non all’esito dell’emanazione anche della normativa secondarla. Ciò risulta ulteriormente suffragato dalla circostanza che anche la precedente regolamentazione è stata subordinata alla previa emanazione della delibera CICR del 2000; sotto questo profilo, ritenere che “la mancanza della delibera CICR comporta unicamente che allo stato gli intermediari sono liberi di adottare qualunque modalità operativa e contabile…” (Trib. Milano 9.7.15) comporta non solo, del tutto impropriamente, demandare ai singoli istituti bancari la definizione, pur temporanea, della normativa secondaria di competenza del CICR, ma generare anche quel così elevato e conseguente contenzioso, che senz’altro il disposto generale di cui all’art. 161 cit. è destinato a prevenire.

Altresì, la stessa proposta di delibera CICR all’art. 5 prevede che la delibera “si applica agli interessi maturati a partire dal 1° gennaio 2016”, con previsione di adeguamento dei contratti in corso entro il 31 dicembre 2015 (2° comma) e di derogabilità solo in senso più favorevole al cliente (3° comma)., confermata, per quanto di ragione, in sede di reclamo 16.3.2016 (quando già era intervenuta la seconda modifica dell’alt. 120 TUB, ma non ancora la delibera CICR)..”.

La questione sembrerebbe superata dopo la Delibera CICR dell’agosto 2016 che dichiara l’applicabilità della nuova disciplina agli interessi maturati “a partire dal 1 ottobre 2016”, sia pure al più tardi.

In tema di usurarietà dei tassi applicati, il tribunale sottolinea che, ai fini della corretta verifica del rispetto dei tassi soglia usura, non è possibile usare criteri differenti da quelli indicati nelle istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi, che hanno valore vincolante per il giudicante. (S.C. di Cass. 12965/16: “le istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura hanno anche valore di norme tecniche”).

In particolare, l’osservanza, da parte degli operatori creditizi, dei tassi soglia individuati secondo le rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia deve ritenersi automaticamente rispettosa del precetto penale di cui all’art 644 cp., il quale si implementa contenutisticamente della regola via via enucleata dai decreti ministeriali di recepimento delle menzionate rilevazioni dell’istituto di vigilanza.

In ordine alla legittimità della commissione di massimo scoperto (CMS) si è espressa la Corte di Cassazione secondo cui: “la CMS, applicata fino all’entrata in vigore dell’art. 2 bis del d.l. 185 del 2008, è “in thesi” legittima, almeno fino al termine del periodo transitorio, fissato al 31 dicembre 2009, posto che i decreti ministeriali che hanno rilevato il TEGM – dal 1997 al 2009 – non ne hanno tenuto conto al fine di determinare il tasso soglia usurario (essendo ciò avvenuto solo dal 1 gennaio 2010).

La Suprema Corte con sentenza 16303/18 ha chiarito, infatti, che l’art 2 bis d.l. n. 185 del 2008, inserito nella legge di conversione n. 2 del 2009, in forza del quale, a partire dal 1 gennaio 2010, la commissione di massimo scoperto (CMS) entra nel calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM),

ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, non è norma di interpretazione autentica dell’art 644, comma 4 cp. ma disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare, per il futuro la disciplina tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre presuntivamente usurari.

La stessa Corte ha statuito che, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, va effettuata una separata comparazione del tasso effettivo globale dell’interesse praticato in concreto e della CMS eventualmente applicata, rispettivamente con il tasso soglia e con la “CMS soglia”, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi della legge n. 108 del 1996, compensandosi poi l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.

In merito alla asserita assenza di causa delle pattuizioni in punto di CMS, il Tribunale ritiene che, nel caso si specie, la causa dell’attribuzione economica è rinvenibile nella remunerazione dell’elasticità dell’utilizzo dell’affidamento, costituendo essa il corrispettivo aggiuntivo di una caratteristica operazione creditizia del tutto estranea e sconosciuta all’ordine giuridico degli interessi e del mutuo.

La medesima commissione, valida, non può essere equiparata agli interessi sul saldo debitore: non matura in ragione del tempo del godimento dell’altrui somma, non può essere considerata il corrispettivo di una somma per il tempo dell’utilizzo, ma, al contrario, costituisce un costo aggiuntivo dell’utilizzo che prescinde dalla sua durata. In particolare, ciò che costituisce un costo aggiuntivo per la banca è proprio il picco di utilizzo, soprattutto di breve durata.

In materia di violazione della normativa di trasparenza, il Tribunale sottolinea come detta violazione determini il diritto al risarcimento del danno, da provare specificamente, non già l’invalidità parziale del rapporto.

In particolare, si esclude l’applicazione della sanzione della nullità ex art 117 comma 6, TUB in caso di erronea indicazione dell’ISC (o TAEG) nei contratti di mutuo, in virtù della natura e della funzione meramente informativa dell’indice sintetico di costo. Da ciò ne deriva che l’erronea indicazione dell’ISC (o TAEG) non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto un’erronea rappresentazione del suo costo complessivo. Pertanto, un’erronea indicazione dell’ISC da parte della banca è insuscettibile di comportare la nullità del tasso di interesse convenzionale relativo al contratto di mutuo ai sensi dell’art 117 comma 6 TUB. L’erronea indicazione dell’ISC può essere considerata unicamente quale fonte di responsabilità contrattuale per la banca, per violazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza ex art. 116 TUB.

 

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