WEBINAR / 23 Maggio
Titolare effettivo in trust e istituti affini: nuova guida GAFI

ZOOM MEETING
Offerte per iscrizioni entro il 07/05


WEBINAR / 23 Maggio
Titolare effettivo in trust e istituti affini: nuova guida GAFI
www.dirittobancario.it
Giurisprudenza

Tesoreria di gruppo e responsabilità da direzione e coordinamento della holding

7 Luglio 2015

Dott.ssa Caterina de Palma

Tribunale di Milano, 10 novembre 2014, n. 13179

Con la pronuncia in commento il Tribunale di Milano – sez. specializzata in materia di impresa ha affrontato il tema della responsabilità di società che esercitano direzione e coordinamento e la connessa questione del risarcimento danni spettante ai soci di minoranza che richiedano tutela.

Nel caso di specie gli attori, soci di minoranza della società controllata, hanno agito in giudizio al fine di ottenere l’accertamento della responsabilità ex art. 2497 c.c. della holding di vertice e la condanna della stessa al risarcimento dei danni. In particolare, era contestata la correttezza dell’attività di direzione e coordinamento, con particolare riguardo ai contratti di cash pooling e deposito a termine della liquidità, conclusi con alcune delle società correlate; tali operazioni sarebbero state illecite in quanto avrebbero costituito per la controllata una significativa deviazione dall’oggetto sociale, non essendo operazioni strumentali all’attività d’impresa.

Ai fini della risoluzione della controversia, il Collegio ha preventivamente analizzato l’effettiva sussistenza del rapporto di eterodirezione invocato dagli attori tra le società coinvolte, per poi valutare l’illiceità o meno dell’attività contestata.

Con riguardo al primo profilo il Giudice di prime cure ha osservato che l’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento è legittimo quando è caratterizzato dall’osservanza di principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società controllate. Ciò implica che l’unitarietà della direzione non può giustificare l’utilizzo della gestione delle imprese controllate ad esclusivo beneficio dell’interesse delle controllanti, ma deve protendere al coordinamento delle due società.

Pertanto, l’attore che invochi la responsabilità di cui all’art. 2947 c.c. deve allegare e provare la sussistenza di una situazione di direzione e coordinamento, le concrete modalità di esercizio illegittimo della stessa e, infine, l’evento dannoso, ossia il pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione in ragione di tale concreto esercizio.

Posta questa generale premessa, il Tribunale milanese ha ritenuto che l’attività di direzione e coordinamento si concretizza nell’esercizio concreto di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa; si tratta, in definitiva, di un vero e proprio potere di ingerenza in grado di esplicarsi in maniera multiforme attraverso il flusso costante di istruzioni impartite alla società eterodiretta.

Ne discende che il potere di direzione e coordinamento può anche concretizzarsi nel controllo partecipativo (a mente dell’art. 2497 sexies c.c.), ma non è necessariamente collegato ad esso, potendosi esprimente nel contesto unitario dell’impresa entro il cui perimetro si collocano le società del gruppo, a prescindere dalla relazione diretta di controllo. E difatti, può accadere che vi sia controllo senza direzione e coordinamento e/o viceversa: ciò che rileva non è la mera possibilità di esercitare un’influenza su una o più società ma l’esercizio effettivo di tale influenza attraverso un’attività di eterodirezione.

Ciò consente, inoltre, di comprendere il senso della presunzione contenuta nell’art. 2497-sexies c.c. in base a cui l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di società si presume in capo all’ente tenuto al consolidamento dei bilanci: la presunzione legale opera esclusivamente nell’ipotesi in cui sussiste l’obbligo del consolidamento, senza ricomprendere i casi in cui vi sia una mera facoltà (come, invero, è accaduto nel caso in esame dove la holding di vertice era, a sua volta, controllata da altra società del gruppo ed effettuava l’attività di consolidamento del segmento italiano per mera opportunità, secondo una policy di gruppo).

Resta invece fuori dalla presunzione il fatto che l’ente che si trovi in posizione di controllo abbia in concreto esercitato l’attività di direzione coordinamento sulla “società controllata” in relazione ai fatti addebitati in quanto, pur in presenza di una eterodirezione, non è scontato (e tanto meno presunto) che le scelte di gestione contestate siano frutto di influenza

Sennonché, pur escludendo l’operatività della citata presunzione di cui all’art. 2497 sexies c.c., il Giudice milanese ha comunque ritenuto che nella fattispecie la holding di vertice esercitasse direttamente l’attività di direzione e coordinamento sulla controllata indiretta, quantomeno con riguardo alla gestione degli aspetti finanziari della società.

Tale potere si sarebbe manifestato attraverso l’emanazione di direttive in materia di accentramento della tesoreria e di altre funzioni di assistenza finanziaria (in particolare in relazione alla conclusione dei contratti di cash pooling e di deposito/finanziamento con le società tesoriere del gruppo); nonché dal fatto che la carica del Presidente del CDA era ricoperta dal direttore finanziario del gruppo, dalle dichiarazioni contenute nel bilancio consolidato, dalla redazione da parte della holding di vertice del bilancio consolidato, dalla prestazione dei servizi di tesoreria direttamente alle società controllate.

Tuttavia, nel caso di specie, il Tribunale non ha riconosciuto che la condotta concretamente posta in essere dalla controllante avesse violato i principi di corretta gestione sì da procurare un danno effettivo ai soci di minoranza; di talchè non sussisterebbe il diritto di questi ultimi al risarcimento dei danni.

Infatti – ed ecco la seconda questione affrontata dal tribunale – per poter affermare la responsabilità della holding di vertice con conseguente diritto dei soci di minoranza al risarcimento dei danni, è necessario che la condotta concretamente posta in essere dalla controllante violi i principi di corretta gestione procurando un danno non meramente potenziale ma effettivo.

Infatti, per l’operatività del regime di responsabilità in esame, è necessario il concorso di due elementi con riferimento all’atto o alla decisione assunti dalla società controllata: 1) l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui (conflitto di interessi) e 2) la violazione dei principi di corretta gestione societaria della controllata.

Poiché non sussiste, secondo l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale ormai consolidato, un “superiore interesse di gruppo” tale da legittimare indiscriminatamente il sacrificio degli interessi di cui è portatore ciascuna delle singole società che lo compongono, gli amministratori di società hanno l’obbligo di perseguire in primo luogo l’interesse della singola società che non può essere illegittimamente sacrificato a quello del gruppo.

In quest’ottica assumono rilievo i c.d. vantaggi compensativi: il sacrificio che la singola società può essere chiamata a sopportare deve ritenersi legittimo in presenza di adeguate contropartite che possono concretizzarsi non necessariamente in vantaggi diretti e certi ma anche indiretti e mediati che però si rivelino effettivi e derivino proprio dalla partecipazione della singola entità al gruppo.

Da quanto detto consegue che la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società controllata realizzata con scelte che rispondono ad interessi propri della controllante o di altre società del gruppo e non all’interesse sociale della controllata, saranno fonte di responsabilità solo quando sono state assunte ed attuate dagli amministratori della controllata senza aver cura di verificare che la società che subisce la direttiva veda o possa vedere in futuro compensato il sacrificio del proprio interesse determinato dal singolo atto, con i vantaggi che oggettivamente derivano dalla sua appartenenza al gruppo.

Il Collegio ha quindi escluso la responsabilità della holding ex art. 2497 c.c. ed il conseguente risarcimento del danno perché le decisioni assunte erano ragionevoli ed accettabili, tanto che nessuno dei soci di minoranza era receduto dalla società, così accettando quel genere di investimento del loro patrimonio (cash pooling e deposito a termine). Poiché i risultati della gestione della eterodiretta, nel loro complesso, erano coerenti con i termini del rendimento del capitale investito, gli attori non potevano lamentare una reale lesione dell’interesse alla valorizzazione e alla redditività della partecipazione sociale.

Inoltre il cash pooling, che prevede che le singole società stipulino singoli contratti di conto corrente con la società pooler che ha stipulato un contratto di conto corrente con un’azienda di credito su cui far confluire, di norma giornalmente, tutti i movimenti che transitano per i conti correnti delle singole società, in sé non è una scelta contraria ai principi di corretta gestione, ma risponde ad esigenze di efficiente gestione della tesoreria aziendale con riguardo ai rapporti tra le società del gruppo e gli istituti di credito; in particolare, la controllata non può lamentare un danno per il fatto che, aderendo ad un sistema zero balance (che compensando i saldi passivi di alcune società con i saldi attivi delle altre realizza solo un risparmio di tassi passivi), non abbia manifestato ex post l’esigenza di attingere alla tesoreria di gruppo per far fronte agli impegni finanziari connessi alla propria attività aziendale e quindi non si sia di fatto avvalsa del risparmio in termini di minori oneri passivi che il sistema propizia.

Passando invece ai depositi a termine, il Tribunale milanese ha reputato illogica la pretesa degli attori poiché, trattandosi di investimenti a breve termine prontamente liquidabili, non eano in grado di procurare alcun danno ai soci; sicché tanto la decisione di mettere a disposizione a breve termine di altre società del gruppo la liquidità in eccesso della controllata, quanto le condizioni concrete cui è stata data attuazione, sono stati valutati dal Giudice milanese ragionevoli ed accettabili, attesi i vantaggi che – sempre nell’ottica dei vantaggi compensativi – la società ha ricevuto per il fatto di appartenere al gruppo (nella specie, miglioramento del processo produttivo e servizio centralizzato per gli acquisti della materia prima strategica).


WEBINAR / 23 Maggio
Titolare effettivo in trust e istituti affini: nuova guida GAFI

ZOOM MEETING
Offerte per iscrizioni entro il 07/05

Una raccolta sempre aggiornata di Atti, Approfondimenti, Normativa, Giurisprudenza.
Iscriviti alla nostra Newsletter