La C.G.T. di I grado di Milano con sentenza n. 1187/2025 si è espressa sulla deducibilità, da parte di una banca, di costi infragruppo correlati alla sottoscrizione di contratti swap con una controllata estera.
Questo, in sintesi, il principio di diritto espresso: l’Agenzia delle Entrate può disconoscere la deduzione, dal reddito d’impresa, di costi infragruppo quando l’operazione sottostante (nel caso di specie su contratti swap) manca di razionalità economica, alla luce del contesto economico-finanziario e delle evidenze di mercato disponibili al momento in cui essa è stata realizzata.
La C.G.T. di I grado di Milano, in particolare, ha confermato il recupero a tassazione di costi, operato per l’annualità 2017, nei confronti di una società bancaria residente in Italia, che nell’ambito della propria operatività sui mutui a tasso fisso, aveva dedotto interessi passivi, commissioni di garanzia e commissioni di mantenimento connessi a una strategia di copertura, attuata tramite contratti di “interest rate swap” stipulati con una consociata estera fiscalmente residente in Lussemburgo.
Più in dettaglio, all’epoca dei fatti, la banca italiana, per ridurre i rischi derivanti dall’erogazione di mutui a tasso fisso, aveva strutturato un’operazione di copertura tramite swap con una controllata lussemburghese.
Secondo lo schema negoziale, la contribuente riceveva dalla consociata interessi variabili indicizzati al Libor, e le versava interessi fissi, replicando così, internamente al gruppo, il funzionamento di un derivato di copertura; l’operazione, tuttavia, aveva generato ingenti perdite in capo alla banca, in ragione del vistoso ribasso dei tassi d’interesse.
Come evidenziato dall’Agenzia, con tesi integralmente accolta dal Giudice di merito, al momento dell’attivazione dello swap – tra fine 2009 e inizio 2010 – il mercato segnalava con chiarezza l’assenza di un rischio effettivo di rialzo dei tassi: la curva forward dei tassi Euribor 3M era declinante, e i bollettini della BCE evidenziavano un quadro stabile o ribassista, con aspettative di politica monetaria restrittiva pressoché nulle.
Anche l’analisi condotta ex post dalla società tramite perizia di parte è stata ritenuta inattendibile, in quanto fondata su presupposti smentiti da dati oggettivi.
Secondo la Corte, un operatore economico razionale, in possesso di tali informazioni, non avrebbe sostenuto costi così elevati per proteggersi da un rischio praticamente inesistente.
L’operazione, inoltre, era stata strutturata interamente all’interno del gruppo, senza controparti indipendenti, e si era tradotta nella generazione di costi deducibili in Italia in assenza di reali benefici.
In conclusione, secondo la Corte, l’antieconomicità della condotta di parte contribuente legittima l’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), DPR 600/1973, fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti.