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Rinuncia ai dividendi: l’Agenzia ribadisce l’incasso giuridico

25 Luglio 2025

Enrico Matano, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Di cosa si parla in questo articolo

L’Agenzia delle Entrate, con risposta n. 182/2025, ha affermato che la rinuncia a dividendi, deliberati da una società di capitali a favore di soci persone fisiche non imprenditori, non determina alcuna sopravvenienza attiva in capo alla partecipata ai sensi dell’art. 88, c. 4-bis, del TUIR, essendo riconducibile ad uno schema di “incasso giuridico”.

Tale disposizione, introdotta con il D. Lgs. 147/2015, mira a evitare salti d’imposta, prevedendo che la rinuncia dei soci ai crediti verso la società si consideri sopravvenienza attiva, in capo a quest’ultima, per la parte che eccede il relativo valore fiscale; solo la quota del credito fiscalmente riconosciuta al socio è qualificabile come apporto, mentre l’eccedenza, invece, è tassata in capo alla società.

Nel caso di crediti derivanti da dividendi deliberati in favore di persone fisiche non imprenditori – trattandosi di redditi di capitale tassati per cassa – il valore fiscale coincide necessariamente con il valore nominale; non essendo configurabile alcuna divergenza tra i due valori, l’intera rinuncia è integralmente qualificabile come apporto, e non genera alcuna sopravvenienza attiva.

È questo il principio ribadito dall’Agenzia nella risposta n. 182/2025, che riconduce tali ipotesi di rinuncia ai dividendi a uno schema di “incasso giuridico”: si presume che il socio abbia percepito il dividendo al momento della rinuncia, subendo la relativa ritenuta, e che abbia successivamente reinvestito l’importo netto nella società. Di conseguenza, la società deve applicare la ritenuta del 26% prevista dall’art. 27 del d.P.R. n. 600 del 1973, e considerare come apporto netto l’importo al netto dell’imposta

Nel caso concreto, l’assemblea dei soci aveva deliberato la distribuzione di utili in favore di due persone fisiche non imprenditrici, che, in un secondo momento, hanno rinunciato al credito residuo mediante comunicazione PEC.

La società istante riteneva che, essendo il credito da dividendi tassabile per cassa, esso fosse privo di valore fiscale, e che la rinuncia comportasse una sopravvenienza attiva interamente imponibile ai sensi dell’art. 88, comma 4-bis, TUIR.

A sostegno di tale tesi richiamava la sentenza della Corte di Cassazione n. 16595/2023, la quale, con riferimento a crediti relativi a redditi tassati per cassa, ha escluso ogni rilevanza fiscale in capo al socio, ritenendo che la rinuncia generi, comunque, una sopravvenienza attiva in capo alla società, stante il valore fiscale nullo del credito.

L’Agenzia prende espressamente le distanze da questa lettura (con richiamo alla Ris. 124/E del 13 ottobre 2017), affermando che nei confronti di soggetti IRPEF non esercenti impresa il credito da dividendo non può mai essere considerato privo di valore fiscale.

In assenza di scritture contabili e relativi meccanismi di svalutazione – che sono estranei alle persone fisiche non esercenti attività d’impresa – il valore fiscale coincide sempre con quello nominale: la rinuncia interviene quindi su un credito avente valore fiscale pari a quello nominale, con la conseguenza che l’intero importo rinunciato si considera apporto non imponibile in capo alla società.

L’intento del socio di rafforzare il patrimonio della partecipata mediante rinuncia al dividendo va ricondotto, secondo l’Amministrazione finanziaria, ad una fictio juris di un incasso giuridico seguito da un apporto.

Ragionando diversamente, dovrebbe qualificarsi come sopravvenienza attiva un conferimento patrimoniale privo di reali effetti sul reddito societario

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