Il presente contributo analizza il tema della sorte dell’ipoteca in caso di confisca edilizia alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione di aprile 2025 che segue quella della Corte costituzionale del 2024.
Un’importante svolta giurisprudenziale si è compiuta di recente con la decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulla delicata questione della sorte dell’ipoteca in caso di confisca edilizia. Un verdetto che ha dato impulso a un pronunciamento della Corte costituzionale (sentenza n. 160/2024), il quale ha dichiarato l’illegittimità dell’automatica estinzione dei diritti di garanzia reale (in particolare dell’ipoteca) a seguito dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un immobile abusivo. La vicenda, seppur annidata in un angolo tecnico del diritto, ha ricadute di rilievo sistemico sul mercato immobiliare, sulla tutela dei creditori e, in generale, sull’equilibrio tra potestà pubblica e libertà economica.
Il caso: tra diritto vivente e tensioni costituzionali
La fattispecie trae origine da un’ipoteca giudiziale iscritta nel 1994 su un terreno in Sicilia. Su quell’area, i debitori avevano realizzato un immobile abusivo, successivamente confiscato nel 1994 ai sensi dell’art. 7, comma 3, della legge n. 47/1985. Nel 2013 il creditore, divenuto titolare del credito per effetto di una serie di cessioni, aveva tentato di procedere all’esecuzione forzata sul bene, trovandosi però sbarrata la strada: il giudice dell’esecuzione, poi confermato in sede di opposizione agli atti esecutivi, aveva ritenuto l’ipoteca estinta in virtù dell’acquisizione “a titolo originario” del bene da parte del Comune.
Le Sezioni Unite, nel valutare la questione, hanno preso atto della consolidata giurisprudenza – civile e amministrativa – secondo cui la confisca edilizia comporta l’estinzione di ogni diritto reale preesistente, proprio in virtù della natura originaria dell’acquisto da parte dell’ente pubblico. Tuttavia, con atto coraggioso, hanno rimesso la questione alla Corte costituzionale, ravvisando un possibile contrasto con gli artt. 3, 24 e 42 della Carta.
Il perno costituzionale: la tutela del diritto reale di garanzia
Il cuore del ragionamento della Consulta ruota attorno all’irragionevole sacrificio imposto al creditore ipotecario non responsabile dell’abuso edilizio. Secondo la Corte, il diritto di ipoteca gode di una protezione forte, proprio perché si tratta di una garanzia reale che, ai sensi del codice civile, assicura al creditore il diritto di sequela (art. 2858 c.c.), il diritto di prelazione (art. 2741 c.c.), nonché la possibilità di promuovere l’esecuzione forzata sul bene (art. 2808 c.c.). L’eventuale estinzione automatica di tale diritto per effetto della confisca integra – così recita la sentenza – una “lesione sproporzionata e irragionevole”.
Non solo: viene rilevato che l’ipoteca compone il patrimonio del creditore e gode delle garanzie riconosciute dall’art. 42 Cost., nonché della tutela processuale prevista dall’art. 24 Cost. La sua soppressione automatica, senza alcun coinvolgimento del titolare nel procedimento amministrativo che porta alla confisca, viola dunque anche il principio del giusto processo e della difesa effettiva.
Il comune come terzo acquirente e la funzione dell’ipoteca
Uno degli aspetti più innovativi della decisione è l’affermazione secondo cui il Comune, che acquisisce l’immobile abusivo, deve essere considerato a tutti gli effetti come “terzo acquirente” del bene ipotecato. Ne consegue che, ai sensi delle ordinarie norme civilistiche, il creditore può procedere all’esecuzione anche nei confronti dell’ente pubblico, purché l’ipoteca sia stata iscritta anteriormente alla trascrizione del provvedimento di acquisizione.
In altre parole, viene ribaltata la logica punitiva a danno del creditore, che sinora aveva subito l’automatico “azzeramento” della sua garanzia. La Corte riconosce che la funzione sanzionatoria della confisca non può travolgere diritti acquisiti da soggetti estranei all’illecito, come appunto il creditore ipotecario.
Un nuovo equilibrio tra sanzione edilizia e garanzie reali
La pronuncia ha il merito di correggere una stortura sistemica che si era sedimentata nel tempo, anche per via della rigidità dell’interpretazione giurisprudenziale. L’ipoteca, lo si ricorda, è una garanzia che dovrebbe sopravvivere anche a mutamenti della proprietà del bene, proprio perché finalizzata a tutelare il credito attraverso un vincolo reale. L’assimilazione della confisca edilizia a un acquisto “a titolo originario” era diventata una scorciatoia per escludere in radice la sopravvivenza di pesi e vincoli, creando però effetti distorsivi sul piano dei diritti patrimoniali.
Come osserva la stessa Corte costituzionale, il risultato era quello di esporre il creditore a una responsabilità oggettiva e insostenibile: avrebbe dovuto vigilare costantemente sull’immobile e agire con tempestività per demolirlo, in ipotesi persino senza averne materiale disponibilità. Un onere che la Corte giudica “inesigibile”, tanto più se il creditore non ha alcun potere di intervento sul bene.
Riflessioni sul mercato e sul sistema dei crediti
L’impatto della sentenza è rilevante anche dal punto di vista economico. La certezza del diritto sulle garanzie reali è una condizione fondamentale per il funzionamento del mercato del credito. Una normativa (o prassi interpretativa) che riduce l’affidabilità dell’ipoteca come strumento di tutela disincentiva il finanziamento, innalza il rischio per i creditori e genera effetti depressivi sul mercato immobiliare.
Il principio stabilito dalla Consulta restituisce al sistema bancario e ai creditori ipotecari un grado essenziale di certezza, soprattutto in un contesto – come quello italiano – segnato da una forte incidenza dell’edilizia abusiva e da tempi lunghi nei procedimenti sanzionatori. Ora, il creditore può confidare nel fatto che la propria ipoteca non verrà travolta da un provvedimento amministrativo a cui non ha potuto partecipare, e che potrà eventualmente agire anche contro il Comune, in quanto successivo acquirente.
Disponibilità vs indisponibilità: la natura del bene confiscato e le conseguenze sul credito
Un profilo giuridico che merita specifica attenzione è la natura del bene una volta acquisito al patrimonio comunale: si tratta di un bene “disponibile” oppure “indisponibile”? La distinzione non è meramente teorica, ma incide profondamente sulla possibilità per il creditore ipotecario di agire in sede esecutiva.
Secondo l’interpretazione fornita dalla Corte costituzionale, i beni oggetto di confisca edilizia non entrano automaticamente nel patrimonio indisponibile del Comune. Anzi, in linea con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale, essi devono ritenersi acquisiti al patrimonio disponibile, fatta salva una successiva, espressa deliberazione consiliare che li qualifichi come destinati a un interesse pubblico specifico (e quindi li sottragga al circuito civilistico). È un passaggio cruciale: il bene confiscato – se non ancora finalizzato a un uso pubblico, culturale o istituzionale – resta assoggettabile a espropriazione forzata e non beneficia del regime di inalienabilità tipico dei beni indisponibili.
Questa qualificazione rafforza la tesi della tutela del creditore ipotecario: se il Comune agisce come un acquirente ordinario e il bene è ancora nella sua disponibilità patrimoniale, allora non vi è ragione di precludere l’azione esecutiva né di estinguere ipso iure l’ipoteca. La natura pubblicistica sopraggiunge solo se il bene è destinato e impiegato effettivamente per un interesse collettivo superiore. Diversamente, il Comune non può invocare il “mantello” dell’indisponibilità per sottrarsi all’efficacia di garanzie reali preesistenti, specie se iscritte da soggetti terzi del tutto estranei all’abuso.
Considerazioni finali: una sentenza che ristabilisce la legalità sostanziale
La decisione della Corte costituzionale, sollecitata dalle Sezioni Unite, segna un ritorno alla razionalità sistemica. Il riconoscimento della sopravvivenza dell’ipoteca nei confronti di chi non è responsabile dell’abuso edilizio costituisce una riaffermazione del principio di proporzionalità nell’azione amministrativa, ma anche della funzione equilibratrice del diritto privato rispetto all’esercizio unilaterale del potere pubblico.
Pur mantenendo ferma la funzione sanzionatoria della confisca edilizia – che resta legittima nei confronti del responsabile – la Corte ha disinnescato un automatismo distruttivo che penalizzava i terzi di buona fede. Una pronuncia che non arretra rispetto alla legalità urbanistica, ma la ricolloca in un orizzonte costituzionalmente orientato, capace di tutelare contemporaneamente l’interesse pubblico e i diritti patrimoniali dei privati.