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Confisca edilizia: le SS.UU. sulla vendita forzata da parte del creditore ipotecario

26 Maggio 2025

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 25 aprile 2025, n. 10933 – Pres. D’Ascola

Di cosa si parla in questo articolo

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 10933 del 25 aprile 2025, in seguito alla nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 160/2024, si sono espresse circa l’esperibilità della vendita forzata da parte del creditore ipotecario, nei confronti del Comune (quale terzo acquirente del bene ipotecato), che abbia acquisito l’immobile abusivo a seguito di confisca edilizia ex art. 7 c. 3, L. 47/1985.

Si ricorda che la Corte Costituzionale, con la citata sentenza, ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, terzo comma, della L. 47/1984, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell’abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire: la sentenza, in particolare, ha condiviso il presupposto interpretavo dal quale prendeva le mosse l’ordinanza di rimessione proprio delle Sezioni Unite, quanto alla qualifica di acquisto a titolo originario da parte del Comune, che reca con sé la conseguenza dell’estinzione del diritto reale di garanzia, evidenziando come in realtà a favore di tale qualifica si fosse formato un diritto vivente.

La Corte Costituzionale ha tuttavia ritenuto irragionevole il sacrificio imposto al creditore ipotecario non responsabile dell’abuso edilizio, proprio in relazione alla protezione peculiare che l’ordinamento giuridico accorda al diritto di ipoteca, che discende dalla realità del diritto di garanzia e dalla sua accessorietà al credito, così che essendo una componente del patrimonio del creditore, comporta, in caso di espropriazione per pubblica utilità, un obbligo indennitario al pari degli altri diritti reali, come previsto dall’art. 25/1 d.P.R. 327/2001, e gode di una tutela riconducibile all’art. 42 Cost.

Conseguentemente, la sua tutela rientra nell’alveo protettivo dell’art. 24 Cost., quale strumento vòlto ad assicurare una tutela preferenziale del credito in sede esecutiva.

La Corte ha quindi ricordato che l’acquisizione ex lege da parte del comune integra “una sanzione in senso stretto, distinta dalla demolizione, che “rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla”.

Da ciò, la palese irragionevolezza di una disciplina che determina l’automatica estinzione del diritto reale di ipoteca e il conseguente pregiudizio alla tutela del credito, a scapito di un creditore ipotecario che non sia responsabile dell’abuso, che finisce per subire le conseguenze sanzionatorie di un illecito al quale è del tutto estraneo, poiché – se non è responsabile dell’abuso edilizio – non può essere destinatario dell’ordine di demolizione, e, dunque, non può rispondere dell’inottemperanza all’ordine.

In relazione al caso di specie, pertanto, le Sezioni Unite rilevano che, a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, risulta superata l’interpretazione che della norma ne aveva offerto il giudice di merito cassando la sentenza impugnata: il giudice dell’esecuzione, infatti, aveva rigettato l’istanza di vendita proposta dal creditore ipotecario dichiarando “improseguibile” l’esecuzione forzata, sul presupposto che l’acquisizione al patrimonio del Comune dell’immobile abusivo aveva comportato l’estinzione dell’ipoteca iscritta sul fondo sul quale l’immobile era stato edificato; anche il Tribunale, in sede di opposizione agli atti esecutivi, rigettando l’opposizione, aveva rilevato che l’acquisizione al patrimonio del Comune di un immobile abusivo costituisce un modo di acquisto a titolo originario, con cancellazione di tutti i diritti reali di garanzia gravanti sul bene, senza che rilevi l’eventuale anteriorità della relativa trascrizione o iscrizione.

La Cassazione ricorda che la Corte Costituzionale ha infatti espressamente sottolineato che la confisca edilizia non frappone ostacoli alla esperibilità della vendita forzata nei confronti del comune che abbia acquisito l’immobile ex art. 7/3 L. 47/1985, in quanto il comune va considerato a tutti gli effetti quale terzo acquirente del bene ipotecato, ex artt. 2858 e ss. C.c., e i beni confiscati devono ritenersi acquisiti al patrimonio disponibile dell’ente pubblico.

A seguito della novella del 1985, i beni confiscati sono acquisiti al patrimonio disponibile, a meno che non risulti integrata l’ipotesi, divenuta eccezionale, del mantenimento dell’opera per prevalenti interessi pubblici, ai sensi dell’art. 7/5 L. 47/1985, e ciò in considerazione di quanto disposto dall’art. 826 c.c. che dispone che appartengono al patrimonio indisponibile solo i beni di enti pubblici destinati ad un pubblico servizio: pertanto, la prima verifica che si impone come doverosa al giudice di rinvio sarà quella di riscontrare se nelle more non sia intervenuta una manifestazione di volontà dell’ente dichiarativa, ai sensi dell’art. 7 co. 5 (ovvero dell’art. 31, co. 6 del DPR n. 380/2001), dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici.

Ove però tale verifica sia negativa, e quindi il bene risulti ancora facente parte del patrimonio disponibile del Comune, l’aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni di cui all’art. 13 L. 47/1985 – vale a dire qualora presenti la cosiddetta doppia conformità – dovrà presentare domanda di concessione in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria (art. 17, quinto comma, della legge n. 47 del 1985).

Se invece, non ricorrano i presupposti per ottenere la sanatoria dell’immobile o non trovino applicazione eventuali condoni, da un lato, il carattere abusivo e non sanabile dell’immobile deve risultare dall’avviso di vendita e, da un altro lato, il bene sarà trasferito all’aggiudicatario unitamente all’obbligazione propter rem di provvedere alla demolizione, con tutte le conseguenze che ne derivano in caso di inottemperanza.

Le Sezioni Unite ricordano che tale seconda ipotesi era stata reputata di difficile praticabilità dalla precedente ordinanza interlocutoria di queste Sezioni Unite n. 583/2024, che avevano dubitato della possibilità di ammettere una vendita sottoposta alla condizione sospensiva dell’assunzione dell’obbligo di demolizione da parte dell’acquirente, sul presupposto che la scelta della demolizione e la possibilità di eseguirla sarebbero una prerogativa esclusiva del Comune: tuttavia, tale dubbio, oltre ad apparire evidentemente risolto dalla sentenza della Corte Costituzionale, che esplicitamente ha contemplato proprio tale soluzione, si è dissolto in base a quanto previsto dalla recente introduzione nel T.U. edilizia della norma (art. 1/1, lettera d, d.l. 69/2024), che consente al Comune, a determinate condizioni, di alienare i beni confiscati, “condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive“.

La netta scelta legislativa a favore della trasmissione dell’obbligo di demolizione in capo all’acquirente del bene acquisito al patrimonio disponibile del Comune, per le Sezioni Unite, “conforta sul piano del diritto positivo, quindi, la soluzione indicata dalla Consulta che, per le ipotesi di non sanabilità dell’abuso, impone all’aggiudicatario di dover provvedere alla demolizione dell’opera abusiva, a conferma del fatto che non si tratta, come invece dubitato da parte di queste stesse Sezioni Unite, di una prerogativa esclusiva dell’ente pubblico“.

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