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Attualità

Potere di controllo del datore di lavoro e visite personali

8 Maggio 2025

Antonio Cazzella, Partner, Trifirò & Partners Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente articolo analizza i limiti e le condizioni giuridiche dell’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro, con particolare riferimento alle visite personali previste dall’art. 6 dello Statuto dei Lavoratori.


1. Considerazioni generali

Il rapporto di lavoro subordinato è caratterizzato dall’assoggettamento al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, con conseguente limitazione dell’autonomia del lavoratore (tra le tante, Cass. 3 maggio 2024, n. 11937).

Il controllo del datore di lavoro implica, talvolta, la necessità di valutare l’eventuale rilevanza disciplinare dell’attività svolta dal dipendente e dei comportamenti adottati da quest’ultimo nello svolgimento della prestazione lavorativa.

A tal riguardo, si ricorda il principio secondo cui il datore di lavoro ha il potere, ma non l’obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti, in quanto un simile obbligo – che non è previsto dalla legge né risulta desumibile dai principi di correttezza e di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. – negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato (tra le tante, Cass. 15 marzo 2023, n. 7467).

Tale principio è stato confermato, anche recentemente, dalla giurisprudenza di merito (Tribunale Catania, 8 aprile 2025, n. 1546), che, in qualche occasione, ha altresì ricordato come, nel valutare l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro, si debba considerare anche il grado di fiducia riposto nel dipendente (Corte Appello di Bologna, 6 marzo 2025, n. 125), in quanto, in tra l’altro, il grado di fiducia è “proporzionale” all’inquadramento del dipendente.

I principi sopra illustrati sono consolidati, nonostante, ad esempio, il tentativo del dipendente di valorizzare a fini difensivi, nel caso di contestazione disciplinare, l’inerzia del datore nell’attivare un controllo di condotte che si assumono agevolmente verificabili.

In tali casi, è stata evidenziata la necessità di mantenere immutato il principio secondo cui non basta il mero sospetto di un comportamento illegittimo del dipendente per formulare una contestazione disciplinare (da non confondere con il “fondato sospetto” che, come recentemente confermato dalla giurisprudenza, legittima i “controlli difensivi in senso stretto” attuati ex post dal datore di lavoro riguardo comportamenti illeciti del lavoratore: Cass. 24 aprile 2025, n. 10822), poichè, altrimenti, si costringerebbe il datore a formulare una contestazione disciplinare senza disporre dei “dati conoscitivi” idonei a valutare le giustificazioni eventualmente offerte dal lavoratore (in tal senso, tra le tante, Cass. 19 maggio 2016, n. 10356).

Nè, tantomeno, si potrebbe sostenere che tale obbligo sia connaturato alla posizione datoriale, posto che, per affermare l’esistenza di un obbligo all’interno di un rapporto sinallagmatico, dovrebbe individuarsi la corrispettiva posizione attiva a favore dell’altra parte; in definitiva, non è ipotizzabile un diritto del dipendente di essere controllato o, comunque, di essere immediatamente informato del fatto che le sue eventuali infrazioni siano state scoperte dal datore di lavoro (Cass. 10356/2016, cit.).

Il controllo datoriale è quindi un potere il cui esercizio dipende da una scelta discrezionale, con la conseguenza che la mancata reazione del soggetto deputato al controllo non fa venire meno l’illiceità della condotta e la responsabilità dell’autore della violazione (Cass. 24 marzo 2025, n. 7826).

2. Le visite personali

Un’ipotesi di esercizio del potere di controllo del datore di lavoro riguarda le visite personali del dipendente, spesso necessarie (o, quantomeno, opportune) per esigenze di tutela del patrimonio aziendale.

La norma di riferimento è l’art. 6 dello Statuto dei Lavoratori, che stabilisce il divieto di visite personali sul lavoratore, salva l’ipotesi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti” (e ferma restando, anche nel caso in cui sia possibile disporre la visita personale, la necessità di un accordo sindacale o, in mancanza, di un provvedimento dell’Ispettorato del Lavoro).

Le visite personali, ove consentite, possono essere effettuate esclusivamente all’uscita dei luoghi di lavoro, salvaguardando la dignità e la riservatezza del lavoratore, nonché con l’applicazione di sistemi di selezione automatica (riferiti alla collettività o, comunque, a gruppi di lavoratori).

E’ stato ribadito, anche recentemente, che l’art. 6 sopra citato riguarda esclusivamente le ispezioni corporali e non anche quelle sulle cose del lavoratore, in quanto tale norma, da interpretarsi letteralmente, prevede solo la “visita personale”, che nell’ordinamento processuale – sia civile (artt. 118 e 258 cod. proc. civ.) che penale (art. 309 cod. proc. pen.) – è tenuta distinta dall’ispezione di cose e luoghi (Cass. 9 dicembre 2024, n. 31622).

Nel caso esaminato dalla sentenza da ultimo citata, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato a seguito del rinvenimento di beni aziendali in una scatola che il dipendente, all’uscita dal luogo di lavoro, aveva portato con sé e sulla quale era impresso il nome di un fornitore (si trattava, quindi, di un bene chiaramente riconducibile all’azienda, non alla persona del lavoratore); la Corte di Cassazione ha illustrato la motivazione (di fatto, condivisa) della Corte territoriale, che aveva escluso l’applicazione dell’art. 6 in esame alle ipotesi del controllo sulla borsa del lavoratore (aderendo quindi all’interpretazione, meno restrittiva, che ritiene legittimo il controllo sugli effetti personali e di diretta pertinenza della persona, quali gli accessori di abbigliamento come borse, borsette, marsupi, zainetti, etc.: Cass. 31622/2024, cit.).

In tema di visite personali, tra l’altro, la giurisprudenza ha avuto occasione di evidenziare che, ove il dipendente affermi che il potere di vigilanza del datore di lavoro incontra un limite nel diritto del lavoratore di introdurre, se non impedito, beni non inerenti alle esigenze di servizio, è agevole replicare che, al contrario, l’immissione di oggetti che, per loro natura, siano idonei all’asportazione di beni aziendali, comporta la consapevole soggezione alle forme di verifica previste a tutela delle esigenze di gestione e di tutela del patrimonio aziendale, a maggior ragione ove il datore di lavoro utilizzi un sistema di selezione casuale, che costituisce, di per sé, esplicazione di una forma di autolimitazione nell’esercizio del potere di controllo e di vigilanza (sul punto, cfr. Consiglio di Stato, 10 ottobre 2002, n. 5439).

Si soggiunge che possono costituire oggetto di valutazione anche le modalità con le quali viene attuato il controllo da parte del datore di lavoro.

E’ stato evidenziato, ad esempio, che l’invito “a recarsi nella saletta”, rivolto da un addetto al controllo al lavoratore, non è significativo di un comportamento vessatorio, in quanto, al contrario, tale invito si inquadra in un comportamento diretto alla salvaguardia della dignità, del rispetto e della riservatezza della persona, chiaramente finalizzato ad eseguire il controllo con prudenza e, soprattutto, con riserbo (Cass. 29 ottobre 1999, n. 12197).

3, Provvedimenti amministrativi

Alcuni provvedimenti amministrativi hanno esaminato il tema delle ispezioni personali previste dall’art. 6 in esame, fornendo indicazioni operative e interpretative che si accompagnano a quelle individuate, nel tempo, dalla giurisprudenza.

Si ricorda, tra i più significativi, il parere n. 20542 dell’8 novembre 2016 formulato dal Ministero del Lavoro, al quale era stata richiesta l’autorizzazione a derogare al generale divieto della visite di controllo.

Nel ricordare che la giurisprudenza di legittimità (con una pronuncia risalente nel tempo: Cass. 10 febbraio 1988, n. 1461) ha affermato che l’accordo sindacale è necessario per stabilire le regole per procedere alla perquisizione del dipendente, il Ministero ha rilevato che, per ottenere il provvedimento richiesto, è dirimente il giudizio sulla “indispensabilità” (requisito previsto dal citato art. 6) delle misure per le quali si chiede l’autorizzazione a derogare al generale divieto delle visite di controllo.

In particolare, ribadito il carattere di extrema ratio di tali visite, rispetto a modalità di controllo alternative e meno invasive (purchè tecnicamente e legalmente attuabili), è stata evidenziata la necessità di un’indagine rigorosa al fine di accertare la sussistenza di due condizioni idonee ad attestare l’esistenza del suddetto requisito: a) l’intrinseca qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti (con diverse possibili valenze: segretezza, pericolosità, elevato valore economico e/o agevole asportabilità); b) l’impossibilità di prevenire i furti se non attraverso le perquisizioni personali.

Un altro tema esaminato dal parere riguarda la sussistenza dei presupposti per il rilascio dell’autorizzazione (“per esigenze di tutela del patrimonio aziendale e contro illeciti”) per ispezionare gli armadietti siti negli spogliatoi aziendali.

Il Ministero ha affermato che, in questo caso, non è necessario l’accordo sindacale (o, in alternativa l’autorizzazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro), in quanto il controllo degli armadietti – spazi di proprietà aziendale, sebbene posti nell’esclusiva disponibilità del lavoratore – è fuori dall’ambito disciplinato dell’art. 6 Stat. Lav..

4. Conclusioni

Alla luce di quanto sopra illustrato, ferme restando le prescrizioni imposte dall’art. 6 in esame, potrebbe essere utile adottare un apposito protocollo aziendale che illustri le modalità di attuazione delle visite di controllo (specialmente ove sussista un concreto rischio di sottrazione del patrimonio aziendale), valutando ogni aspetto rilevante a realizzare un bilanciamento dei rispettivi interessi delle parti contrattuali.

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