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Attualità

Esclusione della responsabilità da reato dell’ente: idoneità del Modello e attività dell’ODV

16 Novembre 2020

Enrico Di Fiorino, Partner, Caterina Peroni, Trainee, Fornari e Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

Il decreto di archiviazione ex art. 58 D. Lgs. n. 231/2001 del 29 gennaio 2020 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como interviene nell’ambito di un procedimento penale pendente nei confronti di una società sottoposta ad indagini per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25, comma 2, D. Lgs. n. 231/2001, in relazione ai reati-presupposto di cui agli artt. 318, 319, 321 c.p., commessi da parte di due amministratori dell’ente.

L’archiviazione disposta nel procedimento in analisi è di particolare interesse, in quanto interviene in una materia in cui spesso si registrano pronunce di condanna, peraltro certamente destinatarie di una maggiore visibilità mediatica rispetto alle assoluzioni. Tuttavia, non si può comunque mancare di rilevare come siano intervenuti alcuni importanti arresti in materia, limitati più che altro alla giurisprudenza di merito, nell’ambito dei quali il Modello della società indagata ha trovato positiva valutazione sotto il profilo dell’adeguatezza e dell’idoneità a prevenire i reati oggetto di contestazione. La prassi giurisprudenziale si rivela in ogni caso poco propensa a tracciare giudizi approfonditi in punto di colpa di organizzazione, non ripercorrendo i tratti delineati dall’art. 6, D.Lgs. n. 231/2001, norma che prevede e disciplina le condizioni necessarie per l’esonero della responsabilità dell’ente.

Alla scarsa esperienza giurisprudenziale, si aggiunge una sostanziale disapplicazione della normativa, dovuta alla circostanza per cui, non di rado, i Pubblici Ministeri si limitano ad iscrivere nel registro generale degli indagati la persona fisica ritenuta responsabile della notizia di reato appresa, senza provvedere alla contestuale annotazione dell’ente, come prescritto ai sensi dell’art. 55, D. Lgs. n. 231/2001. In altri termini, l’autorità giudiziaria ritiene di poter scegliere in maniera discrezionale se indagare o meno una società, sebbene dinanzi a procedimenti avviati per determinati reati vi sarebbe un obbligo di iscrizione ex lege.

Premesso ciò, si può notare come con il provvedimento in parola il magistrato, attraverso una corretta e puntuale applicazione dei principi previsti dal D. Lgs. n. 231/2001, sia giunto ad una conclusione sotto più profili apprezzabile.

Come noto, l’art. 6 del Decreto, che concerne l’ipotesi in cui il reato sia stato commesso da soggetti che rivestono una posizione apicale, stabilisce che l’ente non risponde dell’illecito amministrativo se dimostra di aver assunto misure atte ad impedire la commissione di reati-presupposto del tipo di quello realizzato. Nello specifico, la società dovrà provare di aver adottato ed efficacemente attuato il Modello Organizzativo; di aver istituito un Organismo di Vigilanza dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo con il compito di vigilare sul Modello; che il citato controllo sia stato effettivo e adeguato e, infine, che il reato sia frutto dell’iniziativa del vertice aziendale, che ha fraudolentemente eluso il Modello.

Il provvedimento in esame, nel ricostruire con puntualità la sussistenza di ciascuno dei requisiti ora richiamati, mostra plasticamente come la responsabilità da reato dell’ente sia indipendente rispetto a quella delle persone fisiche – le quali, nel caso di specie, hanno infatti subito una condanna per i fatti di reato commessi – trovando fondamento nel difetto di organizzazione e nella colpa organizzativa dell’ente, gli unici presupposti a fronte dei quali l’ente può essere chiamato a rispondere dell’illecito amministrativo contestato.

Nel fare ciò, il Sostituto Procuratore di Como ha – correttamente – avvertito l’importanza di valorizzare non solo l’adozione di un Modello Organizzativo idoneo a prevenire gli illeciti verificatisi, ma anche l’efficacia dell’attività di controllo svolta dall’Organismo di Vigilanza nominato dall’ente.

Pronuncia

La presente vicendatrae origine dall’arresto del Direttore dell’Agenzia delle Entrate di Como e di alcuni commercialisti, a seguito del quale i soggetti apicali dell’ente, successivamente condannati per gli episodi corruttivi commessi, decidevano di ammettere la propria responsabilità, presentandosi spontaneamente presso il Pubblico Ministero procedente. In particolare, il Presidente ed il Consigliere Delegato rappresentavano all’autorità di aver versato una tangente pari ad euro 50.000,00, al fine di ovviare alla verifica fiscale in corso nei confronti della società di famiglia ed evitare di incorrere in contestazioni.

Alla luce di quanto emerso, i due apicali della società venivano condannati alla pena di un anno e dieci mesi di reclusione per il delitto ex artt. 318, 319, 321 c.p. e l’ente presso cui i soggetti operavano veniva sottoposto ad indagini in relazione all’illecito amministrativo di cui all’art. 25, comma 2, D. Lgs. n. 231/2001.

Successivamente, in data 29 gennaio 2020, il Pubblico Ministero procedente disponeva l’archiviazione del procedimento a carico dell’ente, non ritenendo sussistente l’illecito amministrativo contestato «avendo la società adottato un efficace modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi; essendo la stessa munita di un organismo di vigilanza, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; dovendosi ritenere la commissione del reato frutto dell’elusione fraudolenta del modello».

Dalla lettura del provvedimento di archiviazione, si rileva in primo luogo come, nel corso delle indagini, la Procura di Como abbia acquisito i verbali e la documentazione predisposta dall’Organismo di Vigilanza della società all’epoca dei fatti. Infatti, nel decreto in commento vengono descritti compiutamente l’operato dell’organismo e l’efficacia dell’azione di vigilanza posta in essere dal medesimo sia con riferimento al momento in cui l’OdV aveva appreso della vicenda tributaria da cui originava il procedimento penale de quo, sia in relazione al periodo in cui l’organismo è venuto a conoscenza dell’apertura dell’indagine penale.

L’idoneità dell’azione di controllo e vigilanza posta in essere è testimoniata proprio dai verbali dell’OdV, all’interno dei quali erano state riportate puntualmente le notizie apprese, grazie al corretto funzionamento dei flussi informativi. In particolare, è emerso dai citati verbali risalenti al 2018 come, a seguito dell’avviso di accertamento notificato agli exapicali, la difesa fiscale fosse stata affidata ad un professionista di fiducia, il quale aveva informato circa la propria attività sia il Collegio Sindacale, che il medesimo Organismo di Vigilanza.

Successivamente, una volta appreso dell’apertura delle indagini, l’OdV «pur verificata l’assoluta estraneità della società [..] ha richiesto informalmente informazioni ai vertici amministrativi dell’epoca, acquisendo chiarimenti, oltre ai verbali di interrogatorio resi avanti l’Ufficio della Procura della Repubblica di Como». In altri termini, la reazione dell’ente a fronte dell’emersione del procedimento penale è stata tempestiva, in quanto è stato prontamente convocato un audit, nel corso del quale sono state acquisite dall’OdV le dichiarazioni rese dai due amministratori condannati. Dall’esame delle sopracitate dichiarazioni appare evidente, ad avviso della Procura, come la società fosse estranea agli episodi corruttivi posti in essere dal Presidente e dal Consigliere Delegato, i quali avevano concluso gli accordi corruttivi in piena autonomia, utilizzando peraltro risorse esclusivamente proprie per il pagamento della tangente al pubblico ufficiale coinvolto.

Inoltre, in risposta a quanto occorso, la società aveva prontamente provveduto – a seguito delle dimissioni dalle cariche amministrative rassegnate dagli indagati – alla nomina di un nuovo Presidente del board, estraneo ai fatti occorsi.

Come anticipato in premessa, il Pubblico Ministero valorizza in punto di motivazione anche la circostanza che la società si fosse dotata di un Modello Organizzativo effettivamente idoneo a prevenire i reati della specie di quelli verificatisi, come richiesto dall’art. 6 D. Lgs. n. 231/2001.

Nella Parte Speciale dedicata ai reati contro la Pubblica Amministrazione, difatti, il Modello dell’ente contempla protocolli, procedure e prassi, volti a stigmatizzare «l’elargizione di promesse di denaro, beni o altra utilità di qualsiasi genere ad esponenti della Pubblica Amministrazione e/o soggetti terzi da questi indicati o che abbiano con questi rapporti diretti o indiretti di qualsiasi natura e/o vincoli di parentela o affinità», nonché «il pagamento di una parcella maggiorata a legali in contatto con Organi giudiziari, affinché condizionino favorevolmente l’esito di un processo a carico della Società».

Nel caso di specie, il Modello Organizzativo adottato ed implementato dalla società era stato invece aggirato ed eluso fraudolentemente da parte degli amministratori, senza che agli organi societari potesse essere mosso alcun rimprovero, in considerazione dell’idoneità dei presidi e dei controlli posti in essere, nonché del corretto approfondimento effettuato dall’ente una volta avuto contezza della situazione.

Sotto il profilo dell’elusione del Modello, il Pubblico Ministero giunge a tale conclusione richiamando alcuni condivisibili precedenti in materia di responsabilità degli enti, tra i quali una pronuncia con cui la Suprema Corte aveva precisato che la condotta elusiva dei presidi posti dal Modello organizzativo debba essere «di aggiramento e non di semplice frontale violazione delle prescrizioni adottate» (Cass. Pen., sez. V, n. 4677/2013). A tal proposito, come osservato dal Procuratore, tale requisito ricorre anche nel caso in esame, nel quale non si è assistito ad una mera violazione dei protocolli aziendali, bensì «gli amministratori pro temporehanno by-passato completamente i controlli e le procedure aziendali interne, effettuando plurimi incontri – in tempi e modalità del tutto ignoti agli organi societari – con l’intermediario dell’accordo corruttivo e facendo fronte ai pagamenti richiesti attingendo a proprie disponibilità finanziarie».

Il provvedimento in commento interrompe dunque un lungo silenzio giurisprudenziale in punto di giudizio di idoneità del Modello organizzativo, entrando con esito positivo nel merito dell’adeguatezza del Modello.

Ad ogni modo, il giudizio di inidoneità del Modello da parte del giudice rimane pur sempre dietro l’angolo, rischiando di minare la funzione pedagogica del sistema di prevenzione dei reati. Spesso, infatti, il sindacato dell’autorità sembra divenire un giudizio ex post, così finendo per disincentivare le imprese, soprattutto quelle ispirate ai valori della legalità e della compliance, a mettere in campo i migliori e più adeguati strumenti di prevenzione dei reati. La valutazione dell’autorità non può, dunque, che avvenire in chiave postuma e retroattiva, anche nel rispetto dei principi di colpevolezza e personalità della responsabilità penale sanciti tanto dalla Carta costituzionale quanto dalla Convenzione europea. Detti principi risultano certamente applicabili a questa materia, caratterizzata da sanzioni indubbiamente gravose, di natura sostanzialmente penale.

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