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Attualità

Il requisito della pluralità di investitori nei FIA italiani immobiliari

3 Giugno 2020

Francesco Assegnati e Leonardo Casaleno, Real Estate Team, CBA

Di cosa si parla in questo articolo
FIA

In questo contributo viene esaminata una tematica della normativa sui FIA immobiliari che, per alcuni aspetti, è ancora controversa: quella della cd. “pluralità” degli investitori. Tralasciando i concetti di semplice soluzione (la pluralità è evidente rispetto, ad esempio, all’unico investitore persona fisica), esistono una serie di situazioni intermedie che richiedono migliore valutazione in considerazione dei risvolti pratici che le stesse comportano. Come si avrà modo di osservare, il percorso logico è complesso e deve necessariamente prendere le mosse dalla regolamentazione di origine comunitaria.

In tal senso l’articolo 4, paragrafo 1, lett. a) della direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2011, sui gestori di fondi di investimento alternativi (cd. “AIFMD”)[1]individua uno dei capisaldi della gestione collettiva del risparmio nella “pluralità di investitori”, caratteristica intrinseca dei FIA definiti proprio come gli organismi di investimento collettivo, compresi i relativi comparti, che, inter alia,“raccolgono capitali da una pluralità di investitori al fine di investirli in conformità di una politica di investimento definita a beneficio di tali investitori”.

Stante l’asettica definizione, il necessario intervento dell’European Security and Market Authority (ESMA), con i propri orientamenti, contribuisce ad assicurare un’applicazione comune, uniforme e coerente di concetti integrativi delle definizioni della AIFMD, tra le quali, per quanto qui interessa, rientra proprio quella di “FIA” di cui al predetto art. 4, trovando applicazione, in tal senso, i punti VI e VII degli Orientamenti sulla direttiva GEFIA del 13 agosto 2013 – ESMA/2013/611 (le “Linee Guida ESMA”)[2].

In particolare, al punto VI le Linee Guida ESMA precisano, da un lato, che l’organismo di investimento collettivo (i) non deve avere uno scopo commerciale o industriale generale e (ii) deve aggregare il capitale raccolto dai suoi investitori per investirlo al fine di generare un rendimento aggregato per detti investitori e, dall’altro, che i detentori di quote di un organismo – in qualità di gruppo collettivo – non hanno discrezionalità o un controllo su base giornaliera.

Al successivo punto VII si specifica che raccoglie capitale da una “pluralità di investitori” ogni organismo:

  1. qualora il diritto nazionale, le norme o i documenti costitutivi oppure qualsiasi altra disposizione o altro accordo dal carattere giuridicamente vincolante, non vietino la raccolta di capitale da uno o più investitori (ciò dovrebbe valere anche nel caso in cui esso abbia di fatto solo un investitore) e,
  2. qualora il diritto nazionale, le norme o i documenti costitutivi oppure qualsiasi altra disposizione o altro accordo dal carattere giuridicamente vincolante, vietino la raccolta di capitale da uno o più investitori,qualora l’unico investitore (a) investe capitale che è stato raccolto da una o più persone giuridiche o fisiche con lo scopo di investirlo a beneficio di dette persone e (b) rappresenta un accordo o una struttura che in totale abbia più di un investitore ai sensi della direttiva GEFIA. Le Linee Guida ESMA elencano alcuni esempi come le strutture master/feeder, dove un unico fondo feederinveste in un organismo master, strutture di fondi di fondi dove il fondo di fondi è l’unico investitore nell’organismo sottostante e organizzazioni dove l’unico investitore è una persona designata in qualità di agente per uno o più investitori e che riunisce i loro interessi per scopi amministrativi.

Alla luce di quanto sopra, il requisito della “pluralità” sembra debba essere “sostanzialmente” inquadrato in stretta correlazione con l’elemento della raccolta di capitale: se un organismo è in grado di raccogliere capitale presso terzi, allora si potrebbe dire che lo stesso sia partecipato da una pluralità di soggetti[3]. Resta, tuttavia, difficile da comprendere quali siano i limiti di tale conclusione, considerato che non sembra compatibile con il sistema una ricostruzione che ritenga rispondenti al requisito della pluralità ogni e qualsiasi “ente” per il solo fatto di ricevere capitali da più di un soggetto, ancorché successivamente lo stessa agisca in proprio ai fini della gestione collettiva.

Persistono, inoltre, dubbi sotto un profilo squisitamente semantico rispetto ai quali anche la normativa nazionale non ha saputo fornire delucidazioni in merito. A tal riguardo, in particolare, l’art. 1 lett. k) del D.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (“TUF”) identifica come organismo di gestione collettiva del risparmio (“Oicr”) “l’organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi  nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati, a favore di soggetti diversi dai consumatori, a valere sul patrimonio dell’OICR, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata”. Alla lett. m-ter) del medesimo art. 1, il TUF definisce “Oicr alternativo italiano” (FIA italiano) il fondo comune di investimento[4] rientrante nell’ambito di applicazione della AIFMD. La disciplina secondaria nazionale in materia, al par. 1, sez. II, Cap. I, Titolo I del Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio del 19 gennaio 2015 (il “Regolamento”), nel solco tracciato dalle Linee Guida ESMA, stabilisce poi che il requisito de quo è soddisfatto anche in presenza di un solo investitore, qualora l’investimento sia da questi effettuato nell’interesse di una pluralità di investitori(ad es., strutture master-feeder, fondi di fondi, possibilità di partecipare ad un OICR mediante un intermediario abilitato alla prestazione dei servizi di investimento ex art. 21, comma 2, TUF)”.

Sul punto, si noti che, nell’ambito della normativa nazionale, c’è stata un’evoluzione del concetto di “pluralità di partecipanti” inteso quale pluralità di sottoscrittori: a tal riguardo si è passati, dalla originaria lett. j) dell’art. 1 TUF all’attuale lett. k) del medesimo articolo, ad un concetto di “pluralità di investitori”, a plausibile precisazione di partecipanti a flussi economici verso il e dal FIA. Inoltre, nel corso della consultazione promossa dalla Banca d’Italia relativamente al Regolamento, con specifico riferimento alla nozione di “riserva di attività”, è stato chiesto all’Organo di Vigilanza se “l’assenza di una o più delle caratteristiche “essenziali” degli OICR (raccolta del patrimonio; pluralità di investitori; politica di investimento) può esser tale da non determinare automaticamente l’esclusione dell’esistenza della prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, bensì l’assenza di uno o più degli elementi descrittivi che la normativa riferisce a tali caratteristiche essenziali”. In risposta, la Banca d’Italia ha chiarito che “le caratteristiche essenziali degli OICR, così come individuate nella definizione di cui all’art. 1, lett. k), TUF, devono essere sempre presenti ai fini della sussistenza del servizio di gestione collettiva oggetto di riserva. Pertanto, ciò che può non determinare automaticamente l’esclusione della prestazione del servizio oggetto di riserva attiene unicamente all’assenza di uno o più degli elementi descrittivi di tali caratteristiche essenziali, così come delineati nelle disposizioni in commento”.

Da quanto precede si dovrebbe desumere che la “generica” precisazione fatta dalla Banca d’Italia orienti verso la direzione di una verifica sostanziale della “pluralità” con la conseguenza della basilarità dell’”interesse plurale” in nome del quale si atteggia, appunto, la gestione collettiva del risparmio.

In aggiunta a quanto precede, è peraltro rilevante segnalare l’intervento del legislatore in ambito fiscale il quale ha sancito che la pluralità è tale anche in presenza di un quotista unico (qualora lo stesso ricada nella definizione di “investitore istituzionaleex art. 32 del D.L. n. 78/2010), concetto ribadito anche dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria nella Circolare n. 2/E del 2012, in cui viene chiarito che “il comma 3 dell’articolo 32 del decreto legge n. 78 del 2010, nel testo sostituito dall’articolo 8, comma 9, lettera b), del decreto legge n. 70 del 2011, prevede che il regime proprio del fondo immobiliare si applica in ogni caso ai fondi partecipati esclusivamente da determinati investitori “istituzionali”, dettagliatamente individuati dalla stessa norma e ciò anche quando il fondo è partecipato da uno solo dei soggetti ivi elencati. Ai fondi partecipati dagli investitori istituzionali – che per semplicità di seguito chiameremo “fondi istituzionali” – si rende applicabile l’intero regime fiscale previsto dal decreto legge n. 351 del 2001 a prescindere da ogni valutazione in merito ai requisiti di autonomia gestionale e pluralità dei partecipanti sopra evidenziati”. Peraltro, sul punto, l’Amministrazione finanziaria si era già espressa nel 2005[5].

L’eventuale eccezione che quanto “indicato” è riferibile meramente ad un ambito tributario non è, ad avviso di chi scrive, condivisibile, sia in considerazione del fatto che l’art. 32 del citato D.L. n. 78/2010, sebbene rubricato “Riorganizzazione della disciplina fiscale dei fondi immobiliari chiusi”, ha apportato alcune modifiche al TUF tra cui la sostituzione della definizione di “fondo comune di investimento” ed il relativo criterio di pluralità, sia perché due differenti definizioni dello strumento in esame mal si concilierebbe con l’utilizzo pratico dello stesso.

Alla luce delle suesposte considerazioni – sebbene ogni conclusione in materia non può che scontare le incertezze dell’assenza di specifiche disposizioni normative o prassi applicativa delle norme esistenti – si dovrebbe ritenere che il requisito della “pluralità degli investitori” sia rispettato ogniqualvolta si faccia raccolta di capitale da più investitori, indipendentemente dal risultato raggiunto, ma anche quando il quotista unico di un FIA sia portatore “sostanziale” degli interessi di una pluralità di soggetti che vogliano sfruttare gli strumenti della gestione collettiva del risparmio indipendentemente dalla forma con la quale si approcciano alla stessa, come nel caso più comune dell’investimento, da parte di OICR “esteri” in FIA italiani, strutturato mediante un veicolo di investimento societario che risulti, quindi, unico quotista del Fondo.

 


[1] L’AIFMD, al considerando (6), limita l’applicazione della stessa direttiva ai soggetti che esercitano abitualmente l’attività di gestione di FIA e che raccolgono capitale da una pluralità di investitori allo scopo di investirlo a vantaggio di tali investitori in base a una determinata politica d’investimento.

[2] Nello specifico le Linee Guida ESMA dispongono quanto segue: “17. Un organismo, cui il diritto nazionale, le norme o i documenti costitutivi oppure qualsiasi altra disposizione o altro accordo dal carattere giuridicamente vincolante, non vietino la raccolta di capitale da uno o più investitori, dovrebbe essere considerato come un organismo che raccoglie capitale da una pluralità di investitori ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), punto i), della direttiva GEFIA. Questo dovrebbe valere anche nel caso in cui esso abbia di fatto solo un investitore. 18. Un organismo, cui il diritto nazionale, le norme o i documenti costitutivi oppure qualsiasi altra disposizione o altro accordo dal carattere giuridicamente vincolante, vietino la raccolta di capitale da uno o più investitori, dovrebbe essere considerato come un organismo che raccoglie capitale da una pluralità di investitori ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), punto i), della direttiva GEFIA se l’unico investitore: (a) investe capitale che è stato raccolto da una o più persone giuridiche o fisiche con lo scopo di investirlo a beneficio di dette persone; e (b) rappresenta un accordo o una struttura che in totale abbia più di un investitore ai sensi della direttiva GEFIA. 19. Esempi di accordi o di strutture che ricadono all’interno del paragrafo 18 includono le strutture master/feeder, dove un unico fondo feeder investe in un organismo master, strutture di fondi di fondi dove il fondo di fondi è l’unico investitore nell’organismo sottostante e organizzazioni dove l’unico investitore è una persona designata in qualità di agente per uno o più investitori e che riunisce i loro interessi per scopi amministrativi.”

[3] Cfr. Gli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR): Fattispecie e forme, di Filippo Annunziata, EGEA spa, 2017.

[4] La lett. j) dell’art. 1 TUF definisce il “fondo comune di investimento” come “l’Oicr costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore”.

[5] In particolare, con Risoluzione n. 137/E del 4 ottobre 2005, avente ad oggetto una richiesta in merito all’applicazione della ritenuta da parte di un gestore con riferimento a flussi in uscita di un fondo comune di investimento mobiliare (di diritto italiano) a favore dell’unico sottoscrittore residente nel Regno Unito e genericamente definito come investitore istituzionale, l’Agenzia delle Entrate ha sancito che “in ogni caso non si può fare a meno di evidenziare che, sulla base delle disposizioni civilistiche, contenute nel testo unico della disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, per fondo comune di investimento si intende un patrimonio autonomo, suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti, gestito in monte [omissis]. Un Fondo, per essere tale, necessita dunque di una pluralità di sottoscrittori, a meno che l’unico detentore non rappresenti una pluralità di interessi così da configurare una gestione collettiva”.

Da ultimo, con Circolare n. 33/E del 15 luglio 2011, l’Agenzia delle Entrate ha confermato, richiamando la Risoluzione di cui al punto che precede, che “un fondo per essere tale necessita della pluralità di sottoscrittori, a meno che l’unico detentore non rappresenti una pluralità di interessi così da raffigurare una gestione collettiva, quale è il caso, ad esempio, dei fondi pensione o dei fondi comuni”.

 

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