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Giurisprudenza

Eccessiva durata della società e disciplina del diritto di recesso

9 Gennaio 2020

Francesco Pezone

Tribunale di Milano, 28 giugno 2019, n. 6360 – Pres. Rel. Mambriani

Di cosa si parla in questo articolo
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La durata determinata di una società di capitali può essere considerata eccessiva e dunque elusiva della disciplina in tema di recesso ad nutumsolo quando (i) il termine previsto dallo statuto, all’esito di una valutazione in assoluto, esorbiti qualsiasi ragionevole previsione di durata della società quale persona giuridica, risultando del tutto arbitrario e irrazionale ovvero quando (ii) la società abbia per oggetto sociale l’esercizio di un attività specifica e di prevedibile esaurimento entro un dato tempo, ma la scadenza del termine sia posta ben oltre tale tempo.

Nel caso di specie, il Tribunale di Milano rigetta la domanda dell’attore – socio di una S.r.l. costituita nel 1968 con scadenza nel 2100 e avente ad oggetto la gestione di un immobile storico di proprietà della stessa – ed esclude l’esistenza di un diritto di recesso ad nutum, in quanto la durata determinata della società non poteva considerarsi, anche in relazione al suo oggetto, né apparente né irragionevole.

La pronuncia si colloca in quel filone, ormai prevalente nella giurisprudenza milanese, che accoglie l’orientamento restrittivo sull’interpretazione delle norme in tema di recesso ad nutum, in contrasto con la decisione della Corte di Cassazione n. 9662 del 2013.

Nella pronuncia in commento, il Tribunale, partendo dalla chiara formulazione letterale delle disposizioni in rilievo (l’articolo 2437, comma 3 per le S.p.A. e l’articolo 2473, comma 2 per le S.r.l.), smonta le diverse argomentazioni su cui si fonda la tesi opposta. In primo luogo, il collegio non ritiene applicabile per analogia alle società di capitali la disciplina di cui all’articolo 2285 del codice civile (che attribuisce un diritto di recesso ad nutum al socio di società di persone contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno di essi), stante le evidenti diversità strutturali tra le due tipologie di enti – in primis, il difetto di personalità giuridica e l’autonomia patrimoniale imperfetta che caratterizzano le società di persone – così escludendo la rilevanza della durata della vita di un socio o della durata media della vita umana quali parametri di valutazione della eccessività della durata della società. Inoltre, il Tribunale considera inappropriato il richiamo alla marcata venatura personalistica delle S.r.l., ormai smentito dalle recenti riforme in tema di start-up innovative e PMI-S.r.l., che hanno determinato un forte avvicinamento del tipo S.r.l. alle società azionarie (al punto che si parla anche di S.r.l. “para-azionarie”). In ultimo, non risulta convincente nemmeno il riferimento al favor riservato dal legislatore del 2003 all’istituto del recesso, che, pur innegabile, non può spingersi fino a giustificare un’applicazione estensiva delle norme in tema di recesso al di fuori delle ipotesi specificamente previste.

A sostegno della propria tesi, invece, il Tribunale di Milano adduce le esigenze di certezza sottese alla disciplina del recesso, in relazione alla necessità di tutela dell’affidamento dei soci e dei creditori sociali, alla luce degli effetti “sempre rilevanti, spesso gravi, a volte dirompenti” che il recesso di un socio produce sul patrimonio della società.

Stante l’assenza di un parametro normativo di riferimento oggettivo ed uniforme, la valutazione di elusività si risolve in un apprezzamento discrezionale dell’interprete, che contrasta con i canoni di interpretazione oggettiva delle clausole statutarie. Il collegio ritiene dunque, in definitiva, che la disciplina del recesso ad nutum possa trovare applicazione nei casi di durata statutaria determinata solo quando l’indicazione del termine abbia carattere elusivo, tale per cui i soci abbiano inteso far apparire come contratta a tempo determinato una società in realtà costituita a tempo indeterminato ovvero quando i soci abbiano apposto un termine apparente, sostanzialmente privo di significato, tale per cui la manifestazione di volontà sia da considerarsi tamquam non esset.

 

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