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Giurisprudenza

Concordato preventivo: ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il decreto di accoglimento del reclamo ex art. 183 L.F.

6 Marzo 2018

Sara Addamo, Dottoranda in Studi Giuridici Comparati ed Europei presso l’Università di Trento

Cassazione Civile, Sez. I, 31 gennaio 2017, n. 2495 – Pres. Nappi, Rel. Ferro

Di cosa si parla in questo articolo

La Suprema Corte ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d’Appello denegativo dell’omologazione del concordato preventivo, che aveva accolto il reclamo, ai sensi dell’art. 183 l.f., promosso da due banche creditrici. In esecuzione di tale provvedimento della Corte d’Appello, era stata disposta la revoca dell’ammissione al concordato e, conseguentemente, era stato dichiarato il fallimento della società istante.

La Corte di Cassazione ha in primo luogo richiamato il principio di diritto per cui “in tema di giudizio di cassazione, l’intervenuta modifica dell’art. 43 legge fall. per effetto dell’art. 41 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nella parte in cui recita che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta una causa di interruzione del giudizio in corso in sede di legittimità posto che in quest’ultimo, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge” (conf. Cass. 21153/2010; Cass. 14786/2011; Cass. 8685/2012; Cass. 17450/2013).

In secondo luogo, la Corte, riferendosi al quadro già delineato dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. 9935/2015), ha precisato, da un lato, la compatibilità della dichiarazione di fallimento intervenuta in pendenza dei giudizi impugnatori dell’esito negativo del concordato preventivo, dall’altro, la necessità di proseguire comunque tali giudizi, per assicurare il definitivo controllo di legalità sulle statuizioni che li hanno decisi in senso non conforme alla domanda del debitore, potendo la relativa conclusione, in ogni caso, influenzare la citata dichiarazione di fallimento.

Nel merito, il ricorso per cassazione era volto all’accertamento ed alla dichiarazione dell’invalidità del voto contrario all’omologazione espresso dalle banche creditrici, ai sensi dell’art. 178 l.f., dato il difetto di leggibilità della firma di sottoscrizione della dichiarazione di voto trasmessa via PEC e nonostante l’intervenuta successiva ratifica.

La Corte, nel rigettare il predetto ricorso, argomentava che il voto espresso dalle banche appariva ascrivibile alla categoria degli atti negoziali unilaterali e, pertanto, oggetto in ogni caso di possibile ratifica ad opera delle stesse creditrici (ammesse al voto stesso), sebbene, nella specie, non tempestivamente autrici di rispettiva manifestazione secondo criteri di completezza originaria.

Il disposto dell’art. 178 l.f., inoltre, mira a facilitare l’espressione, positiva o negativa, della volontà consapevole dei creditori sulla proposta concordataria del debitore, ammettendone la manifestazione tramite telegramma, telefax, semplice lettera o posta elettronica (quest’ultima senza nemmeno un preciso riferimento alla PEC). Pertanto, ritenendo di primario rilievo l’esigenza di agevolare la più genuina modalità di manifestazione della volontà dei creditori, occorre dar corso ad una interpretazione che valorizzi ogni atto proveniente materialmente dagli stessi, così da circoscrivere il significato normativo della fictio adesiva conseguente all’inerzia (meccanismo di silenzio-assenso), ai soli casi in cui questa sia stata con alto grado di sicurezza frutto di una del tutto assente espressione della volontà del singolo creditore. Da tale disciplina emerge un evidente favor verso la responsabile partecipazione al procedimento da parte dei creditori, la cui volontà può essere desunta per l’appunto da diversi elementi materiali – come, nel caso in esame, l’utilizzo delle PEC delle banche, l’impiego del logo degli istituti, i dati identificativi dei medesimi, il netto contenuto di dissenso rispetto alla proposta di concordato –, nonché dalla portata sanante delle procure successivamente depositate (essendo l’invalidità del voto sempre suscettibile di ratifica da parte della società rappresentata).

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