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Giurisprudenza

Il finanziamento in pool e la legittimazione attiva ad agire per il recupero del credito

13 Gennaio 2020

Federica Dipilato, Avvocato presso Giovanardi Pototschnig & Associati

Cassazione Civile, Sez. I, 26 febbraio 2019, n. 5670 – Pres. Didone, Rel. Campese

Una banca partecipante ad un finanziamento in pool ha impugnato la decisione del Tribunale di Isernia di escludere, all’esito del giudizio di opposizione allo stato passivo, il credito vantato nei confronti di una società in amministrazione straordinaria, ritenendo detta banca carente di legittimazione attiva.

Una simile esclusione è stata motivata dal giudice del merito a fronte dell’accertamento dell’esistenza di un mandato irrevocabile con rappresentanza (attiva e passiva, sia sostanziale, sia processuale) conferito – in sede di apposita convenzione interbancaria – da tutte le banche partecipanti al pool ad una sola di esse (definita per l’appunto “banca agente”) per l’esecuzione e la gestione, in loro nome e per loro conto, di tutti gli atti inerenti il finanziamento medesimo. Secondo il Tribunale di Isernia, l’esistenza di un simile mandato irrevocabile (assimilabile ad una sorta di associazione temporanea di imprese) avrebbe privato le singole banche partecipanti al pool della capacità/legittimazione di agire autonomamente per la tutela delle proprie ragioni.

Sul punto, la banca ha ritenuto la decisione del Tribunale di Isernia viziata per una erronea applicazione dei comuni canoni interpretativi dei contratti collegati, “essendo certo che l’estensione delle prerogative della banca arranger [avrebbe dovuto] rinvenirsi nell’esame della relativa convenzione di delega disciplinata e regolata dai contratti collegati, tenendo conto della comune intenzione delle parti, del loro comportamento (anche posteriore alla conclusione del contratto), del significato complessivo delle clausole e della conservazione degli effetti del contratto”.

Tuttavia, la Corte di Cassazione, investita della questione, non ha potuto che dichiarare il ricorso inammissibile, per aver la ricorrente fatto valere non già una violazione di legge, bensì un asserito errore del giudice di merito nell’applicare i canoni interpretativi codicistici, peraltro omettendo di individuare lo specifico canone ermeneutico asseritamente violato.

 


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