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Giurisprudenza

Revoca del concordato preventivo per atti di frode: il credito professionale è soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento

21 Ottobre 2019

Federica De Gottardo, Dottoranda in Studi Giuridici Comparati ed Europei presso l’Università di Trento

Cassazione Civile, Sez. I, 10 luglio 2019, n. 18531 – Pres. Didone, Rel. Di Marzio

Di cosa si parla in questo articolo
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Sul punto, la Corte di Cassazione ha innanzitutto precisato come, in sede fallimentare, l’utilità concreta della prestazione volta all’ammissione alla procedura concordataria non debba essere sindacata con valutazione ex post. In particolare, richiamando i principi già espressi con precedenti pronunce (Cass. 24 settembre 2018, n. 22467; Cass. 4 novembre 2015, n. 22450) la Suprema Corte ha ribadito che “il credito del professionista che abbia svolto attività di assistenza e consulenza per la presentazione della domanda di concordato preventivo rientra de plano tra i crediti sorti «in funzione» di quest’ultima procedura e, come tale, a norma dell’art. 111, comma 2, della legge fallimentare, va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato con valutazione ex post, che la prestazione sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti”.Mediante la sentenza de qua, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della professionista avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Crotone ha confermato la collocazione in privilegio – invece che in prededuzione – del credito maturato in relazione alla redazione e al deposito di una proposta concordataria presentata dalla società, poi dichiarata fallita. Nella specie, il fallimento della società era conseguito alla revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo a causa dell’accertato abuso dello strumento concordatario e dell’esistenza di atti di frode del debitore. Sulla base di tale circostanza, il giudice dell’opposizione allo stato passivo ha esclusola natura prededucibile del credito della professionista, sul presupposto per cui la prestazione resa da quest’ultima non avrebbe integrato il requisito di utilità concreta per la massa dei creditori.

Con specifico riguardo all’ipotesi di revoca del concordato preventivo per atti di frode, la Suprema Corte ha chiarito che il criterio dell’utilità concreta potrebbe assumere rilievo, ai fini dell’esclusione della natura prededucibile del credito, solo laddove vi fosse la dimostrazione della conoscenza degli atti di frode in capo al professionista; in tale ipotesi, infatti, non solo la prestazione professionale non sarebbe di alcuna utilità per la massa, ma si rivelerebbe “addirittura potenzialmente dannosa per i creditori, tenuto conto della erosione del patrimonio a disposizione della massa per effetto della continuazione dell’attività di impresa”.

In difetto di prova in ordine alla conoscenza degli atti di frode da parte del professionista, non sussistono pertanto ragioni per l’esclusione della natura prededucibile del credito in capo a quest’ultimo, dal momento che non è “demandato al professionista che redige e deposita la domanda il controllo della veridicità dei dati e della fattibilità del piano” né si può ascrivere al professionista la responsabilità per atti commessi dal debitore.

 

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