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Giurisprudenza

La clausola sugli interessi anatocistici è sempre vessatoria

30 Giugno 2014

Avv. Attilio Zuccarello, Studio Legale Zuccarello – Monacis

Tribunale di Torino, 20 giugno 2014

Di cosa si parla in questo articolo

La recente sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., emessa il 20 giugno 2014 dal Tribunale di Torino per dirimere un contenzioso in materia di interessi anatocistici e ultra legali, affronta inter alia due questioni di particolare rilievo:

– gli obblighi formali gravanti sulle banche ai sensi dell’art. 7 della delibera CICR 9 febbraio 2000 allorquando queste abbiano imposto interessi anatocistici a conti correnti in essere o accesi successivamente al 30 giugno 2000 (data di entrata in vigore della citata delibera);

– i criteri di sostituzione e di ricalcolo del tasso di interesse da applicare nel caso in cui il tasso imposto dalla banca convenuta si rivelasse invalido.

Nel giudizio in analisi, il correntista attore lamentava, tra l’altro, l’applicazione di interessi anatocistici ai due conti correnti in contestazione, l’uno acceso nel 1991 e l’altro acceso nel 2004. Aveva, pertanto, chiesto che il CTU procedesse al ricalcolo della posizione debitoria maturata, eliminando le ricapitalizzazioni trimestrali, gli interessi negativi da queste prodotte nonché la CMS e le altre spese unilateralmente imposte.

Sulla natura vessatoria della clausola sugli interessi anatocistici: conseguenti oneri formali gravanti sulla banca

Con riferimento al conto corrente più risalente, acceso prima del 2000, il CTU procedette alla rideterminazione della scopertura di conto eliminando i pagamenti a saldo degli interessi anatocistici contabilizzati fino al 30 giugno 2000.

Per gli interessi anatocistici successivi alla prima metà del 2000 maturati sul conto più risalente e per quelli contabilizzati sul conto più recente (acceso nel 2004), invece, il CTU ritenne di non dover procedere a tale defalcazione.

Il perito del Giudice “presume” infatti che, dopo tale data, l’applicazione della ricapitalizzazione trimestrale sia stata effettuata in conformità alle condizioni di cui all’art. 2 della delibera CICR 9 febbraio 2000, in quanto tutti gli interessi anatocistici, sia quelli creditori che quelli debitori, sono stati contabilizzati con medesima periodicità. Partendo da tale premessa il CTU ha giudicato che la clausola sulla ricapitalizzazione trimestrale imposta dalla Banca non abbia comportato alcuna variazione peggiorativa al rapporto con il correntista; pertanto, ha considerato sufficiente per la formalizzazione di tale adeguamento la comunicazione effettuata dalla banca consistente in una semplice pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (come da dettame ex art. 7 della delibera CICR 9 febbraio 2000).

Il Giudice sconfessa la valutazione del nominato CTU e dispone la non applicazione su alcuno dei due conti correnti degli interessi anatocistici, anche con riferimento a quanto contabilizzato dopo il 30 giugno 2000. Di seguito si espongono le motivazioni.

La materia risulta disciplinata, ratione temporis e considerata la fattispecie esaminata, dall’art. 120 del TUB, riformato dall’art. 25 del d.lgs. 4 agosto 1999 n. 3421. Prima di tale intervento legislativo trovava applicazione la sola disposizione di cui all’art. 1283 c.c. a mente della quale “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzioni posteriori alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

L’uso invalso nella prassi bancaria di imporre unilateralmente interessi anatocistici era appena stato condannato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione2 in quanto configurante un’illegittima deroga a norma imperativa. Il Legislatore, con il citato articolo del d.lgs. 342/99, incaricava quindi il CICR di stabilire le modalità e i criteri per l’applicazione di interessi su interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo che venisse assicurata la medesima periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori. La norma ex art. 25 del d.lgs. 4 agosto 1999 n. 342 quindi forniva un fondamento di rango primario affinché una fonte di diritto di rango secondario (una delibera del CICR) potesse derogare quanto disposto da un articolo del Codice Civile (ovverosia l’art. 1283 c.c.).

Il CICR adempie a tale incarico con la nota direttiva del 9 febbraio 2000 il cui art. 2 dispone, inter alia, che l’anatocismo può essere concordato contrattualmente sempre che i saldi periodici producano interessi secondo le medesime modalità e vi sia la medesima periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori. Inoltre il successivo art. 7, co. 2 dispone che nel caso in cui interessi anatocistici vengano applicati a conti correnti preesistenti all’entrata in vigore della delibera in esame, vige un obbligo di comunicazione al cliente. Tale obbligo può ritenersi validamente adempiuto con la semplice comunicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana “qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate”. Se, invece, le nuove condizioni contrattuali abbiano configurato tale peggioramento ovvero un aggravio delle condizioni economiche a carico del correntista, l’introduzione di clausole su interessi anatocistici saranno valide solo se esplicitamente approvate dalla clientela (art. 7 co. 3).

L’equazione effettuata dal CTU nel giudizio in commento è la seguente: stante l’applicazione di una clausola contrattuale ai contratti in essere che imponeva interessi anatocistici con medesima periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori, il perito ha presunto che la sua introduzione in contratto non abbia comportato alcuna previsione più onerosa in capo al correntista. Pertanto la condizione di validità di tale previsione sarebbe stata soddisfatta con la semplice pubblicazione in GU.

Il Giudice sovverte tale impostazione.

Innanzitutto rileva come la parità di condizioni fosse solo apparente e non soddisfatta dalla semplice previsione di capitalizzazione e calcolo alle medesime scadenze degli interessi attivi e passivi. Ciò in quanto vi era una disparità nei tassi creditori, di gran lunga più leggeri rispetto ai tassi debitori a carico del correntista. Tale disparità di trattamento veniva aggravato anche dall’imposizione, dichiarata illegittima, di commissioni di massimo scoperto e di voci di spesa non previste in contratto che oberavano il conto con passività non dovute.

Ma v’è di più. Il Giudice del Tribunale di Torino si conforma alla precedente sentenza del Tribunale di Mondovì del 17 febbraio 2009, il quale acutamente così ricostruiva le vicende legislative che hanno portato alla delibera CICR del 9 febbraio 2000.

Il citato art. 25 del d.lgs. 342/99 disponeva, oltre alla modifica dell’art. 120 TUB, anche una norma transitoria che sanava ex post e con efficacia retroattiva le clausole anatocistiche apposte nei contratti di conto corrente precedenti (art. 25 co. 3).

Sennonché, come ampiamente noto, tale previsione è stata dichiarata incostituzionale dalla suprema Corte con sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000. Viene dunque a mancare il fondamentale supporto legislativo che salvava la validità delle clausole anatocistiche preesistenti alla Delibera CICR del 9 febbraio 2000. Con ciò è parimenti caduta anche “la possibilità di qualificare la capitalizzazione trimestrale con pari periodicità come modifica non peggiorativa»” (pag. 6 della sentenza in analisi). Pertanto la caducazione imposta dalla Corte Costituzionale dell’art. 25 co. 3 del d.lgs. 342/99 ha fatto sì che l’applicazione della clausola contrattuale sugli interessi anatocistici è sempre da considerarsi vessatoria e sempre configura una deroga peggiorativa del contratto e delle previsioni altrimenti conformi al dettame codicistico di cui all’art. 1283 c.c.. Pertanto la mancanza di una conferma scritta per approvazione specifica della detta clausola “osta [sempre] all’applicazione della capitalizzazione degli interessi su base periodica”.

Ricalcolo degli interessi in caso di applicazione illegittima di interessi ultra legali da parte della Banca

Il Giudice rileva che per nessuno dei conti correnti in analisi sono stati rinvenuti contratti o altre pattuizioni sufficientemente determinate in relazione al tasso di interesse da applicare. Pertanto dispone l’invalidità dei tassi di interesse ultralegali indebitamente applicati dalla Banca e dispone l’applicazione dei tassi di sostituzione indicati dal CTU in perizia, ovverosia i tassi BOT al minimo rilevati.

L’applicazione in via sostitutiva del tasso BOT al minimo si giustifica proprio per il carattere sanzionatorio della decisione che intende punire una comportamento illegittimo della Banca.

Una precisazione

Alla luce di quanto succintamente esposto, il dispositivo del Giudice potrebbe sembrare illogico e sorprendente. Infatti, nonostante vi sia stato un sostanziale accoglimento delle contestazioni dedotte dal correntista (ad eccezione della questione relativa all’onere della prova relativo alla presenza di un fido di fatto in conto corrente, tardivamente dedotto dall’attore solo con la terza memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c.), il correntista è comunque stato dichiarato soccombente e condannato alle spese.

Tale decisione però è succintamente spiegata dal Giudice.

Nelle more del giudizio la società attrice è fallita e ha proseguito il giudizio in riassunzione.

Il Giudice ha quindi rilevato che (i) la rettifica del conto depurato delle somme illecitamente imposte dalla Banca ha comportato (non un credito del correntista nei confronti della Banca, ma) semplicemente una diminuzione dell’esposizione debitoria del correntista e (ii) il fallimento in riassunzione ha insistito nella richiesta di condanna al pagamento di una somma e non ha, invece, chiesto il semplice accertamento negativo di somme ex adverso pretese.

Ciò comporta il rigetto della domanda di condanna e la soccombenza dell’attore perché l’azione, a seguito della dichiarazione di procedimento concorsuale, sarebbe stata di esclusiva competenza del Giudice fallimentare secondo la normativa di cui all’art. 52 Legge Fallimentare.

 

1

Nel 2014 la disciplina è stata nuovamente rivista dal Legislatore.

Innanzitutto è intervenuta la Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (entrata in vigore il 1° gennaio 2014). Il comma 629 della citata norma modifica sensibilmente la disciplina dell’anatocismo bancario, riformulando l’art. 120 TUB come segue: “All’articolo 120 del testo unico di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:

a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;

b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»”.

Infine, con il Decreto Competitività (d.l. 24 giugno 2014 n. 91), viene prevista la sostituzione dell’attuale comma 2 dell’articolo 120 del TUB con il seguente: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo. Nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento è assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti interessi; per i contratti conclusi nel corso dell’anno il conteggio degli interessi è comunque effettuato il 31 dicembre”.


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2

Corte di Cassazione n. 2374/1999, 3096/1999 e 3845/1999 – sul punto www.zuccarellomonacis.it/wp-content/uploads/2013/04/Anatocismo.ppt slide n.12.


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