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Aggravio debitorio per la tardiva gestione della crisi: profili di responsabilità degli amministratori, dei sindaci e delle istituzioni finanziarie anche alla luce della riforma in corso

24 Dicembre 2018

Giuseppe Amato e Giulia Serra, Amato Matera & Associati Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Introduzione; –  2. La riforma della crisi di impresa e dell’insolvenza; – 3. Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi; – 4. La concorrente culpa in vigilando del Collegio Sindacale nella società in crisi; – 5. Sulla responsabilità degli istituti di credito.

 

1. Introduzione

Le pagine che seguono intendono analizzare, senza pretesa alcuna di esaustività, le responsabilità in cui gli organi societari incorrono in occasione della crisi d’impresa.

Lo scritto è stato ispirato dalla recente riforma che ha interessato e tutt’oggi interessa il sistema italiano di gestione della crisi. Detto rinnovamento si è reso necessario per duplici motivi, quali l’adeguamento del sistema interno a quello europeo in applicazione della Direttiva 2012/30/UE[1] ed il riordino del quadro normativo vigente in un unico Codice che dia giusta collocazione a tutte le situazioni di indebitamento e di crisi. 

Le riforme realizzate in Italia nell’ultimo decennio, così come quella emananda, sono state ispirate alla progressiva anticipazione del momento nel quale l’imprenditore in difficoltà è chiamato o incentivato ad agire.

Nel sistema del 1942, l’architrave dell’impianto normativo era costituito dall’insolvenza: un dissesto insanabile, da gestire nell’ambito del fallimento[2]. L’attivazione della procedura conduceva, usualmente, alla disgregazione del complesso aziendale ed all’ eliminazione” dell’imprenditore dal mercato. Facevano eccezione le procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata, che, tuttavia, rivestivano un carattere di eccezionalità[3].

A far data dal 2005 si è registrato un cambiamento di prospettiva. In sintonia con quanto previsto in ordinamenti considerati benchmark in termini di efficienza della disciplina concorsuale (Stati Uniti in primis), l’obiettivo è divenuto quello di preservare, laddove possibile, la continuità aziendale e dare maggior corpo al concetto di efficienza allocativa[4]. Sono stati, infatti, introdotti strumenti tesi ad incentivare l’agire tempestivo, come i piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione. È stato, inoltre, profondamente revisionato il concordato preventivo, al fine di potervi accedere già in stato di crisi: momento cronologicamente antecedente a quello dell’insolvenza, alla quale prima era subordinato.

Negli anni successivi, si è proceduto ad un ulteriore affinamento dell’istituto e sono stati enucleati strumenti per la composizione delle crisi da sovraindebitamento, a beneficio dell’imprenditore non fallibile[5].   

Il processo di rinnovamento ha però dovuto confrontarsi con la crisi economica, la quale ne ha condizionato le performance, rendendo la disciplina della gestione della crisi d’impresa a tutt’oggi insoddisfacente.

2. La riforma della crisi di impresa e dell’insolvenza

La legge 19 ottobre 2017, n. 155, recante “Delega al governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza” nasce dall’esigenza di provvedere ad una riforma organica della materia dell’insolvenza e delle procedure concorsuali, derivante dalle modifiche normative che si sono succedute negli ultimi tempi ed in particolare a quella del 2006 della quale si è anzi accennato. Detti interventi hanno mutato notevolmente la normativa di base rappresentata dal regio decreto n. 267/1942, ampliando il divario tra le disposizioni oggetto di innovazione e quelle rimaste invariate[6].   

La Legge Delega riporta tra i propri principi l’introduzione di “procedure di allerta e di composizione assistita della crisi”, prendendo a riferimento le procédures d’alerte francesi[7]. Vengono così delineate nuove procedure stragiudiziali, avviate su impulso: del debitore, dell’organo di controllo (ove esistente) o di alcuni creditori qualificati. L’idea non è di nuovo conio, facendo in qualche misura eco a quanto proposto, nel 2005, nell’ambito dei lavori della c.d. Commissione Trevisanato[8]. Accanto a tale strategia d’azione, la legge delega ne delinea una seconda, di taglio complementare, che poggia sul potenziamento delle regole di governance dell’impresa[9]. L’obiettivo consiste nella maggiore responsabilizzazione dell’imprenditore (e degli organi societari), a fronte del forte incentivo a porre in essere scelte rischiose, che connota la gestione di un’azienda divenuta fragile (c.d. gambling for resurrection)[10].

Le misure condividono il medesimo obiettivo al quale è ispirata la proposta di Direttiva in materia di armonizzazione dei quadri di ristrutturazione preventiva delle imprese, adottata dalla Commissione europea nel novembre 2016[11]. Va infatti rilevato come tale testo faccia genericamente riferimento alla necessità per i Paesi Membri di introdurre “sistemi di allerta”, la cui fisionomia è però indefinita. I contorni labili di tale locuzione consentirebbero ai legislatori nazionali di ragionare su un adeguato “mix” di politiche, che adoperi strumenti ascrivibili sia al diritto societario che alla materia concorsuale. Si spazia, infatti, dalla valorizzazione delle regole di governance sino all’introduzione di nuove procedure stragiudiziali e/o all’affinamento di quelle esistenti[12].

Nel merito dell’attuazione della delega, nel dicembre 2017, il Ministero della Giustizia ha formulato il primo progetto Rordorf, poi modificato ed integrato, come emerso dal testo dello schema di decreto legislativo (c.d. “Schema Rordorf II”) oggetto di deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri in occasione della riunione dell’8 novembre 2018.

Lo schema di decreto legislativo è corredato da una Relazione tecnica, oltre che dall’Analisi tecnico-normativa e dall’Analisi di impatto della regolazione.

Ai fini dell’emanazione del decreto legislativo, in quanto testo unico, si è reso necessario il parere del Consiglio di Stato[13], reso il 12 dicembre 2018.

Come anticipato, l’obiettivo del Codice della Crisi è quello di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali, con due principali finalità: consentire una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese e salvaguardare la capacità imprenditoriale di coloro che vanno incontro ad un fallimento d’impresa dovuto a particolari contingenze[14].

Lo schema di decreto è stato seguentemente sottoposto ai pareri delle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica competenti, resi in data 19 dicembre 2018. Questo sarà ora sottoposto alla deliberazione finale del Consiglio dei Ministri[15]. Il decreto legislativo verrà infine adottato dal Ministero della Giustizia in concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali[16]. 

Tra le principali novità introdotte dal decreto si trova:

– la sostituzione del termine “fallimento” con l’espressione “liquidazione giudiziale”, in conformità a quanto avviene in altri Paesi europei (per esempio Francia e Spagna), al fine di evitare il discredito sociale, anche personale, che storicamente si accompagna a detto termine;

– l’introduzione di una definizione di “stato di crisi”, intesa come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica e mantenendo l’attuale nozione di insolvenza[17];  

– la priorità di trattazione delle proposte che comportino il superamento della crisi, assicurando continuità aziendale;

– l’uniformità e la semplificazione dei diversi riti speciali previsti dalle disposizioni in materia concorsuale;

– l’assoggettamento al procedimento di accertamento dello stato di crisi o insolvenza di ogni categoria di debitore, persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un’attività commerciale, agricola o artigianale, con esclusione dei soli enti pubblici; 

– la riduzione della durata e dei costi delle procedure concorsuali;

– il recepimento, ai fini della competenza territoriale, della nozione definita dall’ordinamento dell’Unione Europea “centro degli interessi principali del debitore”;

– l’istituzione, presso ciascuna camera di commercio, di un Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa, c.d. OCRI[18], con il compito di assistere il debitore nella composizione assistita della Crisi; nonché l’istituzione presso il Ministero della Giustizia di un albo di soggetti destinati a svolgere, su incarico del Tribunale, funzioni di gestione o di controllo nell’ambito delle procedure concorsuali, con indicazione dei requisiti di professionalità, esperienza ed indipendenza necessari all’iscrizione;

– l’armonizzazione delle procedure di gestione della crisi e dell’insolvenza del datore di lavoro con forme di tutela dell’occupazione e del reddito di lavoratori.

Lo schema di decreto attuativo contiene un quadro normativo unitario, recante principi giuridici comuni al fenomeno dell’insolvenza, destinati ad operare come punti di riferimento per le diverse procedure, mantenendo al contempo le differenziazioni necessarie in ragione della specificità delle diverse situazioni in cui l’insolvenza può manifestarsi.

In quest’ottica sono stati dettati i principi generali e sono state definite alcune nozioni di particolare importanza, tra cui la definizione di “Crisi”, la quale non equivale all’insolvenza in atto, ma implica un pericolo di futura insolvenza.

Un elemento di particolare novità è rappresentato, secondo taluni commentatori[19], dal sistema di allerta della crisi, che a sua volta poggia su obblighi organizzativi e di segnalazione. Questi ultimi previsti all’art. 13 dell’emanando Codice della Crisi e dell’Insolvenza, che menziona indicatori della crisi c.d. “significativi”. Nello specifico, costituiscono indicatori di crisi: “gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. Sono indicatori significativi, a questi fini, il rapporto tra flusso di cassa e attivo, tra patrimonio netto e passivo, tra oneri finanziari e ricavi. Costituiscono altresì indicatori di crisi reiterati e significativi ritardi nei pagamenti, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24”[20]. I commentatori che si sono posti su un piano critico nei confronti della suddetta disposizione, sostengono che detti indicatori rechino in sé “un rischio di falsi positivi”[21], ossia di allerta in assenza di una reale situazione di crisi. Detto parere è stato condiviso dalla Commissione della Camera dei Deputata la quale ha come di seguito affermato: “all’articolo 13, gli indicatori significativi ai fini della crisi ivi previsti (rapporto tra flusso di cassa e attivo, tra patrimonio netto e passivo, tra oneri finanziari e ricavi) rischierebbero di risultare inattendibili, essendo preferibile a tal fine il riferimento ad aree di verifica più rilevanti, quali la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi”[22]. Al fine di oggettivare per quanto possibile detti segnali, il secondo comma dell’art. 13, prevede altresì l’elaborazione, da parte del CNDCEC, con cadenza “almeno triennale”, di appositi indici che facciano ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa[23].     

Individuato lo stato di crisi, la riforma prevede l’introduzione di una fase preventiva di allerta, la quale – se negativa od insufficiente al superamento della crisi – può sfociare in una fase di c.d. “Composizione assistita”, funzionale ai negoziati per il raggiungimento dell’accordo con i creditori o, eventualmente, anche solo con alcuni di essi.

Quanto alla procedura di allerta[24], valga evidenziare come gli organi di controllo interno e i revisori, vengano onerati dell’obbligo di segnalazione dell’esistenza degli anzidetti “fondati indizi di crisi” (ex art 14 D.Lgs. Emanando). La segnalazione dovrà essere diretta innanzitutto all’organo amministrativo: onere particolarmente delicato in ragione dell’insita accezione valutativa che richiederà il più alto grado di diligenza professionale[25]. In caso di omessa o inadeguata risposta, o di mancata adozione delle misure necessarie, la segnalazione dovrà essere rivolta all’OCRI, organismo che, ricevute le segnalazioni, dovrà occuparsi della gestione della fase di allerta e di composizione della crisi[26].

Se la procedura di allerta è finalizzata a far emergere tempestivamente la crisi dell’impresa, ricercando, con l’ausilio degli organi di controllo o dello stesso Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa (OCRI) e senza coinvolgere i creditori, una soluzione principalmente mediante l’adozione di misure riorganizzative dell’attività imprenditoriale, diversa è la prospettiva dell’istituto della composizione assistita della crisi[27]. Mediante l’istituto de quo la soluzione viene ricercata per mezzo di una trattativa instaurata su impulso dell’organo gestorio del debitore, con i creditori e favorita dall’intervento dell’OCRI, il quale si pone come una sorta di mediatore attivo tra le due parti.  

Al fine di incentivare gli imprenditori in difficoltà ad avvalersi di detti strumenti è stato delineato un sistema di incentivi, sia di natura patrimoniale – incidenti sulla composizione del debito – sia in relazione alla responsabilità personale dell’imprenditore. Inoltre, nella fase di composizione della crisi in cui vengono esperiti i tentativi di accordo con i creditori, l’imprenditore potrà usufruire (a seguito di giusta richiesta al Tribunale competente) di misure protettive, al fine di impedire o paralizzare eventuali aggressioni del patrimonio da parte dei creditori[28].

Quanto al concordato, viene incentivato il ricorso a quello in continuità: quando cioè la proposta prevede il superamento della crisi o anche dell’insolvenza attraverso il proseguimento dell’attività aziendale, sulla base di un adeguato piano che permetta di salvaguardare il valore dell’impresa e, tendenzialmente, i livelli occupazionali senza penalizzazione dei creditori.

Per le insolvenze di dimensione minore (quelle del consumatore o del piccolo imprenditore sotto la soglia di fallibilità), è introdotta la possibilità di un’esdebitazione di diritto, che non richiede un provvedimento del Giudice, dopo la procedura di liquidazione giudiziale[29].  

3. Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi

Veniamo ora al merito della responsabilità degli organi societari.

Come recentemente rilevato da attenta dottrina, la responsabilità degli amministratori nei confronti della società, dei creditori e dei terzi in genere[30], dipendente dall’inadempimento dei doveri specificamente posti da disposizioni di legge o di statuto ovvero dal generale dovere di amministrare con lealtà e diligenza, assume una più nitida configurazione in occasione della crisi d’impresa[31].

Si manifesta infatti in modo più evidente, nella natura dell’incarico e nelle specifiche competenze degli amministratori, quell’obbligo di diligenza oggettivato dall’art. 2392, comma 1 c.c.[32]

In caso di crisi, la valutazione dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società diviene questione di grande importanza, assumendo al contempo particolare delicatezza[33]. Gli amministratori sono infatti gravati dall’onere di governare la società con un impegno gestorio più oculato, consistente in particolare nella scelta della via da percorrere per affrontare la crisi ed auspicabilmente risolverla.  

In particolare, nel caso in cui le perdite abbiano diminuito il capitale sociale di oltre un terzo, o nel caso in cui questo sia sceso sotto il limite legale, l’amministrazione societaria assume una curvatura liquidatoria[34], data dall’incidenza delle perdite – quali causa di scioglimento – sull’oggetto sociale. Sarà dunque onere degli amministratori provvedere alla gestione conservativa del patrimonio sociale.

La violazione di detto dovere, a cui la disciplina ante 2003 faceva conseguire esclusivamente la responsabilità ed il risarcimento del danno, si deve oggi confrontare con soluzioni di possibile risanamento, finalizzate alla prosecuzione dell’attività d’impresa, enunciate dalla legge 19 ottobre 2017 n. 155 recante “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza” (di seguito anche “Legge Delega”)[35], e realizzate per mezzo del decreto legislativo attuativo, ad oggi approvato in esame preliminare dal Consiglio dei ministri[36].

Nell’angolazione prospettica della crisi d’impresa, le ipotesi di responsabilità degli amministratori possono essere ricondotte a comportamenti essenzialmente consistenti nell’aver:

A. cagionato il danno o aggravato la crisi d’impresa;

B. tardivamente percepito i sintomi di crisi senza ad essi aver reagito tempestivamente;

C. fatto un cattivo uso degli strumenti per fronteggiare o limitare la crisi[37].

In ordine al primo punto, valga sottolineare come tra i doveri che gravano sull’amministratore vi sia quello di curare che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società sia adeguato alla natura ed alla dimensione dell’impresa[38]. A questo dovere allude espressamente l’art. 2381 c.c. che specificamente lo riferisce agli “organi delegati” (comma 5), ossia agli amministratori delegati o al comitato esecutivo, prescrivendo al contempo che l’intero consiglio di amministrazione debba valutarne l’adempimento sulla base delle informazioni fornitegli (comma 3). Ai sindaci compete poi l’onere di vigilare sull’adeguatezza di questi assetti e sulla loro concreta attuazione (artt. 2403, comma 1 e 1409 terdecies, comma 1, lett. c)[39].

Benché detta norma si collochi nella disciplina della società di capitali ed alluda al funzionamento degli organi amministrativi collegiali, è fuor di dubbio che il dovere di curare che la società sia dotata di un assetto organizzativo adeguato costituisca una regola comune, gravante su tutti coloro che sono chiamati ad amministrarla[40]. Si tratta infatti di una norma che esprime il principio generale dell’amministrazione societaria[41], destinato ad operare anche qualora la società non sia dotata di un organo di amministrazione consiliare o non abbia istituito la figura dell’amministratore delegato o del comitato esecutivo.

L’adeguatezza degli assetti societari è nozione essenzialmente relativa, dovendo essere commisurata “alla natura e alle dimensioni dell’impresa” (art. 2381 c.c.), in modo tale da risultare perfettamente modulabile in rapporto alle diverse esigenze di un’impresa media o piccola[42]. Nulla, pertanto, consente di ritenerla estranea od incompatibile con la generica nozione di diligenza richiesta per l’amministrazione, in qualsiasi forma la si attui[43].  

Se dunque è vero che le scelte imprenditoriali dell’amministratore sono insindacabili secondo il principio della business judgement rule, pur se abbiano provocato o concorso ad aggravare la crisi dell’impresa, lo stesso non può dirsi ogniqualvolta tali negative conseguenze siano riconducibili, in tutto o in parte, ad un difetto di organizzazione dell’impresa medesima. Non è la scelta di compiere una determinata operazione imprenditoriale, risultata poi dannosa, a venire in rilievo in questo caso, bensì il fatto che, rispetto a quella scelta, la società non fosse attrezzata adeguatamente sotto l’aspetto organizzativo. L’amministratore è perfettamente libero d’individuare le finalità dell’agire imprenditoriale, ma è tenuto a curare che gli strumenti di cui la società dispone per realizzare quelle finalità siano adeguati allo scopo: sotto il profilo sia dell’organizzazione interna dell’impresa sia, in modo più specifico, dell’idoneità ad assicurare la corretta e veritiera rappresentazione contabile delle operazioni compiute, quale condizione per valutarne costantemente gli effetti e per poterne dare conto[44].  

Nell’ottica della riforma il dovere dell’imprenditore di “istituire assetti organizzativi adeguati” assume una rilevanza ancora più significativa e delicata, nella stretta connessione con l’ipotesi sopra menzionata sub B. (l’aver tardivamente percepito i sintomi di crisi), in funzione della “rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale”, nonché dell’attivazione “per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale” (art. 14, comma 1, lett. b, Legge Delega)[45].  

A tal proposito: la fattispecie di responsabilità dell’amministratore per tardiva percezione della crisi o inadeguata reazione, può configurarsi ove ad un inadeguato assetto o alla mancata adozione dei provvedimenti prescritti dalla legge in presenza di determinati presupposti, non sia seguito un comportamento coerente con il manifestarsi dei sintomi di crisi, così concorrendo all’aggravamento del danno[46].

Gli amministratori devono predisporre strumenti organizzativi che consentano loro di venire a conoscenza dell’avvicinarsi dello stato di crisi o di una situazione di squilibrio finanziario idoneo a sfociare nell’insolvenza[47]. Essi devono cioè, porsi in condizione di esprimere un giudizio sulla continuità aziendale ed essere in grado di constatare se eventualmente sia divenuto impossibile conseguire l’oggetto sociale, a causa della situazione economico-finanziaria dell’impresa, così da accertare tempestivamente il verificarsi della causa di scioglimento consistente nella perdita del capitale sociale[48].

Detta responsabilità non deriva da generiche regole di buona amministrazione, ma da veri e propri doveri giuridici enunciati agli articoli del Codice Civile 2446, 2447 (rispettivamente “riduzione del capitale per perdite” e “riduzione del capitale al di sotto del limite legale”, per le Spa) nonché 2482bis e 2482ter (rispettivamente “riduzione del capitale per perdite” e “riduzione del capitale al di sotto del limite legale”, per le S.r.l.). Gli obblighi di convocare “senza indugio” l’assemblea per gli opportuni provvedimenti e di sottoporle la situazione patrimoniale non appena si sia verificata la perdita di oltre un terzo del capitale sociale ovvero il capitale sia sceso al di sotto del minimo legale, evidentemente presuppongono che l’amministratore sia in grado di rilevare nel più breve tempo possibile il verificarsi di un simile evento e che, dunque, egli abbia avuto cura di predisporre un’organizzazione amministrativa e contabile adeguata a questo scopo[49].

Veniamo ora alla responsabilità conseguente alla perdita del capitale sociale. La riforma societaria del 2003 ha sostituito il previgente divieto di porre in essere nuove operazioni a seguito dello scioglimento della società con due obblighi degli amministratori tra loro concatenati: accertare senza indugio il verificarsi della causa di scioglimento e provvedere ai conseguenti adempimenti pubblicitari, sotto pena di responsabilità verso la società, i creditori[50], i soci ed i terzi (art. 2485 c.c.); e, al verificarsi di una causa di scioglimento, gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, con analoga previsione di responsabilità (art. 2486 c.c.)[51].

La disposizione sembra aver rivalutato il ruolo dell’organo amministrativo cui nella precedente disciplina era fatto divieto di porre in essere qualsiasi nuova operazione. Infatti, una volta accertata la causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di gestione ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, fino alla consegna ai liquidatori prevista dall’art. 2487bis c.c.. In pratica, nel nuovo regime gli amministratori potrebbero anche compiere “nuove operazioni” purché strumentali alla conservazione del valore dell’impresa sociale[52] (in particolare, compiere operazioni di dismissione di beni, continuare l’attività di impresa, dare esecuzione ai contratti in corso). In tal modo, la responsabilità, in caso di violazione, non investe più l’operazione in sé, ma l’eventuale danno che ne discende.

In tal senso valga richiamare, ex plurimis, una  recente decisione[53] che, in ordine alla responsabilità dell’organo amministrativo per violazione dell’art. 2486 c.c., ha statuito che “Gli amministratori rispondono dei danni che siano conseguenza immediata e diretta della loro condotta inadempiente alla stregua delle regole generali in materia di responsabilità contrattuale (artt. 1218, 1223, 1225, 1226 c.c.) e qualora sia evidenziato, quale condotta illecita, il mancato accertamento doloso o colposo della totale erosione del capitale sociale per perdite e la conseguente omissione degli adempimenti di cui all'art. 2485 c.c., è necessario, al fine di qualificare come illegittima l’attività gestionale successiva, dimostrare che questa non sia stata coerente con la finalità conservativa dell’integrità del patrimonio che gli amministratori debbono perseguire in una prospettiva liquidatoria (ex art. 2486 c.c.)”[54].

Da tali disposizioni, in linea con quanto previsto dalla legge fallimentare in tema di bancarotta semplice, sembra potersi ricavare la regola generale dell’illegittimità a proseguire nell’attività d’impresa – se non per finalità meramente conservative – in presenza di situazione di crisi ormai irreversibile. Si potrebbe addirittura affermare che, in siffatta situazione, l’interesse dei creditori, da vincolo all’autonomia della gestione divenga scopo della stessa[55]. 

Il verificarsi di una causa di scioglimento, come l’erosione del capitale per perdite, incide al contempo sull’oggetto sociale, imprimendo alla società una deriva liquidatoria che non manca di riflettersi sui poteri e sui doveri degli amministratori[56]. Recentemente la giurisprudenza di merito[57],  in ordine alla responsabilità degli amministratori per illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa, ha affermato che: “Il comportamento inadempiente posto in essere dagli amministratori con il proseguire dell’attività di impresa dal 2005 alla data in cui tale attività è effettivamente cessata, comporta, dunque, che essi debbano rispondere dei danni che tale comportamento ha causato, da valutarsi sulla scorta della differenza dei netti patrimoniali che la società esponeva alle due differenti date  (…) e sottratto comunque il valore di tutte le componenti negative che si sarebbero realizzate anche se la fase di liquidazione si fosse iniziata il 31.12.2005”. E ancora “Con riguardo alla responsabilità di tutti gli amministratori, non può dubitarsi che l’esistenza dell’occultamento nel bilancio del 2005, attraverso la falsa esposizione di attività inesistenti, del passivo che aveva determinato il verificarsi della causa di scioglimento non poteva essere ignorata dagli allora componenti del consiglio di amministrazione, anche di quelli non specificamente incaricati della redazione del bilancio, in considerazione dell’evidente impossibilità per la società di vantare un credito per premi di acquisto superiore al costo delle merci acquistate, con la conseguenza che, pur dovendosi considerare venuto meno, a seguito della riforma del 2003, il generale obbligo di vigilanza che la precedente giurisprudenza attribuiva anche agli amministratori privi di delega, il mancato rilievo della alterazione contabile e la mancata adozione dei provvedimento conseguenti al verificarsi della causa di scioglimento artatamente occultata non potevano giustificarsi con le informazioni ricevute dagli amministratori operativi e costituiscono, quindi, violazione dell’obbligo di agire informati, che secondo il comune orientamento di giurisprudenza e dottrina, gravano tuttora anche sugli amministratori privi di deleghe”.    

L’art. 182 sexies, L. Fall., stabilisce che gli effetti del verificarsi della causa di scioglimento della società per perdita del capitale, ove sia stata depositata una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, sono sospesi a partire dalla data di deposito della domanda e fino alla relativa omologazione[58]. Ove siffatta domanda non sia stata presentata continua ad applicarsi invece il regime ordinario, in base al quale la perdita di oltre un terzo del capitale sociale e la conseguente discesa di questo al di sotto del limite legale comporta, oltre ai doveri d’immediata convocazione dell’assemblea e di redazione della situazione patrimoniale da parte degli amministratori, di cui si è detto, la drastica alternativa, per la società, tra ricapitalizzazione e liquidazione[59].

La previsione di cui all’art. 182 sexies L. Fall., conformemente all’intento impresso dal legislatore nella Legge Delega, intende favorire, in situazioni di crisi, il ricorso a soluzioni negoziali, ritenute meglio in grado di preservare il residuo valore dell’impresa[60]. Ove posta in essere, l’azione tempestiva genera infatti plurimi benefici apprezzabili oltre che dall’impresa che sperimenta la crisi, anche dai suoi interlocutori negoziali (c.d. stakeholders) e dal sistema economico.

4. La concorrente culpa in vigilando del Collegio Sindacale nella società in crisi

I sindaci, al pari degli amministratori, sono civilmente responsabili dei danni derivanti dagli atti compiuti nell’esercizio del loro ufficio.

Il fulcro argomentativo delle azioni giudiziali promosse avverso i sindaci ruota attorno ai doveri che discendono dalla carica, a mente dell’art. 2403 c.c., il quale dispone, come noto, che “Il Collegio sindacale vigila sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento[61]”.

Il dovere di controllo gravante sui sindaci riguarda non soltanto i singoli atti gestori degli amministratori, quanto l’intero andamento della gestione sociale. L’attività di vigilanza non è infatti rivolta esclusivamente alla tutela dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali. Da ciò consegue che il controllo operato dal Collegio sindacale non è limitato alla mera verifica della correttezza formale dell’amministrazione, ma deve estendersi alla regolarità sostanziale della gestione sociale, così come ricavabile dall’esame della documentazione contabile e dai dati forniti dall’organo amministrativo.

L’attività di vigilanza passa attraverso l’accertamento della regolarità del processo decisionale – ivi compresa la realizzazione di un’adeguata attività istruttoria – nonché dell’assunzione di un livello di rischio che non risulti anomalo rispetto al risk appetite dell’impresa, così come deciso e dichiarato dall’organo gestorio con la definizione degli indirizzi strategici. Resta escluso dall’ambito di vigilanza del collegio sindacale solo il sindacato sul merito e sull’opportunità della gestione in termini di valutazione ex post della redditività e proficuità economica dell’operazione compiuta, trattandosi di apprezzamento che rientra nella discrezionalità dell’organo amministrativo, secondo la business judgement rule[62].

Valga rammentare in proposito la prospettiva della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in merito alla responsabilità dei sindaci, “Ai sensi dell’art. 2403 c.c. il collegio sindacale vigila sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. Inoltre, ove previsto dallo statuto, esercita (altresì) il controllo contabile. La norma pone a carico del sindaco, quindi, obblighi di vigilanza (che è qualcosa in più del controllo demandatogli dalla precedente normativa) relativi all’osservanza, da parte degli amministratori, della legge e dello statuto, nonché della corretta amministrazione, formulazione in cui è compresa, ovviamente, la preservazione del patrimonio sociale rispetto ai comportamenti distrattivi o dissipativi dell’organo gestorio”. Per l’adempimento dei compiti riservatigli dalla legge il collegio sindacale ed ogni suo componente, è titolare di una serie di poteri che lo pongono in condizione di assolvere compiutamente ed efficacemente all’incarico: “esso può, infatti, procedere in ogni momento ad atti di ispezione e controllo, nonché chiedere informazioni agli amministratori su ogni aspetto dell’attività sociale o su determinati affari (art. 2403bis c.c.); inoltre può, e all’occorrenza deve, denunciare al Tribunale le gravi irregolarità commesse dall’amministratore, per consentire all’Autorità giudiziaria di intraprendere le iniziative di sua competenza (art. 2409 , ult. comma, c.c.)”[63].

La violazione dei suddetti obblighi costituisce fonte di responsabilità risarcitoria, quando il danno (per la società, per i soci o per i creditori) non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato e agito in conformità agli obblighi della loro carica. La Suprema Corte ha altresì precisato che per la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci, non è richiesta l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere all’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c.[64]. Ciò in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l’ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o quantomeno a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria[65].    

Sul punto è interessante notare che l’articolo 3.1. delle norme di comportamento del collegio sindacale emanate dal Cndcec, dispone che: “laddove l’attività di vigilanza dovesse evidenziare significativi rischi di possibili violazioni di legge o di statuto, di inesatta applicazione dei principi di corretta amministrazione, di inadeguatezza dell’assetto organizzativo o del sistema amministrativo-contabile, il collegio sindacale richiede all’organo amministrativo l’adozione di azioni correttive e ne monitora la realizzazione nel corso dell’incarico. Nel caso in cui le azioni correttive non vengano poste in essere, ovvero siano ritenute dal collegio non sufficienti, ovvero in casi di urgenza, di particolare gravità o di avvenuto riscontro di violazioni, il collegio adotta le iniziative previste dalla legge per la rimozione delle violazioni riscontrate”[66]. Se dunque, da un lato, il collegio sindacale non può in alcun caso sindacare l’opportunità o la convenienza delle scelte gestorie, dall’altro deve senz’altro vigilare a che l’organo amministrativo non adotti decisioni manifestamente irrazionali, imprudenti, o in contrasto con l’interesse sociale, ponendo in essere anche interventi più incisivi qualora vi sia il concreto rischio che venga arrecato grave pregiudizio all’integrità patrimoniale della società[67].

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che: “I componenti del collegio sindacale concorrono nel delitto di bancarotta commesso dall’amministratore della società anche per omesso esercizio dei poteri – doveri di controllo loro attribuiti dagli artt. 2403 c.c. ss., che non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione degli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali”[68] e che “In tema di responsabilità per bancarotta documentale, l’obbligo di vigilanza dei sindaci e del collegio sindacale non è limitato al mero controllo contabile, ma deve anche estendersi al contenuto della gestione, considerato che la previsione di cui all’art. 2403, comma 1, prima parte c.c. deve essere correlata con i commi terzo e quarto della stessa norma, che conferiscono ai sindaci il potere – dovere di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni” [69].

Il controllo che i sindaci sono tenuti ad effettuare si sostanzia in pratica in una verifica a campione sugli atti, che diventa più analitica tutte le volte che emergano degli indici di pericolosità. In tal senso, le riunioni trimestrali ex art.2404 c.c. rappresentano il dovere minimo gravante sui sindaci (tanto è vero che la norma utilizza il termine “almeno”): il rispetto formale di tale cadenza non li esonera infatti da responsabilità in presenza di condizioni di criticità come quelle qui evidenziate. Il controllo dei sindaci non si esaurisce peraltro in una mera verifica formale, cioè non si riduce ad un riscontro contabile nell’ambito della documentazione messa a loro disposizione dall’amministratore, ma comprende il riscontro della realtà con la sua rappresentazione, nonché il potere-dovere di chiedere, in relazione alle specifiche situazioni, notizie sull’andamento delle operazioni sociali e determinati fatti[70].

Premesso che la distinzione fra poteri e doveri (introdotta dal D.Lgs 6/2003) non attribuisce alcun margine di discrezionalità ai sindaci, atteso che anche l’esercizio dei poteri costituisce attività doverosa, l’unica particolarità consiste nel fatto che, non pronunziandosi la legge sul grado di intensità richiesto per l’esercizio di questi poteri, spetta agli stessi sindaci il compito di valutare, caso per caso, se, quando e come sia necessario porre in essere le descritte condotte, in rapporto alle  singole situazioni concrete ed alla luce del criterio guida della diligenza professionale enunciato dall’art.2407 c.c., ma ciò non vale certamente a qualificare i comportamenti menzionati dalla legge in termini di mere facoltà[71].

In occasione della crisi d’impresa, ove a causa del verificarsi di talune circostanze risulti compromessa la continuità aziendale, le funzioni dell’organo di controllo assumono particolare importanza e delicatezza.

La crisi d’impresa rappresenta, infatti, un segnale di allarme che deve spingere gli organi di controllo della società ad esaminare in maniera ancora più approfondita i rischi dell’impresa vigilata, svolgendo con ulteriore e maggiore cura i correlati doveri di vigilanza e di revisione. È proprio in detta occasione che aumentano le probabilità che vengano adottati comportamenti scorretti dagli amministratori, tesi ad occultare la reale situazione di difficoltà nella quale versa l’impresa attraverso scorrette politiche di bilancio[72].

Nel contesto in esame, il principale postulato da rispettare, affinché l’impresa possa continuare a vivere e creare valore, è il going-concern: ossia la continuità aziendale. Questo costituisce il presupposto fondamentale per la valutazione delle voci di bilancio, da effettuarsi secondo il criterio della prudenza ed in prospettiva della continuità dell’attività aziendale (art.2423bis c.c.). Salve evidenze contrarie, il going-concern si ritiene sussistere qualora l’azienda possa funzionare correttamente per un periodo di almeno dodici   mesi dalla data di chiusura del bilancio (che si presume quella dell’esercizio)[73]. In proposito l’art. 11 delle “Norme di Comportamento del Collegio Sindacale”, sottolinea come competa ai sindaci l’onere di vigilare sull’attività d’impresa, monitorando la permanenza del going concern, al fine di favorire la prevenzione e l’eventuale tempestiva emersione della crisi. Il collegio sindacale dovrà altresì provvedere a sollecitare l’organo amministrativo all’utilizzo degli strumenti di prevenzione della crisi ed emersione della stessa, nonché, all’oculata amministrazione d’impresa in caso di emersione della crisi, vigilando con accuratezza sulla conservazione del patrimonio sociale e limitazione delle perdite[74].

Il dato comune alle diverse pronunce – come noto – è che la responsabilità solidale del collegio sindacale per inosservanza del dovere di vigilanza non richiede l’individuazione di specifici inadempimenti. È sufficiente che l’organo di vigilanza abbia omesso di rilevare evidenti violazioni della legge o dello statuto, o che rilevandole non abbia reagito con sufficiente tempestività, esercitando i poteri che la legge gli riconosce.

Il tema centrale è come applicare detto principio nel contesto dell’insorgenza della crisi, per comprendere quando la situazione possa considerarsi sufficientemente evidente e grave da imporre all’organo di controllo diligente di attivarsi affinché il dissesto non si ampli, ben sapendo quanto critica possa essere la decisione quando alle difficoltà emergenti si contrapponga la rappresentazione da parte degli amministratori di piani di risanamento, ontologicamente incerti[75].

Certamente il collegio sindacale che tolleri l’occultamento delle reali perdite nei bilanci di esercizio, operato con evidenti artifizi contabili come l’esposizione di crediti inesistenti o l’allocazione di avviamenti mai acquisiti, impedendo così che emerga il reale depauperamento del patrimonio e si inneschi l’obbligo di ripianamento o di cessazione della gestione, è solidalmente responsabile con gli amministratori per il danno generato dalla prosecuzione dell’attività. Il collegio, deve infatti reagire alle suddette violazioni convocando l’assemblea e, se necessario, rivolgendosi al tribunale per denunciare le gravi irregolarità riscontrate[76]. Il suo intervento è infatti fondamentale per evitare l’ampliamento del dissesto.

In questo contesto l’inerzia costituisce chiaro inadempimento agli obblighi di vigilanza e comporta la responsabilità per il danno prodottosi[77].

Diversa è la situazione affrontata in un’altra decisione del Tribunale di Roma[78].

All’emersione di pur chiari sintomi di crisi (inadempimento del gruppo agli obblighi restitutori derivanti da un prestito obbligazionario) il collegio assisteva alla predisposizione di un piano di rilancio, che nei mesi successivi falliva per la mancata adesione degli investitori interpellati. Il debitore, rilevata la crisi, depositava domanda di concordato preventivo circa sei mesi dopo l’insorgenza del “sintomo”. Secondo il Tribunale, amministratori e sindaci sono in questo caso solidamente responsabili per gli oneri finanziari maturati in quel periodo, oneri che l’accesso a una procedura concorsuale avrebbe sterilizzato, ma sono anche responsabili in relazione ai compensi corrisposti ai professionisti incaricati di redigere il piano, poi fallito.

Il giudicante ha ritenuto che gli organi amministrativo e di controllo avrebbero, si, dovuto attivarsi al fine di trovare una soluzione allo stato di crisi, ma ricercando lo strumento adatto tra quelli offerti dalla legge fallimentare. Per questo motivo, indipendentemente dalla presenza di piani anche ragionevoli (ma mai certi) di risanamento, l’organo di controllo avrebbe dovuto attivarsi immediatamente richiedendone il ricorso. Tale prospettazione pone in evidenza la sollecitazione a che nell’applicazione pratica abbiano tempestivo impulso le necessarie iniziative in situazioni di crisi, come suggerisce lo spirito della riforma in corso[79].

Nelle due situazioni l’evidenza della gravità assume connotati molto diversi, effetto dell’assenza di una norma di chiusura che indichi in modo univoco il frangente in cui il Collegio Sindacale debba attivarsi per non incorrere nella responsabilità per culpa in vigilando.

In proposito, l’articolo 14 comma 1, del decreto legislativo attuativo approvato dal Consiglio dei Ministri in esame preliminare, ha previsto l’obbligo per gli organi di controllo societari (oltre che per il revisore contabile e le società di revisione, ognuno nell’ambito delle proprie funzioni), di “verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione”, provvedendo a “segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi di crisi”.

Il comma secondo, dispone che la segnalazione debba essere formulata “immediatamente” alla rilevazione degli indizi della crisi, debba essere motivata ed in forma scritta, “a mezzo di posta elettronica certificata o comunque con mezzi che assicurino la prova dell’avvenuta ricezione”. Di particolare interesse il prosieguo del suddetto comma, il quale  al fine di evitare l’aggravarsi della crisi, prevede che in caso di omessa o inadeguata risposta ovvero di  mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle “misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi” il collegio sindacale sia onerato dell’ulteriore e nuovo dovere di informare “senza indugio” l’Organo di Composizione della Crisi, “fornendo ogni elemento utile per le relative determinazioni, anche in deroga al disposto dell’art. 2407 c.c., primo comma c.c. quanto all’obbligo di segretezza”. 

L’articolo prosegue al terzo comma prevedendo, in caso di tempestiva segnalazione, l’esonero dell’organo di controllo dalla responsabilità solidale per le “conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere” dall’organo amministrativo.

Valga evidenziare come la norma, nel tentativo di meglio determinare i confini della responsabilità del collegio sindacale per culpa in vigilando, abbia omesso d’individuare il preciso momento in cui il collegio sindacale debba attivarsi nella denuncia delle crisi aziendali per non incorrere nelle responsabilità conseguenti alla propria inerzia. In relazione al predetto frangente, a tutt’oggi incerto, ed in particolar modo con riferimento alla generica accezione “immediatamente”, è atteso un chiarimento da parte del Legislatore[80].

5. Sulla responsabilità degli istituti di credito

Lo schema di decreto legislativo introduce all’articolo 14 l’obbligo per gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari (di cui all’art 106 TUB), di dare notizia agli organi di controllo societari – se esistenti – delle variazioni, revisioni e revoche degli affidamenti comunicate al cliente. Detti eventi, sono da considerarsi quali “anomalie rilevanti” che devono indurre gli organi di vigilanza e controllo contabile ad avviare le procedure di verifica e, in caso di significativo aumento della probabilità di insolvenza sintomatico di uno stato di crisi di impresa, ad attivare la procedura di allerta[81].

Detta disposizione si pone in continuità con le “Linee Guida per le banche sui crediti deteriorati (NPL)”[82], emanate dalla BCE nel marzo 2017, le quali, al paragrafo 3.6.1 (“Procedura di allerta precoce”) prevedono: “Per monitorare i prestiti in bonise prevenire il decadimento della qualità del credito, tutte le banche dovrebbero disporre di procedure e flussi informativi interni adeguati allo scopo di individuare e gestire potenziali clienti con posizioni deteriorate in uno stadio molto precoce” (c.d. Early Warning System). A tal proposito, le linee guida affidano la gestione operativa delle segnalazioni di allerta sia ad unità operative di back–office, specializzate di monitoraggio e valutazione del rischio (c.d. Credit Risk Management), sia ad unità di front-office e quindi ai singoli gestori di filiale.

La BCE rappresenta inoltre la struttura e la procedura operativa che “suggerisce” di riprodurre nella progettazione un adeguato sistema di allerta, definendola in tre passaggi[83]:

I. è necessario, in primo luogo, individuare adeguati indicatori (comportamentali, andamentali e contabili) capaci di intercettare efficientemente anomalie rilevanti e sintomatiche dell’iniziale stato di crisi dell’impresa e del rischio d’insolvenza;

II. individuati detti elementi, la banca, per mezzo di unità interne, dovrà provvedere alla valutazione della situazione finanziaria dell’impresa, nonché delle possibili cause e circostanze relative alle anomalie evidenziate. Detti elementi dovranno poi essere sottoposti all’attenzione del cliente ed eventualmente vagliate con i principali creditori;

III. è infine prevista la definizione di adeguate misure e soglie di allerta o misure sintetiche di rischio su base probabilistica, superate le quali la Banca dovrà procedere alla segnalazione all’autorità di vigilanza.

È evidente come la suddetta procedura si adatti perfettamente alle esigenze segnaletiche e di monitoraggio preventivo prospettate dall’articolo 14 del decreto attuativo[84].

Tornando al merito della riforma, valga sottolineare come gli istituti di credito onerati dei suddetti obblighi siano conseguentemente assoggettati, in caso di mancata o inidonea informazione, alla relativa responsabilità. Infatti, se da un lato è vero che non può essere imputata alcuna responsabilità alla banca per la mala gestio dall'impresa affidata, ovvero per l’inerzia dei suoi organi amministrativi in presenza di anomalie rilevanti e sintomatiche di crisi[85], è pure vero che, attraverso gli obblighi di informazione cui sono onerate, le banche sono conseguentemente obbligate ad allertare gli organi di controllo societari dell’eventuale deterioramento della posizione creditizia[86]. In difetto l’istituto di credito diviene responsabile per essere venuto meno ad un proprio specifico obbligo e, come evidente, le conseguenze di tale inadempimento, ben possono essere risarcitorie. La mancata trasmissione della notizia da parte degli istituti di credito si va dunque ad inserire nella catena causale che può condurre all’aggravio della posizione debitoria e dunque del danno.

Immediata è l’analogia con i lineamenti della responsabilità concorrente dei sindaci, come sopra tracciati: non si tratta in sé di condotta immediatamente causativa del danno, ma di iniziativa dalla cui mancata adozione si possono verificare, a valle, conseguenze pregiudizievoli.

In questo quadro, l’obbligo di informazione assume ancora maggior rilievo in considerazione della fattispecie di potenziale concorso della banca nella responsabilità dell’organo amministrativo per gli illeciti ad esso ascrivibili, segnatamente per la c.d. concessione abusiva del credito. L’obbligo di informazione impone infatti alla banca di adottare una condotta vieppiù proba e dunque, in presenza di fatti meritevoli di segnalazione, di attentamente ponderare la sussistenza dei requisiti per concedere credito al debitore in modo virtuoso.

Sussistendo i presupposti per allertare gli organi di controllo, una concessione indiscriminata di credito si presterebbe ad una interpretazione necessariamente patologica, operando come una sorta di presunzione del carattere illecito di tale condotta[87].

Tutto ciò induce a ritenere che, al di là di forme di finanziamento di scopo (la c.d. “finanza ponte”) nell'ambito di misure di forbearance creditizio con l’impresa, opportunamente formalizzate in un piano di risanamento o ristrutturazione, la banca potrà essere considerata responsabile per concessione abusiva del credito ovvero per concorso in bancarotta semplice qualora, resi noti gli indizi che preludono l’insolvenza e dunque lo stato di crisi (c.d.“early warning”) implicitamente proceda poi ad incrementare i suoi affidamenti non con finalità di risanamento o ristrutturazione, e quindi sulla base di un piano presentato dall'impresa debitrice, ma con l’unico fine di “ritardare” l’inadempienza od “occultare” errate decisioni di affidamento[88].

Viene quindi confermato dal nuovo codice sulla crisi d’impresa e l’insolvenza, così come recentemente sostenuto[89] che la concessione abusiva del credito, rappresenta un inadempimento contrattuale che arreca un danno di natura economica a tutti i terzi creditori per effetto dell'espansione e dall'aggravamento della situazione debitoria e ciò in quanto, nei confronti delle imprese concorrenti e dei creditori, la concessione abusiva crea un’errata convinzione circa la favorevole situazione finanziaria del cliente occultando il suo reale stato di insolvenza e molto spesso aggravandolo sensibilmente.

In questo assetto dunque la responsabilità degli istituti di credito si declina ai seguenti titoli:

– responsabilità contrattuale della banca, fondata sul rapporto contrattuale e/o sul “contratto sociale” e/o sugli obblighi di buona fede/correttezza insorti tra la società decotta e la banca stessa;

– responsabilità extracontrattuale della banca (art. 2043 c.c.), fondata sul fatto illecito costituito dall’irregolare somministrazione di credito bancario alla società decotta;

– concorso della banca (art. 2055 c.c.), tramite i suoi funzionari, nella responsabilità civile ex art. 146 L. Fall. degli ex amministratori ed ex sindaci;

– concorso della banca, responsabile civile per l’operato dei propri funzionari ex artt. 185 c.p. e 2049 c.c., nella responsabilità penale degli ex amministratori ed ex sindaci, per bancarotta semplice per aggravamento del dissesto (art. 217, n. 4 L. Fall) e ricorso abusivo al credito (art 218 L.Fall.)[90];

– ed, infine, responsabilità della banca per omessa o carente informazione agli organi di controllo societari delle variazioni, revisioni e revoche degli affidamenti comunicate al cliente.

Alla luce di quanto innanzi si può affermare come gli obblighi informativi che la riforma introduce si pongano in sostanziale continuità a quanto affermato da autorevole dottrina in tema di concessione abusiva del credito[91]. Quest’ultima propone infatti di configurare la responsabilità mediante un duplice passaggio consistente nell’affermazione, a carico della banca, di un generico principio di imposizione di comportamento protettivo di interessi altrui[92] – il quale viene con la riforma esplicitato e meglio determinato – e  l’individuazione di una serie di norme dell’ordinamento che enucleano (come particolare “ragione dell’ingiustizia”) una regola contraria all’artificioso mantenimento in vita dell’impresa ormai definitivamente decotta[93], principio al quale il Legislatore si è indubbiamente ispirato nell’individuazione dei principi di cui alla Legge Delega.

Si va dunque conseguentemente rafforzando ed intensificando il controllo che la banca dovrà eseguire preventivamente all’erogazione del credito, come sostiene chi [94]  ha rilevato che nei rapporti con l’impresa, la banca, allorché procede a valutare se erogare credito, in ottemperanza al c.d. rating interno, deve, in particolare: (i) verificare che sussista la continuità aziendale per l’intera durata del finanziamento; (ii) vagliare la situazione del cliente – il suo merito di credito – indipendentemente dalle garanzie che egli propone; (iii) vagliare il merito di credito del cliente del tutto prescindendo da eventuali opinioni espresse dalle agenzie di rating. È considerata abusiva la concessione di credito ad un imprenditore che la banca sapeva, o avrebbe dovuto sapere, essere insolvente, non semplicemente in crisi[95].  

Le prescrizioni contenute nell’art. 14 del Codice della Crisi, si pongono dunque in totale sintonia con quanto previsto dalla legge fallimentare in tema di bancarotta semplice[96] e di ricorso abusivo al credito[97], esprimendo con chiarezza la riprovazione dell’ordinamento verso condotte dirette a prolungare artificialmente la vita dell’impresa insolvente[98].

In questo senso, in quanto finalizzata a precostituire i presupposti giuridici e quindi esimenti per una rapida soluzione della crisi, la prescrizione dell’emanando decreto legislativo, il quale sollecita le imprese ad utilizzare uno degli strumenti di risoluzione della crisi previsti dal Titolo IV, se del caso anche con il supporto e la consulenza del sistema bancario. In quanto soggetti professionali e indubbiamente privilegiati nella gestione delle informazioni sensibili, le banche e le altre istituzioni finanziarie che hanno concorso a finanziarie l’impresa in crisi, devono infatti poter “prendere parte” e “cooperare” nei processi di risanamento, non potendo al contempo sottrarsi ad eventuali responsabilità rispetto ai terzi derivanti da un improprio o distorto utilizzo dei dati in loro possesso[99].

Come accennato, l’aggravio di responsabilità posto dalla riforma in capo agli istituti di credito, deriva senz’altro dalla migliore conoscenza da parte degli operatori professionali della situazione finanziaria ed economica dell’imprenditore, dovendosi conseguentemente richiedere loro maggiore precisione e puntualità nella diagnosi della decozione. L’istituto di credito, quale portatore di informazioni sensibili e privilegiate, sia andamentali (dinamica dei conti correnti e utilizzo dei fidi) che economico – finanziarie (grazie alle loro procedure di monitoraggio del rischio di credito, c.d. early warming system), nonché dei modelli interni di rating (IRB), è certamente il soggetto che più di tutti può avere informazioni precise e aggiornate, divenendo un informatore di fondamentale importanza ai fini della tempestiva attivazione delle procedure di allerta e della conseguente adozione di misure correttive idonee a risolvere la crisi ed impedire lo stato di insolvenza[100].

D’altra parte, da questo maggior potere discende inevitabilmente un più vasto margine di imputabilità a titolo di responsabilità civile (sotto il profilo dell’elemento soggettivo): difficilmente la banca potrà dire che non era a conoscenza della condizione di insolvenza del suo cliente, col quale ha continuato a contrattare. Così ragionando, si andrebbe a configurare, in definitiva, una sorta di oggettivazione della responsabilità dell’istituto di credito.

È dunque, ancora una volta, confermato l’intento perseguito dalla riforma, consistente nel garantire una maggiore e tempestiva informazione in merito alla situazione di crisi di una società, con l’ulteriore implicito effetto di ostacolare lo smodato utilizzo dello strumento della concessione del credito alle società decotte, con conseguente (auspicata) diminuzione dell’illecito finanziamento abusivo[101] e delle conseguenze che ne derivano.

Si sottolinea infine come le disposizioni introdotte con la riforma abbiano l’ulteriore effetto di impedire agli Istituti di Credito di influire sulle scelte dell’imprenditore, indirizzandole verso soluzioni che consentano, in primo luogo, alla banca di rientrare dall’esposizione, in spregio alla par condicio creditorum, prorogando al contempo la decozione ad una data tale da non consentire la revocatoria. A conseguenza di ciò, lo stato di crisi non è più soggetto alla gestitone segreta dalla banca, andandosi necessariamente ad inserire nei canali istituzionali di risoluzione previsti dalla riforma.



[1] Direttiva 2012/30/UE, rinvenibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52016PC0723

[2] Cfr. E. Brodi, Tempestiva emersione e gestione della crisi d’impresa. Riflessioni sul disegno di un efficiente “sistema di allerta e composizione”, in Questioni di Economia e Finanza –  Occasional Papers Banca d’Italia, n. 440, giugno 2018, 5 ss., rinvenibile all’indirizzo: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3212650

[3] Ibidem.

[4] Per un approfondimento in merito sia consentito rinviare a M. J. Roe, Three Ages of Bankruptcy, disponibile all’indirizzo https://ssrn.com/abstract=2871625

[5] Cfr. E. Brodi, Tempestiva emersione e gestione della crisi d’impresa. Riflessioni sul disegno di un efficiente “sistema di allerta e composizione”, Op. Cit.

[6] Cfr. Parere del Consiglio di Stato n. 02854/2018 del12.12.2018, consultabile all’indirizzo: http://news.ilcaso.it/news_5654/14-12-18/Codice_della_crisi_di_impresa_e_dell-insolvenza-_il_Parere_del_Consiglio_di_Stato

[7] Loi n. 84-148 del 18 marzo 1984 e successive modifiche. Per una descrizione delle procedure e dell’evoluzione storica della relativa disciplina, sia consentito rinviare a A. Jorio, Legislazione francese, Raccomandazione della Commissione Europea, e alcune riflessioni sul diritto interno, in Il Fallimento, 2015, 1070 ss.

[8] La Commissione fu costituita con D.M. 28 novembre 2001 “Commissione per l’elaborazione di principi e criteri direttivi di uno schema di disegno di legge delega al Governo, relativo all’emanazione della nuova legge fallimentare ed alla revisione delle norme concernenti gli istituti connessi”.

[9] Cfr. E. Brodi, Tempestiva emersione e gestione della crisi d’impresa. Riflessioni sul disegno di un efficiente “sistema di allerta e composizione”, Op. Cit.

[10] Ibidem.

[11] Direttiva 2012/30/UE, rinvenibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52016PC0723

[12] Cfr. E. Brodi, Tempestiva emersione e gestione della crisi d’impresa. Riflessioni sul disegno di un efficiente “sistema di allerta e composizione”, Op. Cit.

[13] Art. 17, comma 25, lettera a), L. 127/1997.

[14] Cfr. La Redazione, Riforma della crisi di impresa: approvato in via preliminare il decreto che introduce il nuovo Codice, in Il Fallimentarista, 09.11.2018.

[15] Cfr. Parere del Consiglio di Stato n. 02854/2018 del12.12.2018, Cit., 4 ss.

[16] Ibidem.

[17] Ibidem.

[18] Cfr. G. Negri, Nella riforma dei fallimenti centrale l’anticipo dell’insolvenza, inQuotidiano del Fisco – Il Sole24 Ore Norme & Tributi, 08.11.2018.

[19] Cfr. R. Ranalli, Il Codice della Crisi. Gli “indicatori significativi”: la pericolosa conseguenza di un equivoco al quale occorre porre rimedio, in Il Caso.it, 12 novembre 2018.

[20] Art 13, comma 1, Schema di Decreto Legislativo c.d. Rordorf II.

[21] R. Ranalli, Il Codice della Crisi. Gli “indicatori significativi”: la pericolosa conseguenza di un equivoco al quale occorre porre rimedio, Op. Cit., 1 ss.

[22] Il testo del parere è rinvenibile al seguente indirizzo: http://www.camera.it/leg18/682?atto=053&tipoAtto=Atto&idLegislatura=18&tab=2

[23] Ibidem.

[24] Artt. 12 – 15 Schema di decreto Legislativo recante Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza, approvato dal Consiglio dei Ministri in esame preliminare e corrispondente allo Schema Rordorf II.

[25] Cfr. D. U. Santosuosso, Nelle S.r.l. si amplia l’obbligo dell’organo di controllo, in il Sole 24 ore, 11.11.2018.

[26] Ibidem.

[27] Artt. 19 – 23 dell’emanando decreto legislativo.

[28] Cfr. M. Greggio, Relazione illustrativa, http://www.greggio.eu/wp-content/uploads/2018/10/Relazione-illustrativa-schema-dlgs-crisi-impresa-insolvenza.pdf

[29] Ibidem.

[30] Nelle Spa rispettivamente ai sensi degli articoli 2393 e 2393 bis c.c., degli articoli 2394 e 2394bis c.c. e, in relazione all’azione individuale, dell’arti. 2395 c.c. e analogamente nelle S.r.l., ai sensi degli articoli 2476, 2485 e 2486 c.c. (questi due ultimi valevoli anche per le S.p.a.).

[31] Cfr. A. Patti, Crisi d’impresa e responsabilità degli amministratori di società, in Il Fallimento, 2/2018, 129 ss.

[32] Cfr. G. Bozza, Diligenza e responsabilità degli amministratori di società in crisi, in Il Fallimento, 2014, 1098 ss.

[33] Ex art. 2381, commi 3 e 4 c.c.

[34] Cfr. R. Rordorf,Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Le Società, 2013, 669 ss.

[35] Legge 19 ottobre 2017, n. 155, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 30 ottobre 2017, n. 254. Il testo poggia in larga parte sullo schema di Disegno di Legge Delega elaborato dalla c.d. Commissione Rordorf, costituita presso l’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia con provvedimento del 28 gennaio 2015. Il testo della legge è rinvenibile al seguente indirizzo: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/10/30/17G00170/sg.

[36] Si veda in proposito il comunicato stampa del governo datato 8 novembre 2018, rinvenibile al seguente indirizzo: http://www.governo.it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-26/10291

[37] Cfr. R. Rordorf,Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, Op. Cit., 669 ss.

[38] Per un approfondimento in merito sia consentito rinviare a R. Rordorf, I criteri di attribuzione della responsabilità. I modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire i reati, in Le Società, 2001, 1299; G. Riolfo, Il sistema monistico nelle società di capitali e cooperative, Vol. 53, Wolters Kluwer Italia, 2010.

[39] Cfr. R. Rordorf,Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, Op. Cit., 669 ss.

[40] Cfr. A. Patti, Crisi d’impresa e responsabilità degli amministratori di società, Op. Cit., 129 ss.

[41] Cfr. P. Abbadessa, Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, in Il nuovo diritto delle società, Milano, 2/2007, 493, il quale afferma nello specifico come già prima della riforma del 2003 “non poteva certo dubitarsi che nell’obbligo di amministratore diligente rientrasse anche quello di curare che la società fosse provvista di un assetto organizzativo adeguato”.

[42] Cfr. A. Patti, Crisi d’impresa e responsabilità degli amministratori di società, Op. Cit., 129 ss.

[43] Per un approfondimento in merito, sia consentito rinviare a R. Mangano, La responsabilità degli amministratori di S.r.l. Dalla diligenza del mandatario alla ragionevolezza delle scelte gestionali, Vol. 28, Giuffrè Editore, 2011; G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, Vol. 1, Giuffrè Editore, 2010.

[44] Cfr. ODCEC Pisa, Commissione studio – Diritto Societario, La responsabilità degli organi sociali e la crisi d’impresa, 26 ss., rinvenibile all’indirizzo: http://www.odcecpisa.it/images/odcec/documenti/commissioni/societario/RELAZIONE.pdf

[45] Si riporta di seguito il testo il testo dell’Art. 14, comma 1, lett. b, L. n. 155/2017: “il dovere dell'imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

[46] Cfr. A. Patti, Crisi d’impresa e responsabilità degli amministratori di società, Op. Cit., 129 ss.

[47] Cfr. R. Rordorf,Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, Op. Cit., 670 ss.

[48] Ibidem.

[49] Cfr. ODCEC Pisa, Commissione studio – Diritto Societario, La responsabilità degli organi sociali e la crisi d’impresa, Op. Cit., 27.

[50] Per un approfondimento in merito sia consentito rinviare a A. Zoppini, Emersione della crisi e interesse sociale (spunti dalla teoria dell’emerging insolvency), in Jus Civile, n. 2/2014, 59, http://www.juscivile.it/contributi/2014/04_%20Zoppini.pdf

[51] Cfr. R. Rordorf,Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, Op. Cit., 672.

[52] Cfr. M. Di Bari, I nuovi atti costitutivi di Spa e Srl, Halley Editrice, Matelica (MC), 2005, 125. In merito si veda anche B. Frizzera, C. Odorizzi, Guida alla riforma delle società, Milano, 2003, 297,

[53] T. Bologna, sent. n. 375 del 6/02/2018.

[54] In tal senso anche la pronuncia del Tribunale Napoli, sez. VII, 12/04/2011, (ud. 12/04/2011, dep.12/04/2011), ove si afferma: “gli amministratori hanno il dovere di accertare "senza indugio" il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere agli adempimenti anche pubblicitari conseguenti: in caso di omissione o ritardo, infatti, gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi (art. 2485 c.c.).

Inoltre, al "verificarsi" di una causa di scioglimento, gli amministratori, fino alle consegne ai liquidatori, conservano il potere-dovere di gestire la società, ma ai soli fini di conservare l'integrità ed il valore del patrimonio sociale e sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi per gli atti e le omissioni compiute in violazione della suddetta norma (art. 2486 c.c.).

Come si vede, pur a fronte di una profonda modifica in ordine agli effetti dello scioglimento della società, che conseguono esclusivamente alla pubblicazione sul registro delle imprese delle deliberazioni di accertamento (art. 2484, comma 3°, c.c.), anche nella disciplina introdotta dalla riforma gli amministratori hanno il dovere di:

– accertare senza indugio, anche in virtù degli assetti organizzativi e contabili che hanno l'obbligo di istituire e/o controllare (art. 2381 c.c.), la verificazione di una causa di scioglimento;

– gestire l'impresa, dopo la verificazione di una causa di scioglimento (che abbiano conosciuto o avrebbero dovuto conoscere con l'ordinaria diligenza), al solo fine di conservare l'integrità ed il valore del patrimonio sociale, astenendosi, quindi, dal compiere atti od operazioni che non siano funzionali a tale obiettivo.

In difetto, a norma degli artt. 2485 e 2486 c.c., gli amministratori – che abbiano conosciuto la causa di scioglimento (ad es., dopo la redazione del progetto di bilancio che esponga in modo espresso l'esistenza di perdite rilevanti) o che l'abbiano volontariamente occultata (ad es., dopo la redazione di un progetto di bilancio che falsamente non esponga la verificazione di perdite rilevanti) ovvero avrebbero potuto diligentemente conoscerne la verificazione (ad es., per l'irregolare tenuta delle scritture contabili ovvero per la mancata predisposizione di adeguati servizi contabili o il mancato controllo sulla loro adeguatezza) – sono personalmente e solidalmente responsabili, oltre che verso i singoli terzi (artt. 2485, comma 1°, e 2486, comma 2°, c.c.) che hanno contratto (con la società: art. 2380 bis c.c.) la stipulazione degli atti vietati (ai suoi amministratori, che li abbiano compiuti con dolo o colpa), per il danno (diretto) subito e corrispondente, nel quantum, alla prestazione non ricevuta dalla società debitrice, anche nei confronti:

– della società (artt. 2392, 2393, 2485, comma 1°, in fine, e 2486, comma 2°, c.c.), trattandosi di inadempimento doloso o colposo a doveri giuridici (art. 2485, comma 1°, all'inizio, e 2486, comma 1°, c.c.) previsti dalla legge anche (e soprattutto) nell'interesse della stessa, per i danni cagionati al suo patrimonio;

– dei creditori sociali (artt. 2485, comma 1°, e 2486, comma 2°, c.c.), trattandosi di inadempimento doloso o colposo a doveri giuridici (art. 2485, comma 1°, e 2486, comma 1°, c.c.) previsti dalla legge (anche) a tutela dell'integrità del patrimonio della società debitrice (art. 2394, comma 1°, c.c.), se e nella misura in cui il patrimonio della società debitrice sia stato depauperato e reso insufficiente alla loro completa soddisfazione (art. 2394, comma 2°, c.c.), per il danno (riflesso) subito dagli stessi e corrispondente alla prestazione non ricevuta dalla società debitrice.

Anche a seguito della riforma, quindi, il compimento da parte degli amministratori dopo lo scioglimento della società di atti non funzionali alla conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale, dà senz'altro luogo a responsabilità personale degli stessi (non solo nei confronti del terzo contraente, ma anche) nei confronti della società e dei creditori sociali (in solido con i componenti degli organi di controllo che colpevolmente non l'abbiano impedito), quando abbia provocato un danno al patrimonio sociale ovvero l'abbia reso insufficiente alla soddisfazione dei creditori sociali”.

[55] Cfr. A. Patti, Crisi d’impresa e responsabilità degli amministratori di società, Op. Cit., 131.

[56] Cfr. R. Rordorf,Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, Op. Cit., 672.

[57] T. Roma, Sez. XVI Civ specializzata in materia di impresa, sent. N. 3028/2018, pubbl. 09.02.2018.

[58] Cfr. A. Nigro, Riduzione o perdita del capitale della società in crisi, in Il Caso.it, 14 aprile 2014, rinvenibile all’indirizzo: http://www.ilcaso.it/articoli/421.pdf

[59] Cfr. R. Rordorf,Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, Op. Cit., 672.

[60] Cfr. A. Patti, Crisi d’impresa e responsabilità degli amministratori di società, Op. Cit., 134.

[61] Tali obblighi assumono carattere centrale nell’attività del sindaco: a latere degli stessi, tuttavia, la legge stabilisce una serie di obblighi a carattere, per così dire, procedurale ed operativo, statuendo che il Collegio sindacale deve riunirsi ogni trimestre, anche mediante mezzi di telecomunicazione, con previsione che il sindaco che senza giustificato motivo non partecipi a due riunioni del collegio decade d’ufficio dall’incarico (art. 2404 cod. civ.). I sindaci sono altresì chiamati ad assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione, alle assemblee e alle riunioni del comitato esecutivo, a pena di decadenza dell’incarico ove non partecipino a due riunioni consecutive (art. 2405 c.c.).

[62] Cfr. G. Gasparri, I controlli interni nelle società quotate, in Quaderni Giuridici Consob, 2013, 37 ss. Per un approfondimento in merito si veda anche M. Cavanna, E. Fregonara, M. Spiotta, A. Monteverde, G. Policaro, Diritto del governo delle imprese, G. Giappichelli Editore, Torino, 2016, 244 ss.

[63] Cass. Civ. 44107 del 4.10.2018

[64] Cass. Civ. 16314 del 03/07/2017

[65] Cfr. Cass. Sent. n. 44107/2018, dep. 04.10.2018. Allo stesso modo anche il T. Roma, Sez. XVI Civ specializzata in materia di impresa, sent. n. 3028/2018, pubbl. 09.02.2018, secondo la quale: “In tema di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2 c.c. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fonte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c.

[66] Cfr. A. Solidoro, M. Rosmino, Il sistema dei controlli societari: funzioni e profili di responsabilità del collegio sindacale alla luce della riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Crisi e risanamento n. 25/2017, rinvenibile all’indirizzo http://www.studiosolidoro.it/wp-content/uploads/2018/04/Nuovo-testo-Crisi-dimpresa-parte-1.pdf

[67] Si consideri, a titolo esemplificativo, il potere del collegio sindacale di convocare l’assemblea qualora nell’espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere (art. 2406 c.c., co. 2); il potere di denuncia al tribunale qualora vi sia il fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione (art. 2409 c.c., co. 7). Si veda in giurisprudenza, Cass. Pen., sez. V, 14 gennaio 2016, n. 18985, per cui “i componenti del collegio sindacale concorrono nel delitto di bancarotta commesso dall'amministratore della società anche per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti dagli artt. 2403 c.c. ss., che non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell'interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali”.

[68] Cass. Pen., sez. V, n. 18985, 14.01.2016

[69] Cass. Pen., sez. V. n. 17393, 13.12.2006    

[70] Cfr. A. Solidoro, M. Rosmino, Il sistema dei controlli societari: funzioni e profili di responsabilità del collegio sindacale alla luce della riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Op. Cit. Per un approfondimento in merito sia altresì consentito rinviare a F. Cossu, L'indipendenza del collegio sindacale e del revisore contabile, Giuffrè Editore, Milano, 2006; G. Caselli, Elogio, con riserve, del collegio sindacale, in Giur. Comm., n. 251/2003, M. Fratini, G. Bascheretti, Le società di capitali, Giuffrè, Milano, 2010, 435, L. Benatti, Commento sub artt. 2397-2408, in A. Maffei Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Cedam, Padova, 2007, 718 ss.

[71] Cfr. A. Bertolotti, Società per azioni. Collegio sindacale. Revisori. Denunzia al tribunale, Utet Giuridica, Torino, 2015.

[72] Cfr. U.N.G.D.C.E.C – Commissione per il Collegio Sindacale, Il collegio sindacale nella crisi d’impresa, rinvenibile all’indirizzo http://www.ugdcec.na.it/media/news/1/125/attach/Crisi_dimpresa_ungdcec.pdf

[73] Cfr. M. Maffei, Il principio della continuità aziendale e il controllo della sua corretta applicazione, Giappichelli Editore, Torino, 2017, 12 ss.

[74] Ibidem.

[75] Cfr. C. Ceradini, Crisi aziendali, da chiarire il momento in cui i sindaci devono intervenire, in il Sole 24 Ore – Guida al Diritto, 05.11.2018, rinvenibile al seguente indirizzo: http://quotidianodiritto.ilsole24ore.com/art/civile/2018-11-02/crisi-aziendali-chiarire-momento-cui-sindaci-devono-intervenire–155441.php?uuid=AExUx2ZG

[76] Si veda in merito G. Muscolo, La legittimazione dei sindaci delle spa quotate alla denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., in Società, 1998; R. Rordorf, Il nuovo sistema dei controlli sindacali nelle società per azioni quotate, in Il Foro Italiano, n. 7-8/1999, 237 ss.; R. De Ruvo, Sindaci e revisori. Doveri, poteri e responsabilità, Giuffrè Editore, Milano, 2011.

[77] Corte d’Appello di Napoli, 3 luglio 2018; Tribunale di Roma, 9 febbraio 2018.

[78] Tribunale di Roma, 28 Dicembre 2017.

[79] Cfr. C. Ceradini, Crisi aziendali, da chiarire il momento in cui i sindaci devono intervenire, Op. Cit.

[80] L’articolo 388 del decreto attuativo, rubricato “entrata in vigore” prevede infatti una notevole durata della vacatio legis, pari a diciotto mesi, decorrenti dalla pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale. Si è evidentemente ritenuto opportuno, non soltanto consentire ad interpreti ed operatori di impratichirsi con le nuove norme, ma anche lasciare a disposizione del Legislatore un adeguato intervallo temporale per introdurre eventuali disposizioni correttive/integrative prima della concreta applicazione a regime del Codice. Cfr.F. Lamanna, Il Codice concorsuale in dirittura d’arrivo con le ultime modifiche ministeriali al testo della Commissione Rordorf (II), in Il Fallimentarista, 17 ottobre 2018.

[81] Cfr. M. Talone, La riforma che verrà …è arrivata! Il ruolo e la responsabilità delle banche nelle procedure d’allerta, rinvenibile all’indirizzo: https://www.linkedin.com/pulse/la-riforma-che-verr%C3%A0-%C3%A8-arrivata-il-ruolo-e-delle-banche-talone/

[82] Il testo è rinvenibile all’indirizzo: https://www.bankingsupervision.europa.eu/ecb/pub/pdf/guidance_on_npl.it.pdf

[83] Cfr. M. Talone, Nei sistemi di allerta precoce vince il gioco di squadra tra sindaci, revisori e banche, 8 agosto 2018, rinvenibile al seguente indirizzo: https://www.linkedin.com/pulse/nei-sistemi-di-allerta-precoce-vince-il-gioco-squadra-massimo-talone/

[84] Ibidem.

[85] Valga a tal proposito rammentare il disposto dell’art.12 punto 3 del codice della crisi, “L’attivazione della procedura di allerta da parte dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, nonché la presentazione da parte del debitore dell’istanza di composizione assistita della crisi di cui all'articolo 16, comma 1, non costituiscono causa di risoluzione dei contratti pendenti, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni, né di revoca degli affidamenti bancari concessi. Sono inefficaci i patti contrari”.

[86] Cfr. M. Talone, La riforma che verrà …è arrivata! Il ruolo e la responsabilità delle banche nelle procedure d’allerta, Op. Cit.

[87] G. AMATO “Abusiva concessione del credito: la Banca responsabile in solido con gli amministratori dell’impresa fallita”, in Diritto Bancario, 15 giugno 2017, rinvenibile all’indirizzo: http://www.dirittobancario.it/giurisprudenza/credito/abusiva-concessione-del-credito-la-banca-responsabile-solido-con-gli-amministratori

[88] Ibidem.

[89] Ibidem.

[90] In tal senso sia consentito citare la Cassazione 1 giugno 2010 n. 13413, per la quale, in caso di fraudolenta collusione tra debitore e funzionario di banca, l’istituto di credito è stato considerato in sede civile “terzo responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita per effetto dell’abusivo ricorso al credito da parte dell’amministratore della società stessa”.

[91] In tal senso A. Nigro, La responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, in Giurisprudenza Commerciale, 1978, 238 ss.; F. Di Marzio, Abuso nella concessione del credito, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2004; B. Inzitari, Le responsabilità della banca nell’esercizio del credito: abuso nella concessione e rottura del credito, in B.B.T.C. n.1/2001, 265; A. Viscusi, Profili di responsabilità della banca nella concessione del credito, Milano, 2004, 119 ss.

[92] A. Viscusi, Profili di responsabilità della banca nella concessione del credito, Op. cit., 119. In merito sia consentito rinviare anche a D. Maffeis, Molteplicità delle forme e pluralità di statuti del credito bancario nel mercato globale e nella società plurale, in Le nuove leggi civili commentate, Vol. 35, n. 4/2012, 727 ss.

[93] Ibidem.

[94] D. Maffeis, Molteplicità delle forme e pluralità di statuti del credito bancario nel mercato globale e nella società plurale, Op. Cit., 742.

[95] Per un approfondimento in merito sia consentito rinviare anche a M. Arato, La responsabilità della banca nelle crisi d’impresa, in Fall., 2007, 253 ss.; E. Simonetto, I contratti di credito, Cedam, Padova, 1994, 248; G. AMATO “Abusiva concessione del credito: la Banca responsabile in solido con gli amministratori dell’impresa fallita”, Op.cit..  

[96] Art. 217 L. Fall., il quale indica quali condotte delittuose l’aver “compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento” e l’aver “aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento”.

[97] Art. 218 L. Fall., il quale sanziona i rappresentanti della società che “ricorrono o continuano a ricorrere al credito (…) dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza”.

[98] Cfr. D. Maffeis, Molteplicità delle forme e pluralità di statuti del credito bancario nel mercato globale e nella società plurale, Op.cit., 739 ss.

[99] Cfr. M. Talone, La riforma che verrà …è arrivata! Il ruolo e la responsabilità delle banche nelle procedure d’allerta, Op. Cit.

[100] Ibidem.

[101] In merito valga citare ex multis Cassazione civile, sez. I, 14/05/2018, n. 11695, per la quale “In tema di concessione abusiva di credito, sussiste la responsabilità della banca, che finanzi un'impresa insolvente e ne ritardi perciò il fallimento, nei confronti dei terzi che, in ragione di ciò, abbiano confidato nella sua solvibilità ed abbiano continuato ad intrattenere rapporti contrattuali con essa, allorché sia provato che i terzi non fossero a conoscenza dello stato di insolvenza e che tale mancanza di conoscenza non fosse imputabile a colpa.”

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