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Capire lo strumento del bail-in attraverso le linee guida e i regulatory technical standards della European Banking Authority (EBA)

2 Febbraio 2016

Claudio Di Falco, counsel, Maria Grazia Mamone, senior associate, Cleary Gottlieb Steen & Hamilton LLP

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Introduzione – 2. Trattamento degli azionisti in caso di utilizzo dello strumento del bailin  3. Ordine di riduzione e conversione nel contesto del bailin e interrelazione tra norme BRRD e CRR/CRD IV  4. Riconoscimento contrattuale del bailin  5. Conclusioni

 

1. Introduzione

Uno degli aspetti più innovativi della disciplina della risoluzione delle crisi bancarie disposta dalla BRRD (la Banking Recovery and Resolution Directive – Direttiva 2014/59/UE),[1] che ha suscitato anche un intenso dibattito politico e giornalistico, è sicuramente l’introduzione del bail-in.

Il bail-in è una procedura di ricapitalizzazione interna che scatta quando l’ente creditizio raggiunge il c.d. point of non-viability ossia quando sono soddisfatti i due presupposti per l’applicazione delle misure di risoluzione: (a) l’ente creditizio è in dissesto o a rischio di dissesto (ad esempio, risultano irregolarità nell’amministrazione o violazioni di disposizioni legislative tali da comportare la revoca della licenza bancaria, risultano perdite patrimoniali di eccezionale gravità, le attività dell’ente sono inferiori alle sue passività, l’ente non è in grado di pagare i propri debiti a scadenza) e (b) non vi sono prospettive di superare la situazione di dissesto o di rischio di dissesto in tempi adeguati.

Il concetto di bailin si è imposto a seguito della crisi finanziaria del 2008. In contrasto con le azioni di bailout con cui l’ente creditizio viene “salvato” facendo leva sull’intervento dello Stato e dunque dei contribuenti, attraverso il bailin le perdite dell’ente sono imposte agli azionisti e ad alcuni creditori dell’ente attraverso un processo che si sostanzia nella riduzione del valore nominale delle poste del passivo o nella conversione di strumenti di debito in strumenti di capitale.

L’obiettivo dello strumento del bailin è quello di ricapitalizzare l’ente in tutto o in parte in modo da rendere la sua situazione patrimoniale stabile in un orizzonte di lungo periodo. L’utilizzo dello strumento del bailin dovrebbe evitare il ricorso a fondi pubblici per liquidare l’ente.[2]

Il bailin è entrato in vigore il primo gennaio 2016 e si applica sia al debito esistente che a quello di nuova emissione.

Lo scopo di questo articolo è aiutare a capire meglio alcune caratteristiche del meccanismo del bailin e del suo possibile impatto sugli azionisti e creditori di un ente in risoluzione attraverso l’analisi di alcune delle linee guida e dei regulatory technical standards[3] emessi dalla European Banking Authority (“EBA”). In particolare, nell’ambito di questo articolo, ci occuperemo: (i) di come, secondo l’EBA, le autorità di risoluzione debbano trattare gli azionisti quando decidono di usare lo strumento del bailin come strumento di risoluzione; (ii) dell’ordine di riduzione e conversione che le autorità di risoluzione devono seguire quando applicano lo strumento del bailin e dell’interrelazione tra le norme BRRD e quelle della CRD IV e del CRR[4] e (iii) dei principi che devono guidare gli enti sottoposti alla BRRD per assicurare il riconoscimento contrattuale dello strumento del bailin nel contesto di contratti retti dal diritto di paesi terzi.

2. Trattamento degli azionisti in caso di utilizzo dello strumento del bailin

L’articolo 47 della BRRD disciplina come gli azionisti debbano essere trattati nel caso in cui l’autorità di risoluzione decida di utilizzare lo strumento del bailin ovvero di ridurre o convertire strumenti di capitale ai sensi dell’articolo 59 della BRRD. In entrambe le circostanze, l’autorità di risoluzione può prendere una o entrambe le seguenti decisioni:

  1. cancellare le azioni esistenti o altri strumenti di capitale ovvero trasferirli ad altri creditori soggetti al bailin;
  2. diluire gli azionisti esistenti a seguito della conversione in azioni o di altri strumenti di capitale emessi dall’ente in dissesto ovvero di passività ammissibili emesse dall’ente.

La BRRD demanda all’EBA il compito di redigere delle linee guida che chiariscano le circostanze in cui è più opportuno per le autorità di risoluzione procedere con la cancellazione, trasferimento o diluizione delle azioni esistenti. L’11 novembre 2014 l’EBA ha quindi pubblicato un documento di consultazione che contiene la bozza di linee guida sul trattamento degli azionisti nel contesto del bailin e della riduzione e conversione di strumenti di capitale.[5]

Le linee guida EBA si prefiggono di dare alle autorità di risoluzione europee delle indicazioni chiare sulle circostanze in cui scegliere tra la cancellazione o il trasferimento delle azioni e la diluizione degli azionisti. La BRRD contiene a questo proposito un principio generale: la diluizione degli azionisti (e cioè la misura di cui al precedente punto (ii)) può essere effettuata solo quando, sulla base dei risultati della valutazione delle attività e passività dell’ente (c.d. valutazione “ex ante” prevista dall’articolo 36 della BRRD),[6] (a) il valore del patrimonio netto dell’ente sottoposto a risoluzione è positivo e (b) il tasso di conversione del debito in capitale è definito in modo da diluire in maniera significativa le azioni e gli altri strumenti partecipativi esistenti.

Se il valore del patrimonio netto dell’ente in dissesto è negativo o pari a zero, le azioni devono essere cancellate o trasferite; questo perché le autorità di risoluzione non possono applicare perdite ad altri creditori prima di essersi assicurate che gli azionisti (che si trovano alla fine della gerarchia dei creditori in caso di insolvenza) abbiano assorbito le perdite nella misura maggiore possibile e in linea con il principio generale del “no creditor worse off”[7] secondo il quale gli azionisti e i creditori dell’ente in risoluzione non possono subire perdite maggiori di quelle che avrebbero subito se l’ente fosse stato liquidato secondo le ordinarie procedure di insolvenza (e, quindi, per le banche italiane, secondo le norme sulla liquidazione coatta amministrativa).

Le linee guida EBA distinguono in due macro categorie le situazioni in cui le autorità di risoluzione applicano il bailin: (i) situazioni collegate alla valutazione delle attività e passività dell’ente in risoluzione e (ii) situazioni diverse da quelle collegate alla valutazione delle attività e passività dell’ente in risoluzione.

Con riguardo alla prima categoria, le linee guida EBA contengono un’utile tabella che distingue le varie situazioni legate al valore delle attività e passività dell’ente e per ciascuna di esse elenca le azioni che si ritengono appropriate e quelle che appaiono inappropriate.

Di seguito si riporta la tabella contenuta nelle linee guida EBA:

Con riguardo alla seconda categoria, l’EBA individua ulteriori linee guida che dovranno essere seguite dall’autorità di risoluzione in presenza di alcune circostanze, identificate non in relazione al valore del patrimonio netto dell’ente.

In particolare, l’EBA ritiene che le autorità di risoluzione, nel decidere se ridurre e/o trasferire azioni o altri strumenti di capitale, devono avere riguardo alle caratteristiche delle azioni e degli altri strumenti oggetto di bailin. Ad esempio, qualora vi siano categorie di azioni o strumenti di capitale che conferiscono speciali diritti di voto, le autorità di risoluzione possono ritenere più appropriato ridurre queste categorie, piuttosto che trasferirle, in modo da semplificare la struttura di voto dell’ente in dissesto.

Qualora l’ente in dissesto presenti azioni o altri strumenti di capitale che si qualificano come Common Equity Tier 1 (CET1) e azioni e altri strumenti di capitale che non si qualificano come CET1 (e.g., azioni preferenziali che si qualificano come AT1), le autorità di risoluzione possono ritenere più opportuno trasferire solo le azioni e gli strumenti che si qualificano come CET1 e ridurre tutti gli altri (dal momento che questo favorirebbe la ricostituzione del capitale regolamentare dell’ente in dissesto).

Infine, qualora l’ente in dissesto sia una società quotata, il trasferimento delle azioni potrà essere preferibile alla riduzione delle stesse al fine di evitare l’interruzione della quotazione delle azioni.

3. Ordine di riduzione e conversione nel contesto del bailin e interrelazione tra norme BRRD e CRR/CRD IV

Un altro tema su cui l’EBA ha cercato di dare indicazioni precise alle autorità di risoluzione nel contesto del bailin è l’ordine con cui gli strumenti di capitale e le passività ammissibili devono essere ridotti o convertiti in base alla BRRD.

L’articolo 48 della BRRD e l’articolo 52 del Decreto BRRD prevedono l’ordine con cui le autorità di risoluzione devono procedere alla riduzione e/o conversione delle obbligazioni di un ente in dissesto che in termini generali può essere così riassunto:

  1. Capitale primario di classe 1 (Common Equity Tier 1);
  2. Strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 (Additional Tier 1 instruments)
  3. Strumenti di capitale di classe 2 (Tier 2 instruments);
  4. Altri debiti subordinati (secondo la gerarchia prevista dalle norme fallimentari);
  5. Altre passività ammissibili (secondo la gerarchia prevista dalle norme fallimentari).

Il principio generale, come discusso nel paragrafo II. sopra, è che gli azionisti assorbano le perdite prima dei creditori subordinati e, solo una volta esaurita anche questa categoria, le autorità di risoluzione possono imporre perdite ai creditori più senior. Tuttavia, come abbiamo visto più sopra, le autorità di risoluzione possono derogare a questo principio generale nel caso in cui l’ente abbia un patrimonio netto positivo. In tale contesto, le autorità di risoluzione possono, dopo aver allocato le perdite principali agli azionisti e ridotto o cancellato la maggior parte degli strumenti di capitale, convertire obbligazioni subordinate o anche obbligazioni senior in strumenti di capitale.

Il comma 6 dell’articolo 48 della BRRD demanda all’EBA il compito di emettere linee guida che chiariscano il rapporto tra le norme relative all’ordine di riduzione e conversione previste dalla BRRD e le norme della CRD IV e del CRR su strumenti di capitale di classe 1 e 2. Il regolamento CRR e la direttiva CRD IV lasciano, infatti, spazio ad alcuni dubbi circa la classificazione degli strumenti di classe 1 e 2 in relazione all’ordine di riduzione e conversione. L’obiettivo delle linee guida è proprio quello di aiutare le autorità di risoluzione, ma anche le banche e gli investitori, ad avere un’idea chiara di quello che sarà il trattamento che verrà riservato alle varie categorie di strumenti in caso di risoluzione e più in particolare in caso di applicazione dello strumento del bailin.

Ai sensi della CRD IV e del CRR, alcuni strumenti di classe 1 e 2 sono qualificati come strumenti di capitale ma a causa di alcune caratteristiche contrattuali peculiari possono essere in concreto totalmente o parzialmente esclusi dai fondi propri di un ente creditizio. Questa circostanza crea uno scollamento tra la disciplina del capitale regolamentare delle banche e la disciplina fallimentare che ovviamente ha un impatto rilevante alla luce delle norme della BRRD e più in particolare con riferimento all’ordine di riduzione e conversione previsto dalle norme sul bailin.

A questo proposito, per evitare dubbi o disparità, l’EBA suggerisce di applicare due principi guida (“Guiding rules 1 and 2”), e cioè: (i) nel contesto del bailin gli strumenti di capitale che appartengono alla stessa classe e che in una procedura fallimentare verrebbero considerati pari passu devono essere trattati allo stesso modo anche in fase di riduzione e conversione ai sensi della BRRD, anche se presentano caratteristiche contrattuali parzialmente diverse (devono quindi essere ridotti nella stessa misura o sottoposti agli stessi termini di conversione); (ii) quando le autorità di risoluzione determinano l’ordine e il valore di riduzione e conversione devono riservare lo stesso trattamento a tutti gli strumenti di capitale che potrebbero rientrare nei fondi propri dell’ente in dissesto a prescindere dal fatto che in concreto questi siano totalmente o parzialmente esclusi dal calcolo dei fondi propri.

Per spiegare come in concreto le autorità di risoluzione debbano applicare i due principi guida di cui sopra, l’EBA simula due casi specifici: (a) applicazione nel caso in cui l’ente in dissesto abbia emesso sia strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 ai sensi del CRR che strumenti di capitale di classe 1 ai sensi della vecchia CRD III (Direttiva 2006/48/CE) e (b) applicazione a strumenti di capitale di classe 2 soggetti al regime di ammortamento previsto dall’articolo 64 del CRR e a strumenti di capitale di classe 2 non soggetti a tale regime e inclusi per l’intero valore nominale nei fondi propri dell’ente.

Per quanto riguarda il primo caso (strumenti AT1), l’EBA ricorda che ai fini del CRR affinché gli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 possano essere inclusi nei fondi propri di un ente creditizio è necessario che rispettino tutte le caratteristiche previste dall’articolo 52 del CRR; tra queste la principale riguarda l’evento trigger per la conversione in capitale che si verifica quando il capitale primario di classe 1 dell’ente raggiunge il 5,125% o una percentuale più alta se prevista dallo strumento. Lo strumento può prevedere altri trigger, deve specificare il tasso di conversione e il limite all’ammontare massimo di conversione o comunque prevedere una forchetta entro la quale verranno convertiti in capitale primario di classe 1 (CET1). La vecchia direttiva CRD III non prevedeva tutte queste condizioni per consentire l’inclusione di strumenti di capitale nei fondi propri ed infatti il CRR prevede che gli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 emessi ai sensi della vecchia disciplina possano comunque essere inclusi nei fondi propri.

In applicazione del primo principio guida ricordato sopra e al fine di rispettare l’ordine dei creditori (rectius il principio del no creditor worse off), le autorità di risoluzione devono trattare tutti gli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 (strumenti AT1) che godrebbero dello stesso ordine di preferenza in caso di liquidazione coatta amministrativa dell’ente nello stesso modo anche ai fini del bailin anche qualora presentino sostanziali differenze contrattuali che impattano sulla loro capacità di assorbire perdite. Quindi, gli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 emessi ai sensi dell’attuale disciplina (ossia ai sensi dell’articolo 52 del CRR) e quelli emessi ai sensi della vecchia CRD III devono essere trattati allo stesso modo nel contesto del bailin.

Per quanto riguarda il secondo caso (strumenti Tier 2), l’EBA ricorda che nel caso di strumenti di capitale di classe 2 soggetti al regime di ammortamento previsto dall’articolo 64 del CRR, il valore di tali strumenti può essere incluso nei fondi propri al proprio valore nominale secondo un ammortamento costante applicato agli ultimi 5 anni prima della scadenza degli strumenti. L’ammontare soggetto ad ammortamento non è incluso nei fondi propri anche se gli strumenti di capitale presentano tutte le caratteristiche previste dall’articolo 63 del CRR ai fini della loro qualificazione come strumenti di classe 2.

In applicazione del primo e del secondo principio guida di cui sopra, l’EBA raccomanda alle autorità di risoluzione di considerare, anche in caso di ammortamento, l’intero ammontare nominale degli strumenti di classe 2 ai fini dell’applicazione del bailin e di trattare allo stresso modo gli strumenti di classe 2 soggetti al regime di ammortamento previsto dall’articolo 64 del CRR e quelli non soggetti a tale regime e inclusi per l’intero valore nominale nei fondi propri dell’ente al fine di determinare l’ordine e il tasso di conversione ai fini del bailin.

4. Riconoscimento contrattuale del bailin

La BRRD prevede che le banche e le altre istituzioni soggette alla disciplina sulla risoluzione includano, nei contratti da cui deriva una passività soggetta alla legge di uno Stato terzo, una clausola contrattuale attraverso la quale il creditore o la controparte dell’accordo riconoscono che la passività può essere soggetta ad alcuni poteri di risoluzione.[8] In particolare, il creditore (i) riconosce che alla passività si possono applicare la svalutazione, conversione (“write-down and conversion powers” nel corrispondente testo inglese),[9] nonché (ii) accetta di essere vincolato da qualsiasi svalutazione del capitale o dell’importo ancora non corrisposto, conversione o cancellazione effettuate da un’autorità di risoluzione.[10]

Tale espresso riconoscimento ha lo scopo di agevolare l’esercizio dei poteri di bailin in relazione a passività disciplinate dal diritto di uno Stato terzo, limitando il rischio che il creditore di tale passività possa sollevare obiezioni alla applicabilità dei poteri di bail-in ad uno strumento governato da un diritto di uno stato che non è membro dell’Unione.

Tuttavia, l’inserimento di una clausola di espresso riconoscimento è rilevante non tanto al fine di assoggettare la passività ai poteri di bail-in, quanto al fine di facilitare il rispetto, da parte della banca, dell’obbligo di mantenere un livello minimo di fondi propri e passività ammissibili (c.d. “minimum requirement of eligible liabilites” o “MREL”). Infatti, l’assenza di una clausola di espresso riconoscimento dell’applicazione dei poteri di bail-in non osta a che l’autorità di risoluzione possa esercitare tali poteri nei confronti di passività soggette al diritto di uno stato terzo.[11] Tali passività, però, sono computabili ai fini del MREL a condizione che la banca dimostri, all’autorità di risoluzione, che l’eventuale esercizio dei poteri di svalutazione e conversione rispetto ad esse sia efficace a norma del diritto dello Stato terzo.[12] A tal fine, l’autorità di risoluzione tiene conto anche delle clausole contrattuali che disciplinano tali passività (oltre che di eventuali accordi internazionali sul riconoscimento delle procedure di risoluzione). Nel caso in cui, a giudizio dell’autorità di risoluzione, non vi sia certezza che l’eventuale decisione di esercitare i poteri di svalutazione e conversione sia efficace in base al diritto dello Stato terzo, la banca non potrà “utilizzare” la passività ai fini del rispetto del requisito del MREL.

Le disposizioni sul riconoscimento contrattuale trovano applicazione in relazione a passività che, oltre ad essere soggette alla legge di uno Stato terzo, (i) non sono depositi che beneficiano della protezione di cui all’articolo 108, paragrafo 1, lett. a) della BRRD;[13] (ii) non sono escluse dall’applicazione del bailin[14] e (iii) sono state emesse o stipulate successivamente  alla data dalla quale trovano applicazione le disposizioni nazionali di recepimento del Capo IV, Sezione V della BRRD.[15]

In ogni caso, l’obbligo di includere, nel contratto che disciplina le passività rilevanti, una clausola di riconoscimento può essere derogato qualora l’autorità di risoluzione di uno Stato membro determini che le passività possono essere sottoposte ai poteri di svalutazione e di conversione conformemente alla normativa dello Stato terzo o ad un accordo vincolante concluso con lo stesso.[16]

Ai fini di dare attuazione alla delega contenuta nell’articolo 55, paragrafo 3 della BRRD,[17] l’EBA ha emanato dei regulatory technical standards (o RTS)[18] che specificano ulteriormente a) i casi in cui l’obbligo di includere nelle passività rilevanti una clausola di riconoscimento contrattuale è suscettibile di essere disapplicato e b) i contenuti minimi delle clausole di riconoscimento che devono essere inserite nelle passività soggette alla legge di uno Stato terzo, nel caso in cui non siano configurabili meccanismi alternativi idonei a garantire il riconoscimento.

Con riferimento al punto sub a), gli RTS prevedono che l’esenzione dall’obbligo di cui all’articolo 55, paragrafo 1 della BRRD possa sorgere in relazione (i) alla natura garantita della passività, (ii) alla data in cui la passività è stata emessa e (iii) alla legge dello Stato terzo cui la passività soggiace.

In primo luogo, gli RTS chiariscono che non soddisfa le condizioni per l’esenzione una passività che, all’atto della sua costituzione, non sia pienamente garantita o che sia pienamente garantita, ma senza che vi sia l’obbligo del debitore di assicurare che la passività sia assistita da garanzia in modo continuativo, in conformità con il diritto dell’Unione europea o di quello equivalente di Stati terzi.[19]

In secondo luogo, gli RTS indicano quando una passività è da intendersi come emessa o stipulata successivamente alla data di attuazione della normativa nazionale di recepimento, chiarendo che – sotto questo profilo – rientrano nell’ambito di applicazione dell’obbligo di riconoscimento contrattuale (i) le passività costituite successivamente alla data dalla quale trovano applicazione le disposizioni nazionali di recepimento anche se derivanti da accordi sottoscritti prima di tale data; (ii) le passività sorte prima o successivamente alla data di riferimento, che derivano da accordi o strumenti di debito che, successivamente a tale data, hanno subito modifiche significative (material amendments);[20] e (iii) le passività derivanti da strumenti di debito emessi dopo la data di riferimento.[21]

Infine, in base agli RTS, l’obbligo di introdurre una clausola di riconoscimento contrattuale viene meno nel caso in cui, a giudizio dell’autorità di risoluzione di uno Stato membro, la legge dello Stato terzo interessato o un accordo internazionale stipulato con lo stesso prevedano una procedura amministrativa o giudiziaria idonea a garantire il riconoscimento dell’applicazione dei poteri di svalutazione e di conversione esercitati dall’autorità di risoluzione.[22]

Quanto al contenuto delle clausole di riconoscimento, gli RTS prevedono che la clausola di riconoscimento contrattuale debba includere almeno i seguenti elementi:

  1. il riconoscimento e l’accettazione, da parte del creditore, che la passività può essere sottoposta a poteri di svalutazione e conversione da parte dell’autorità di risoluzione;
  2. una descrizione dei poteri di svalutazione e conversione di ciascuna autorità di risoluzione, in conformità alla normativa nazionale di recepimento della BRRD e con specifico riferimento ai poteri di cui all’articolo 63, paragrafo 1, lettere e), g) e j) della BRRD;
  3. il riconoscimento e l’accettazione del creditore di essere vincolato dagli effetti dell’esercizio dei poteri di risoluzione, compresi la riduzione del capitale o dell’importo ancora non corrisposto e la conversione delle passività in azioni ordinarie o altri strumenti di capitale;
  4. il riconoscimento e l’accettazione che le condizioni contrattuali contenute negli accordi da cui derivano le passività rilevanti possono subire variazioni per effetto dell’esercizio dei poteri di svalutazione e conversione e che tali variazioni saranno vincolanti per il creditore;
  5. il riconoscimento e l’accettazione che la clausola recante il riconoscimento contrattuale è “esaustiva” quanto agli aspetti da essa disciplinati ed esclude ogni altro contratto, accordo o pattuizione tra le parti.[23]

5. Conclusioni

Lo strumento del bailin si contraddistingue per essere uno strumento innovativo ma molto complesso e di difficile applicazione uniforme perché potenzialmente soggetto ad ampia discrezionalità delle autorità di risoluzione nazionali. Proprio per cercare di garantire uniformità di applicazione in tutta l’Unione e dare certezza agli enti soggetti alla BRRD e soprattutto agli azionisti e ai creditori, l’EBA ha emanato una serie di linee guida e di norme tecniche di regolamentazione e in questo articolo abbiamo cercato di descriverne alcune. Certezza delle norme e applicazione uniforme delle stesse sono due principi/obiettivi chiave per un’applicazione di successo delle norme della BRRD nell’Unione, soprattutto in caso di risoluzione di enti che hanno un’operatività transfrontaliera.



[1] La BRRD è stata attuata in Italia tramite il decreto legislativo n. 180 (il “Decreto BRRD”) e n. 181 del 16 novembre 2015.

[2] Il bailin è disciplinato dagli articoli 43 – 55 della BRRD e 48 – 59 del Decreto BRRD.

[3] I regulatory technical standards e gli implementing technical stantards sono norme vincolanti adottate dalla Commissione europea, di solito sotto forma di un regolamento, destinate a integrare o ad attuare la legislazione dell’Unione europea e ad affrontare questioni che sono di carattere squisitamente tecnico.

Le norme tecniche adottate dalla Commissione si basano solitamente su progetti di norme redatte dalle autorità di vigilanza europee (ESA): l’Autorità bancaria europea (EBA), l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) e l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA).

Le norme tecniche sono giuridicamente vincolanti e direttamente applicabili in tutti gli Stati membri. Ciò significa che, alla data della loro entrata in vigore, entrano a far parte del diritto nazionale degli Stati membri e si applicano direttamente a partire dalla data indicata nelle norme tecniche.

[4] Direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE (“CRD IV”) e Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (“CRR”).

[5] EBA/CP/2014/40.

[6] Cfr. articoli 23 – 26 del Decreto BRRD.

[7] Che è sancito dall’articolo 34 della BRRD e che si applica anche a salvaguardia degli azionisti in virtù degli articoli 73 e 75 della BRRD. Cfr. articolo 87, comma 1 del Decreto BRRD.

[8] Devono contenere una clausola di riconoscimento contrattuale tutti i contratti da cui derivano passività rilevanti (i.e., tutte le passività diverse da quelle escluse dal campo di applicazione del bailin o che non sono depositi ex articolo 108, paragrafo 1, lett. a) della BRRD.

[9] Il testo italiano della direttiva in questo punto dell’articolo 55 fa riferimento anche a “i poteri di modifica della scadenza dei titoli di debito o di variare i pagamenti degli interessi” che però non sono menzionati dal corrispondente testo inglese dell’articolo 55 della direttiva e che, tra l’altro, non sono inclusi nella definizione di “write-down and conversion powers” in quanto indicati nella lettera j) dell’articolo 63, paragrafo 1 della BRRD.

[10] Gli articoli 55, paragrafo 1, comma 3 della BRRD e 59, comma 3 del Decreto BRRD attribuiscono all’autorità di risoluzione il potere di richiedere alla banca di fornire un parere giuridico (“opinion”) in merito all’applicabilità e all’efficacia della clausola relativa al riconoscimento contrattuale dei poteri di svalutazione e conversione.

[11] Cfr. l’articolo 55, paragrafo 2 della BRRD. Cfr. anche l’articolo 59, comma 5 del Decreto BRRD, secondo cui “il bail-in è comunque disposto e determina i suoi effetti in via definitiva…anche in caso di assenza o inefficacia della clausola prevista dal comma 1”.

[12] Cfr. gli articoli 45, paragrafo 5 della BRRD e 50, comma 6 del Decreto BRRD, secondo cui “Se una passività è disciplinata dal diritto di uno Stato terzo, essa è computabile a condizione che la società interessata abbia dimostrato alla Banca d’Italia che l’eventuale applicazione del bail-in alle passività sarebbe efficace nell’ordinamento di quello Stato. La Banca d’Italia può disciplinare le modalità con cui questa condizione può essere soddisfatta”.

[13] Ai sensi del quale “[hanno] lo stesso livello di priorità, che è superiore rispetto al livello previsto per i crediti vantati da creditori ordinari, non garantiti e non privilegiati: i) la parte dei depositi ammissibili di persone fisiche e microimprese, piccole e medie imprese che supera il livello di copertura previsto dall’articolo 6 della direttiva 2014/49/UE; ii) i depositi di persone fisiche, microimprese, piccole e medie imprese che si configurerebbero come depositi ammissibili se non fossero stati effettuati presso filiali al di fuori dell’Unione di enti stabiliti all’interno dell’Unione”.

[14] Cfr. l’articolo 44, paragrafo 2 della BRRD, secondo cui sono esclusi dall’ambito di applicazione del bail-in e non possono essere né svalutati né convertiti in capitale:

  1. i depositi garantiti dai sistemi di garanzia dei depositi (i.e., i depositi fino a 100.000 Euro);
  2. le passività garantite, inclusi i covered bond e altri strumenti garantiti;
  3. le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria;
  4. le passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni;
  5. le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni;
  6. alcune tipologie di crediti privilegiati, tra cui quelli dei dipendenti (limitatamente a remunerazione e benefici pensionistici), i crediti dei fornitori di beni o servizi necessari per il normale funzionamento dell’ente sottoposto a risoluzioni e i crediti dell’amministrazione tributaria e degli enti previdenziali.

[15] Recante la disciplina relativa allo strumento del bailin. Cfr. l’articolo 59, comma 2 del Decreto BRRD, secondo cui il riconoscimento contrattuale “…si applica alle passività contratte dopo il 1 gennaio 2016”.

[16] Cfr. l’articolo 55, paragrafo 1, comma 2 della BRRD. Notiamo che mentre il testo dell’articolo 55 della direttiva indica espressamente che tale determinazione deve essere fatta dall’autorità di risoluzione, il corrispondente articolo 59, comma 4 del Decreto BRRD preferisce usare una formulazione impersonale secondo cui l’obbligo di includere una clausola di riconoscimento contrattuale “non si applica se, in base alla legislazione dello Stato terzo o a un trattato concluso con esso, risulta [senza che sia però specificato a chi debba risultare]che il bail-in disposto dalla Banca d’Italia produce i suoi effetti sulle passività”.

[17] Secondo cui “l’[EBA] elabora progetti di norme tecniche di regolamentazione al fine di determinare ulteriormente l’elenco delle passività alle quali si applica l’esenzione di cui al paragrafo 1 e il contenuto della clausola imposta da tale paragrafo, tenendo conto dei diversi modelli di business delle banche”.

[18] EBA RTS of July 3, 2015 on the contractual recognition of write down and conversion powers under Article 55(3) of Directive 2014/59/EU, disponibili al link https://www.eba.europa.eu/documents/10180/1132911/EBA-RTS-2015-06+RTS+on+Contractual+Recognition+of+Bail-in.pdf.

[19] Cfr. l’articolo 2, paragrafo 1 degli RTS.

[20] L’articolo 1 degli RTS classifica i “material amendments” in via residuale rispetto ai “non-material amendments”, che sono definiti come “le modifiche che non impattano sui diritti e sugli obblighi sostanziali di una parte di un accordo da cui derivano passività rilevanti [ai sensi dell’articolo 55, paragrafo 1 della BRRD], quali, ad esempio, la modifica delle informazioni personali di un firmatario o del destinatario della notifica, la correzione di errori tipografici o l’adeguamento automatico dei tassi di interesse”.

[21] Cfr. l’articolo 2, paragrafo 2 degli RTS.

[22] Cfr. l’articolo 2, paragrafo 3 degli RTS.

[23] Cfr. l’articolo 3 degli RTS.

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