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Approfondimenti

Whistleblowing: le problematiche applicative della nuova disciplina

25 Gennaio 2024

Pasquale Grella, Of Counsel, Fornari e Associati

Laura Beretta, Trainee, Fornari e Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo si sofferma sulle problematiche applicative connesse alla nuova disciplina del whistleblowing a poche settimane dall’avvio delle segnalazioni degli illeciti da parte dei soggetti obbligati.


1. Introduzione

Come noto, la Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento Europeo e del Consiglio (d’ora in avanti, anche “Direttiva Whistleblowing”) ha profondamente innovato le modalità di prevenzione e repressione alla criminalità, sia nel settore pubblico, sia nel settore privato.[1]

In considerazione del fatto che, assai di frequente, i lavoratori si dimostrano le prime persone a venire a conoscenza dei pregiudizi o delle minacce all’interesse pubblico che emergono sul luogo di lavoro, infatti, il legislatore sovranazionale ha coerentemente convenuto di implementare forme di tutela destinate a tali soggetti (i “segnalanti” o, in inglese, i “whistleblowers”) i quali, se da un lato si caratterizzano per essere evidentemente in possesso di un ruolo decisivo nella rilevazione di violazioni di legge, dall’altro lato, nel timore di subire ritorsioni, si dimostrano poco inclini all’effettuazione di segnalazioni di questo tipo. Al fine di rafforzare i principi di trasparenza e responsabilità che animano lo spirito comunitario, e con l’intenzione di uniformare gli schemi di protezione riservati ai segnalanti nei vari settori economico-produttivi – oltre che in tutti gli Stati Membri – a far data dal 16 dicembre 2019, ciascuno di essi ha dovuto provvedere ad una sua corretta implementazione entro il 17 dicembre 2021 ed entro il 17 dicembre 2023 per i soggetti giuridici del settore privato con più di 50 e meno di 250 dipendenti.

Seppur al di fuori del limite temporale concesso dalla normativa europea per la trasposizione delle direttive, pari a due anni, il 10 marzo del 2023, il Governo italiano ha emanato il Decreto Legislativo n. 24 in tema di whistleblowing (d’ora in avanti, anche “Decreto Whistleblowing” o “Decreto”), con l’obiettivo di costruire una disciplina organica sulla “protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e (sulla protezione delle persone che segnalano) violazioni di disposizioni normative nazionali”, nonché quello di sostituire la normativa in materia sancita dalla Legge n. 179/2017 per il settore pubblico, per un verso, e dal Decreto Legislativo n. 231/2001 per gli enti del settore privato, per altro verso.

Tuttavia, nonostante gli evidenti buoni propositi – e il tempo a disposizione – che muovevano il legislatore nazionale, dal momento di entrata in vigore del Decreto Whistleblowing ad oggi, a parere di chi scrive il risultato rappresenta un’evidente occasione persa, con manifeste criticità pratico-applicative. Peraltro, si aggiunga che, a partire dalla medesima data, si sono succedute fonti normative a carattere formalmente non vincolante che hanno contribuito ad alimentare la sensazione di confusione percepita sia da parte degli enti destinatari degli obblighi, sia da parte dagli operatori del settore chiamati a dover ricercare soluzioni interpretative sulla base di testi normativi e linee-guida che, sotto molti aspetti, risultano essere distanti dal testo normativo.

Svolta questa breve introduzione, il presente scritto è volto a mettere in luce alcune delle principali criticità riscontrate nell’applicazione pratica del Decreto Whistleblowing fino ad oggi. In particolare, dopo aver dettagliato i pilastri della nuova normativa, si è scelto di approfondire alcuni degli aspetti prasseologici più problematici, concernenti (i) l’attivazione dei c.d. “canali interni” per l’effettuazione della segnalazione, (ii) la tutela della riservatezza del segnalante, (iii) le modalità di comunicazione alle rappresentanze sindacali.

All’esito di un siffatto percorso ricognitivo, sarà auspicabilmente possibile formulare ipotetiche strade di riforma per il legislatore nazionale e per le autorità di settore, nell’ottica di migliorare la portata applicativa di uno strumento tanto utile per il lavoratore, quanto per l’intera collettività.

2. Il D. Lgs. n. 24/2023 sul whistleblowing: cenni normativi[2]

Punto di partenza dell’analisi ivi svolta, è quello di evidenziare le principali novità apportate dal Decreto Whistleblowing all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale.

In primo luogo, il Decreto ha avuto il merito di definire in modo dettagliato l’ambito di applicazione soggettivo delle previsioni in esso contenute. Invero, all’articolo 3 viene stilata una lista estremamente articolata dei soggetti giuridici tenuti ad uniformarsi alla disciplina whistleblowing, volta a ricomprendere tutti i soggetti pubblici (e segnatamente, così come sancito dall’art. 2, co. I, lett. p) del medesimo Decreto: le amministrazioni pubbliche ex art. 1, co. II, D. Lgs. n. 165/2001, le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza o regolazione, gli enti pubblici economici, gli organismi di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3, co. I, lett. d), D. Lgs. n. 50/2016, i concessionari di pubblico servizio, le società a controllo pubblico e le società in house (entrambe, anche se quotate), così come definite, rispettivamente, dall’art. 2, co. I, lett. m) e o), D. Lgs. n. 175/2016), che saranno vincolati a garantire le dovute tutele a colui che segnali una violazione del diritto interno o del diritto comunitario, e determinate categorie di soggetti appartenenti al settore privato.

Proprio all’interno del contesto privato, il legislatore delegato ha selezionato i destinatari della disciplina whistleblowing operando una distinzione basata (i) sulla adozione o meno, da parte dell’ente, di un Modello di Organizzazione e Gestione ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001, (ii) sul criterio dimensionale incentrato sul numero medio di lavoratori subordinati (con contratti a tempo determinato o indeterminato) nell’ultimo anno solare precedente a quello in corso (fatto salvo il caso delle imprese di nuova costituzione, per le quali si terrà in considerazione l’anno in corso) e, (iii) sullo svolgimento o meno di attività economiche in specifici settori quali, ad esempio, quello bancario e assicurativo.[3] In altri termini, il legislatore delegato ha optato per proteggere segnalazioni dal contenuto oggettivamente differente, a seconda della presenza o meno, nell’ente, di uno dei requisiti sopracitati.

Più nel dettaglio, nelle società dotate di un Modello ex D. Lgs. n. 231/2001 (d’ora in avanti, anche “Modello” o “MOG”) che impiegano una media superiore ai 50 dipendenti, saranno tutelate tutte le segnalazioni aventi ad oggetto le violazioni del Modello (esclusivamente mediante il canale interno), ovvero del diritto europeo (attraverso il canale interno, esterno, ovvero mediante una divulgazione pubblica o una denuncia alla pubblica Autorità), laddove, per le imprese dimensionalmente equivalenti ma prive di un MOG ex D. Lgs. n. 231/2001, a venire segnalate potranno essere unicamente le condotte poste in violazione del diritto UE, attraverso tutti i canali di segnalazione.

D’altro canto, per tutti gli enti che occupino meno di 50 dipendenti ma siano nondimeno dotati di un Modello, sarà garantita protezione a tutte le segnalazioni – effettuate esclusivamente tramite canale di segnalazione interni – inerenti a violazioni dello stesso, ovvero a condotte che integrino uno dei reati-presupposto di cui agli artt. 24 e ss. del D. Lgs. n. 231/2001. Infine, negli enti con meno o più di 50 dipendenti, operanti in uno dei settori elencati dal Decreto – come sopra individuati – potranno invece essere effettuate segnalazioni di violazioni di disposizioni dell’Unione Europea, attraverso tutti i canali di segnalazione.

A ben vedere, al di là della evidente complessità definitoria insita nella norma, un primo problema che può qui riscontrarsi ha a che vedere con la scelta di non uniformare il settore privato a quello pubblico, producendo l’inconveniente di differenziare la portata applicativa delle tutele concesse al whistleblower a seconda dell’appartenenza di quest’ultimo a un contesto di lavoro pubblico piuttosto che privato.

Definito l’ambito soggettivo di applicazione, è opportuno verificare chi possa rivestire i panni del whistleblower e cosa s’intenda per “segnalazione rilevante ai sensi del Decreto Whistleblowing. Più nel dettaglio, dal combinato disposto di cui agli artt. 1 e 2 del Decreto in esame, emerge che il whistleblower è colui che “segnala, divulga ovvero denuncia all’Autorità giudiziaria o contabile, violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui sia venuto a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato”. È poi l’art. 3, co. III a definire nel concreto su chi possa ricadere tale ruolo di segnalante: trattasi dei dipendenti pubblici e dei lavoratori subordinati degli enti privati, dei lavoratori autonomi, dei liberi professionisti e dei consulenti che prestano il proprio lavoro presso soggetti del settore pubblico ovvero privato, nonché dei volontari e dei tirocinanti – anche quando non retribuiti –, degli azionisti e delle funzioni amministrative, direttive, di controllo, vigilanza e rappresentanza.

Ciascuno dei soggetti appena menzionati potrà legittimamente effettuare una segnalazione, e non soltanto quando il rapporto lavorativo fosse in corso. Invero, il Decreto lascia spazio anche alle segnalazioni prodotte nell’ambito delle fasi precontrattuali ovvero durante i “periodi di prova” e, ancora, qualora le informazioni fossero state acquisite nello svolgimento del rapporto, anche a partire dal momento di scioglimento di quest’ultimo. Uniche precisazioni sono quelle che attengono ai presupposti della stessa, in quanto, ai sensi dell’art. 16 commi I e III, il whistleblower beneficerà delle tutele elencate nel capo III solo laddove avesse fondato motivo di ritenere che le informazioni sulle violazioni segnalate, divulgate pubblicamente o denunciate fossero vere e rientrassero nell’ambito oggettivo di cui all’articolo 1 e comunque fuori dai casi in cui “è accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale della persona segnalante per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave”.

Così come specificato dall’art. 2, oggetto della segnalazione possono essere tutti i “comportamenti, gli atti o le omissioni che ledono il pubblico interesse o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato e che consistono, in generale, in (i) illeciti amministrativi, contabili, civili o penali, (ii) condotte illecite tipizzate dal D. Lgs. n. 231/2001 o violazioni dei Modelli ivi previsti, (iii) illeciti che rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’Unione Europea relativi ad alcuni specifici settori[4], (iv) atti od omissioni che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, (v) atti od omissioni riguardanti il mercato interno di cui all’art. 26 paragrafo II TFUE, e (vi) atti o comportamenti che vanificano l’oggetto o la finalità delle disposizioni di cui agli atti dell’Unione nei settori indicati ai punti (iii), (iv) e (v).

Egualmente incluse sono pure le informazioni relative alle condotte finalizzate ad occultare le infrazioni appena indicate, ovvero quelle concernenti le attività illecite non ancora compiute ma che, in virtù della sussistenza di elementi concreti, precisi e concordanti, si ritenga possano ragionevolmente verificarsi, nonché quelle da cui si ha ragione di rintracciare “fondati sospetti”. Al contrario, il Decreto Whistleblowing non troverà applicazione ogniqualvolta la segnalazione abbia “carattere personale”, ovverosia quando questa attenga a “contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale della persona segnalante che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico, ovvero inerenti ai propri rapporti di lavoro o di impiego pubblico con le figure gerarchicamente sovraordinate”.

Ciò precisato, è bene sottolineare che, nell’intento di dare massima applicazione alle disposizioni finora analizzate e sulla scorta delle previsioni comunitarie, il legislatore italiano ha coerentemente convenuto di predisporre, nel capo III del Decreto Whistleblowing, un sistema di protezioni riservato al segnalante – e ai soggetti ad esso collegati[5] – piuttosto rafforzato. Invero, come si vedrà meglio in seguito, il segnalante beneficia di una serie di misure volte a scongiurare che, nei suoi confronti ed in ragione della segnalazione, vengano adottati comportamenti, atti od omissioni a carattere ritorsivo tra cui, a titolo esemplificativo e come menzionato dall’art. 17, co. IV: il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti, la retrocessione, la riduzione dello stipendio o l’adozione di misure disciplinari.[6]

Per tali motivi, l’art. 12 sancisce altresì il divieto, per le persone competenti a ricevere o a dare seguito alla segnalazione, di rivelare l’identità del segnalante, nonché qualsiasi altra notizia dalla quale sia possibile, anche per vie indirette, risalire ad essa. Peraltro, l’ottavo comma dello stesso articolo enuncia che la segnalazione è sottratta al diritto di accesso agli atti amministrativi, nonché al diritto di accesso civico generalizzato di cui, rispettivamente, agli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990 e D. Lgs. n. 33/2013. Rimane poi ferma la facoltà di colui che ritenga di aver subìto ritorsioni, anche se solo tentate o minacciate – nonché dell’ente interessato dall’episodio di rappresaglia – di comunicare tali sospetti all’Autorità Nazionale Anticorruzione (d’ora in avanti, anche “ANAC”), la quale si attiverà per accertamenti ulteriori, anche avvalendosi dell’operato dell’INL, ovvero dell’Ispettorato della funzione pubblica (art. 19, co. I e II). A tale previsione si aggiunge quella di cui al terzo comma dell’art. 17, per la quale il collegamento segnalazione – rappresaglia è presunto, di modo che l’onere di dimostrare che le condotte asseritamente ritorsive siano state poste in essere per ragioni estranee alla segnalazione, alla divulgazione pubblica o alla denuncia spetta a colui che le ha eseguite.

Ulteriori misure di protezione/sostegno a beneficio del soggetto segnalante sono poi quelle poste dall’art. 18, che consistono, segnatamente, in: informazioni, assistenza e consulenze a titolo gratuito sulle modalità di segnalazione e sulle protezioni dalle ritorsioni, sui diritti della persona coinvolta e sulle modalità e condizioni di accesso al patrocinio a spese dello Stato.

Infine, l’art. 20 stabilisce una clausola di non punibilità che, per certi versi, può dirsi “conclusiva” della cornice di tutele predisposte a favore del segnalante. Invero, essa stabilisce che è esclusa la punibilità della persona fisica o dell’ente che riveli o diffonda informazioni sulle violazioni (i) coperte dall’obbligo di segreto, (ii) relative alla tutela del diritto d’autore o alla protezione dei dati personali e, (iii) che offendono la reputazione della persona coinvolta o denunciata, seppur qualora il segnalante abbia agito nel rispetto del già menzionato principio di buona fede, così come stabilito ai sensi dell’art. 16 del Decreto Whistleblowing.

Orbene, nonostante una siffatta cornice in materia di tutela del segnalante e come si avrà modo di approfondire nel prosieguo del presente contributo, è proprio in relazione all’art. 12 e agli obblighi di riservatezza che, a parere di chi scrive, si rinviene uno dei nodi più problematici dell’intera disciplina whistleblowing, soprattutto se si considerano alcuni disallineamenti con la normativa comunitaria fissata dalla Direttiva Whistleblowing da cui, si è visto, il Decreto trae origine.

Ancora in tema di tutele riservate al whistleblower, all’art. 14 il Decreto stabilisce il principio di minimizzazione (nell’accezione di cui all’art. 5, paragrafo I, lett. (e) del Regolamento (UE) 2016/679, c.d. “Regolamento GDPR” e dell’art. 3, co. I, lett. (e) D. Lgs. n. 51/2018), per il quale non è consentita la conservazione delle segnalazioni – sia interne sia esterne – per un lasso di tempo eccedente rispetto al periodo necessario al trattamento delle stesse, e comunque oltre i 5 anni a decorrere dalla data della comunicazione dell’esito finale della procedura di segnalazione. Ed è chiaro che la previsione appena menzionata si leghi alla norma precedente, che a sua volta ricollega la disciplina concernente il trattamento dei dati personali a quella sancita dal Regolamento GDPR e al relativo decreto attuativo definito poc’anzi.

Per concludere la disamina dell’impalcatura normativa e rimandando al prossimo paragrafo la trattazione dei “canali di segnalazione”, appare di rilievo sottolineare il ruolo rivestito dall’ANAC, cui il legislatore ha scelto di affidare l’esercizio della funzione sanzionatoria a fronte di violazioni del Decreto. La previsione di cui all’art. 21, infatti, attribuisce alla citata Autorità amministrativa indipendente il potere di irrogare al responsabile alcune misure sanzionatorie, più o meno severe a seconda della gravità dell’infrazione rilevata. Tale potere-dovere si assomma, dunque, a quello regolatorio di settore (e segnatamente, alla facoltà dell’ANAC di emanare linee-guida, ovvero testi di indirizzo a carattere orientativo-informativo), e a quello di gestione del canale di segnalazione esterno, mediante cui, in determinate situazioni, potranno essere fatte pervenire segnalazioni. Tuttavia, sebbene in alcuni casi il valore monetario della multa possa arrivare a raggiungere la somma di 50.000 euro, a dire di taluna dottrina, non sarebbero in esse ravvisabili i caratteri di proporzionalità ed effettività cui ci si aspetta che un sistema punitivo-afflittivo sia imperniato.[7]

3. Il contesto normativo: eterogeneità delle fonti

Avendo effettuato una rapida disamina delle principali disposizioni del Decreto Whistleblowing, si vuole ora contestualizzarne l’area di operatività avendo particolare riguardo alle ricadute applicative nell’ambito delle singole realtà aziendali nazionali. Si è detto, in apertura di contributo, che il Decreto Whistleblowing ha dato attuazione alla Direttiva (UE) 1937/2019, volta ad introdurre un vero e proprio “diritto alla segnalazione” e a valorizzare il ruolo del segnalante. Tuttavia, seppure l’opera di traslazione della normativa comunitaria sia stata validamente eseguita dal nostro legislatore, sono parecchi i punti del Decreto nei quali è possibile ravvisare elementi di discordanza rispetto alla disciplina sovranazionale. Questo, nemmeno a dirlo, complica non di poco il lavoro di colui che si trova nella posizione di dover interpretare la normativa applicabile ai fini della relativa implementazione all’interno di organizzazioni aziendali talvolta particolarmente complesse.

Oltre alla Direttiva Whistleblowing e al Decreto Whistleblowing fin qui citati, vengono poi in rilievo tutti quei documenti non propriamente legislativi ma egualmente finalizzati a fornire indicazioni applicative alle singole realtà produttive, quali, per ciò che è più di nostro interesse, le “Linee guida in materia di protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali. Procedure per la presentazione e gestione delle segnalazioni esterne” approvate dall’ANAC con Delibera del 12 luglio 2023 (d’ora in avanti, anche “Linee-guida ANAC”)[8] e la “Guida Operativa per gli enti privati” emanata da Confindustria nel mese di ottobre 2023 (da ora, anche “Guida Operativa di Confindustria”)[9].

Ai nostri fini e per quanto possibile, allora, è rilevante in primis definire la natura delle suddette fonti, in quanto solo avendo acquisito tale elemento sarà possibile giungere alla migliore interpretazione della disciplina whistleblowing e comprendere in che direzione debbano muoversi i soggetti pubblici e privati destinatari del Decreto. A ben vedere, se si considera che già nel marzo del 2020, in relazione alla L. n. 179/2017 (la quale, si è visto, costituiva “il precedente” del Decreto Whistleblowing per il settore pubblico), il Consiglio di Stato era stato chiamato ad intervenire in merito alla natura delle Linee-guida ANAC (in quell’occasione, si trattava delle Linee Guida in materia di tutela dei segnalanti all’interno degli enti pubblici[10]), si comprende bene come la questione non sia di poco conto.

Ebbene, in quell’occasione, la Sezione I del Consiglio di Stato aveva definito in via preliminare come le linee guida non abbiano carattere vincolante”, aggiungendo, peraltro, “che vadano espunte dal testo le formulazioni che presuppongono un obbligo di puntuale conformazione in capo alle amministrazioni.” e che, ad ogni modo, “le amministrazioni avranno dunque l’onere di esplicitare le motivazioni dell’adozione di eventuali scelte diverse da quelle indicate nelle linee guida. In ogni caso, ciò non si può tradurre in omissione nell’adeguamento da parte delle amministrazioni.”, in questa maniera risolvendo ogni dubbio interpretativo, sia in dottrina, sia in giurisprudenza. In particolare, le valutazioni del Consiglio di Stato muovevano da un duplice ordine di ragioni: (i) è sancito dalle stesse Linee-guida, nella premessa, che il loro obiettivo è quello di fornire mere “indicazioni” e, (ii) “il testo è formulato in termini discorsivi e non precettivi”. Tali sono stati i motivi considerati forieri del riconoscimento della natura non vincolante delle Linee-guida che, sempre secondo il parere citato del Consiglio di Stato, sono altresì qualificabili come “atti regolativi autonomi” in funzione di “parametri integrativi della legge in settori ad alto tasso di tecnicismo”.[11]

Ciò detto, in considerazione del fatto che le Linee-guida emanate dall’ANAC con Delibera del 12 luglio 2023 presentano, a parere di chi scrive, caratteri analoghi a quelli delle Linee-guida oggetto del Parere del marzo del 2020 rilasciato dal Consiglio di Stato, sembra coerente ammettere che, anche in questo caso, ci si trovi di fronte ad uno strumento di “regolamentazione flessibile”, con valore di indirizzo e di orientamento dei comportamenti dei soggetti destinatari del Decreto Whistleblowing.[12] Invero, oltre all’utilizzo di un linguaggio più discorsivo che precettivo, anche nelle premesse delle Linee-guida del luglio 2023 si evidenzia come la finalità delle stesse sia quella di “dare indicazioni per la presentazione ad ANAC delle segnalazioni esterne e per la relativa gestione, come previsto dall’art. 10 del d.lgs. n. 24/2023”, facendo dunque emergere il loro carattere – esclusivamente – orientativo ed integrativo di una fonte principale, quella legislativa costituita dal D. Lgs. n. 24/2023. Peraltro, si legge nelle premesse, che le Linee-guida in questione avrebbero dovuto “regolamentare” il canale di segnalazione esterno (il quale, appunto, è interamente gestito dall’Authority), e non anche le altre modalità di segnalazione, con il risultato che, in relazione a queste ultime modalità, parrebbe ancora più semplice pervenire alla conclusione per cui esse siano prive di una reale efficacia vincolante nei confronti dei soggetti destinatari della nuova disciplina fissata dal Decreto.

Si ritiene, infine, che alle medesime conclusioni possa giungersi con riguardo all’altro strumento ivi considerato – la Guida Operativa emanata da Confindustria – per la quale, parimenti, non sembrano rinvenirsi i caratteri di vincolatività e obbligatorietà tipici delle fonti normative in senso stretto.

In definitiva, si tratta in entrambi i casi di fonti di c.d. soft law, atte ad offrire alle imprese destinatarie della disciplina alcuni princìpi di tipo organizzativo, nonché indicazioni a carattere non vincolante ma che, nondimeno, risultano “idonee a rispondere alle esigenze delineate dal Decreto”. Avendo chiarito questo fondamentale presupposto, nel prossimo paragrafo si procederà a mettere in luce le principali criticità della “ricca” disciplina in tema whistleblowing.

4. Analisi critica del D. Lgs. n. 24/2023: le principali problematiche del whistleblowing

4.1 L’individuazione dei canali interni di segnalazione

Definito il contesto normativo, si vuole da ora spostare l’attenzione su alcune delle maggiori perplessità riscontrate nella concreta prassi di applicazione della disciplina whistleblowing alle imprese italiane.

In primo luogo, si vuole evidenziare la norma di cui all’art. 4 che, nell’imporre ai soggetti del settore pubblico e privato l’attivazione di propri canali di segnalazione, che garantiscano, anche tramite il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione” (c.d. “canali interni di segnalazione”), al comma III prevede espressamente che le segnalazioni siano effettuate “in forma scritta, anche con modalità informatiche, oppure in forma orale. Le segnalazioni interne in forma orale sono effettuate attraverso linee telefoniche o sistemi di messaggistica vocale ovvero, su richiesta della persona segnalante, mediante un incontro diretto fissato entro un termine ragionevole.”.

Orbene, se è corretto ammettere che tale norma rappresenti la novità portante dell’intera disciplina whistleblowing, in quanto valorizza l’importanza della segnalazione, per un verso ed evidenzia la necessità di garantire la riservatezza per tutte le figure coinvolte nella segnalazione per altro verso, è indubbio che la norma presenti elementi di difficile interpretazione. Di seguito, se ne analizzeranno due.

In primis, con riferimento alla possibilità per i segnalanti di effettuare la segnalazione in forma orale, mediante la richiesta di un “incontro diretto” (id est un colloquio con il gestore interno della segnalazione il quale, ai sensi del comma II della medesima previsione, può essere “una persona o […] un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificamente formato per la gestione del canale di segnalazione, ovvero […] un soggetto esterno, anch’esso autonomo e con personale specificamente formato”), la costruzione in forma disgiuntiva della proposizione rende complicato afferrarne il corretto significato giuridico. In altri termini, la presenza della congiunzione “ovvero” indirizzerebbe a concludere che, nella fase di implementazione del canale interno di segnalazione, l’azienda destinataria del Decreto Whistleblowing possa scegliere tra tre differenti strade, vale a dire (i) quella scritta, con modalità informatiche o “analogiche”[13], (ii) quella orale, mediante sistemi di messaggistica vocale o linee telefoniche, oppure (iii) quella orale attraverso l’incontro diretto con il gestore della segnalazione. Da questo deriverebbe che nulla potrebbe essere rimproverato all’ente che scegliesse di predisporre una sola tra le citate modalità di segnalazione interna – anche solo quella dell’incontro diretto, dunque – perché pienamente adempiente alla disciplina whistleblowing.

Tuttavia, nel momento in cui si confronta il testo del Decreto con quello della Direttiva (UE) 2019/1937, la prospettiva cambia al punto da portare l’interprete a conclusioni diametralmente opposte. Infatti, si legge nell’art. 9 co. II della menzionata Direttiva (i.e. nella sua versione ufficiale tradotta in lingua italiana) che “I canali previsti al paragrafo 1, lettera a), consentono segnalazioni in forma scritta od orale. Le segnalazioni orali sono possibili attraverso linee telefoniche o attraverso altri sistemi di messaggistica vocale e, su richiesta della persona segnalante, mediante un incontro diretto entro un termine ragionevole.”. È evidente, pertanto, che, dal punto di vista della legislazione comunitaria, la modalità di segnalazione consistente nell’incontro diretto non sarebbe alternativa a quella scritta e orale (orale tramite linee telefoniche o sistemi di messaggistica vocale), bensì aggiuntiva ad una di esse. In termini differenti, l’impresa che adottasse come unica modalità di segnalazione interna quella orale mediante incontro diretto, non sarebbe compliant con la Direttiva Whistleblowing qui analizzata.[14]

Per ragioni di completezza, si tenga anche conto del fatto che le già citate Linee-guida ANAC hanno optato per adeguarsi alla terminologia disgiuntiva adottata dal Decreto Whistleblowing, richiedendo dunque che le aziende si dotino di modalità di segnalazione “– in forma scritta, anche con modalità informatiche (piattaforma online); – in forma orale, alternativamente attraverso linee telefoniche, con sistemi di messaggistica vocale o incontro diretto (su richiesta)”, ove invece la Guida Operativa emanata da Confindustria nell’ottobre 2023 ha scelto di uniformarsi alla disciplina comunitaria, prevedendo che le segnalazioni interne possano essere effettuate secondo diverse modalità, e segnatamente: “– in forma scritta: analogica o con modalità informatiche; – in forma orale, attraverso linee telefoniche dedicate o sistemi di messaggistica vocale e, su richiesta del segnalante, attraverso un incontro diretto con il gestore della segnalazione, che deve essere fissato entro un tempo ragionevole”.

In secondo luogo, si riscontrano margini di difformità tra le formulazioni legislative del Decreto e della Direttiva Whistleblowing (e rispettivamente, quelle degli artt. 4 co. III e 9 co. II) e quelle adottate da ANAC e Confindustria nei testi emanati in materia whistleblowing. Invero, se dalla lettura delle fonti di hard law ivi citate, sembrerebbe che la scelta relativa alla predisposizione delle modalità di segnalazione (scritta od orale) spetti, di volta in volta, alla società, nelle Linee Guida ANAC e – in termini ancora più espliciti – nella Guida Operativa di Confindustria, parrebbe il contrario: che le imprese siano tenute ad implementare entrambe le modalità (scritta ed orale) e che la decisione su quale “strada” intraprendere ricada esclusivamente in capo al soggetto segnalante.[15]

In relazione alla predisposizione di canali di segnalazione interni emerge, dunque, un panorama regolamentare indubbiamente complesso e discordante. A modo di vedere di chi scrive, tralasciando le previsioni contenute nelle fonti di soft law, per definizione prive di caratteri di obbligatorietà e vincolatività, sembrerebbe più coerente con le finalità dell’intera disciplina whistleblowing uniformarsi alla formulazione sovranazionale, in modo da accogliere un’interpretazione più estensiva della norma, che vada ad intendere l’incontro diretto con il gestore della segnalazione come una modalità aggiuntiva a quella scritta/orale – e non alternativa – per l’effettuazione della comunicazione ex art. 2, co. I, lett. d) del Decreto Whistleblowing.

Rimane invece di particolare complessità il problema interpretativo attinente al secondo punto qui analizzato, concernente la “scelta” delle modalità di segnalazione: è l’impresa ad avere la facoltà di modellare il sistema delle segnalazioni a seconda delle esigenze organizzative o è il Segnalante a poter scegliere di quale delle due modalità (entrambe doverosamente predisposte dalla società) fare uso?

In conclusione, parrebbe anche il caso di sottolineare che, al cospetto di imprese che scelgano di adottare come unica modalità di segnalazione quella dell’incontro diretto (una possibilità che, come si è visto poc’anzi, risulta formalmente ammessa sia dal Decreto Whistleblowing sia dalle Linee-guida ANAC), la non-attivazione da parte dell’Authority investita del potere di irrogare sanzioni (id est proprio l’ANAC), risulterebbe in una riduzione delle chances di giungere a conoscenza di condotte illecite o violazioni di legge.

4.2 La tutela della riservatezza nella gestione delle segnalazioni

Il secondo punto della normativa whistleblowing che si vuole qui mettere in luce attiene invece alla previsione del Decreto che disciplina l’obbligo di riservatezza, vale a dire l’articolo 12. Questa previsione, si è visto, è interamente finalizzata a fornire un primo “scudo” al soggetto in possesso di informazioni rilevanti, in quanto essa esprime in maniera precisa il divieto in capo al gestore della segnalazione di comunicare l’identità del segnalante, ovvero di utilizzare le segnalazioni ricevute per fini diversi da quelli descritti all’interno del medesimo Decreto.

In particolare, a risultare poco chiaro è il quinto comma, ove si stabilisce che “Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità della persona segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione […]. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità della persona segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza del consenso espresso della persona segnalante alla rivelazione della propria identità.”.

Orbene, si parla qui di “riservatezza dell’identità della persona segnalante”, senza che nulla venga aggiunto sulla riservatezza del contenuto della segnalazione che, per altro verso e così come delineato primo comma dell’art. 4, rappresenta uno dei pilastri della disciplina whistleblowing. Il dubbio che viene alla luce dalla lettura di una siffatta disposizione normativa, pertanto, concerne il punto fino al quale vada mantenuto segreto l’oggetto della segnalazione: se cioè, in presenza di procedimenti disciplinari attivati a seguito della ricezione della stessa, vi sia l’obbligo in capo al gestore di mantenere privato anche tale aspetto ovvero se, a fronte della manifestazione del consenso da parte del segnalante, il gestore possa procedere con la rivelazione – non soltanto della sua identità ma anche – del contenuto.

A questo punto, analogamente a quanto svolto in precedenza, si conviene di introdurre la disciplina comunitaria posta dalla Direttiva (UE) 2019/1937. Quest’ultima precisa, all’art. 16 co. I, che “Gli Stati membri provvedono affinché l’identità della persona segnalante non sia divulgata, senza il suo consenso esplicito, a nessuno che non faccia parte del personale autorizzato competente a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni. Altrettanto vale per qualsiasi altra informazione da cui si possa dedurre direttamente o indirettamente l’identità della persona segnalante.” e al comma successivo che “[…] la divulgazione dell’identità della persona segnalante e di qualsiasi altra informazione di cui al paragrafo 1 è ammessa solo qualora ciò rappresenti un obbligo necessario e proporzionato imposto dal diritto dell’Unione o nazionale nel contesto di indagini da parte delle autorità nazionali o di procedimenti giudiziari […]”.

Nessun riferimento viene dunque posto in merito alla possibilità che, nel corso di un procedimento disciplinare, venga rivelato il contenuto della segnalazione, ovvero l’identità del segnalante: la disposizione europea cita espressamente l’opportunità di divulgare tali informazioni con esclusivo riguardo a “procedimenti giudiziari” e “indagini da parte delle autorità nazionali”, con il risultato che, tra le due normative in esame, si registrano disparità di linguaggio e perplessità in merito al processo di traslazione e attuazione della disposizione comunitaria.

Per concludere, in relazione alle Linee-guida ANAC e alla Guida Operativa di Confindustria. Ebbene, in entrambe le fonti viene pedissequamente ricalcato il profilo del Decreto Whistleblowing; invero, si ribadisce la necessità di garantire la riservatezza dell’identità del segnalante e di ogni altra informazione (inclusa l’eventuale documentazione allegata) dalla quale si possa direttamente o indirettamente risalire all’identità di quest’ultimo, senza però nulla aggiungere relativamente ai “limiti” della riservatezza dell’oggetto della segnalazione al cospetto di procedimenti disciplinari attivati nei confronti della/e figura/e coinvolta/e nella segnalazione e in ragione della medesima.

4.3 Le comunicazioni alle organizzazioni sindacali

L’ultimo punto su cui vuole concentrarsi l’analisi oggetto del presente contributo attiene nuovamente alla previsione contenuta all’interno dell’articolo 4 del Decreto, questa volta relativamente al primo comma, ove si precisa che “I soggetti del settore pubblico e i soggetti del settore privato, sentite le rappresentanze o le organizzazioni sindacali di cui all’articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015, attivano […] propri canali di segnalazione […]”. Ebbene, avendo già provveduto a delineare il meccanismo di funzionamento dei menzionati canali interni di segnalazione e le relative criticità (infra paragrafo 3, lett. a) e b)), l’elemento ulteriore di perplessità attiene qui alla comunicazione alle rappresentanze sindacali. Invero, la norma introduce chiaramente il dovere, in capo ai destinatari pubblici e privati del Decreto Whistleblowing, di “sentire” le rappresentanze sindacali o le organizzazioni sindacali di cui all’art. 51 del D. Lgs. n. 81/2015.

Orbene, anche ammettendo che con tale locuzione il legislatore abbia voluto intendere l’obbligo di comunicare l’imminente attivazione dei menzionati canali interni di segnalazione e le relative modalità ai Sindacati, non è affatto chiaro, nella prassi, a quali organizzazioni o rappresentanze sindacali vada effettivamente inoltrata tale comunicazione.

A tal proposito, prendendo come punto di partenza il testo letterale della norma, che parla espressamente di “rappresentanze o […] organizzazioni sindacali di cui all’articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015”, conviene indagare sull’articolo ivi citato, titolato “Norme di rinvio ai contratti collettivi”. Tale disposizione, nell’ottica di definire i “contratti collettivi”, precisa quali soggetti far ricadere all’interno della previsione di nostro interesse (id est l’art. 4 co. I del Decreto Whistleblowing), e segnatamente: (i) le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, (ii) le rappresentanze sindacali aziendali (“RSA”), (iii) la rappresentanza sindacale unitaria (“RSU”).

La comunicazione di cui all’art. 4 andrà pertanto effettuata nei confronti delle organizzazioni sindacali; tuttavia, dalla lettura del combinato disposto di cui agli artt. 4 del D. Lgs. n. 24/2023 e 51 D. Lgs. n. 81/2015, non è ben chiaro se tali soggetti vadano informati cumulativamente (vale a dire, per citare un esempio, se la comunicazione effettuata alla RSA, ove presente, escluda la necessità di mandare avviso anche alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) e chi si identifichi, concretamente, nell’”associazione sindacale comparativamente più rappresentativa sul piano nazionale”.

Attorno a quest’ultimo aspetto si è concentrata l’attenzione dei giudici del Consiglio di Stato i quali, nel 2022, hanno precisato che il concetto di “organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa” vada verificato tramite un “accertamento materiale, basato su indici oggettivi e tangibili”, che sia in grado di dimostrarne la maggiore rappresentatività. In altri termini – precisa il Collegio – “il concetto di rappresentatività comparata (e non più presunta) risulta incompatibile con ogni riconoscimento aprioristico ed irreversibile della rappresentatività in capo ad un’organizzazione sindacale – ancorché tradizionalmente e storicamente rappresentativa – ed impone, di converso, una costante verifica ed un aggiornamento del confronto tra le organizzazioni sindacali sulla base degli indici oggettivamente verificabili e contendibili”. D’altro canto, non necessariamente la nozione di “organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa” coincide con quella di “maggiore rappresentatività sindacale”, che si qualifica invece come locuzione prevalentemente teorica e più frequentemente utilizzata in passato.[16]

Per concludere, si volge rapidamente lo sguardo a quelle fonti di soft law che – si è visto – in diversa misura concorrono a regolamentare il complesso panorama del whistleblowing nell’ordinamento giuridico italiano.

Al riguardo, allora, si sottolinea come entrambe le fonti (e segnatamente, ancora una volta, le Linee-guida ANAC del luglio 2023 e la Guida Operativa di Confindustria datata ottobre 2023) si siano essenzialmente adeguate al linguaggio adottato dal legislatore delegato. Tuttavia, la Guida Operativa di Confindustria specifica che “Per quanto riguarda l’individuazione del sindacato destinatario dell’informativa da parte dell’impresa, in ragione proprio del richiamo all’art. 51 del D.lgs. n. 81/2015, si ritiene che, ove in azienda esistano rappresentanze sindacali aziendali oppure una rappresentanza sindacale unitaria, l’adempimento vada compiuto verso di queste; mentre, nel caso di imprese prive di tali rappresentanze, dovranno essere informate le corrispondenti organizzazioni territoriali delle associazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale.”, fornendo un’indicazione più precisa rispetto al testo dell’art. 4 co. I del Decreto Whistleblowing.[17]

A ben vedere, reale novità in merito risulta essere quella relativa al concreto contenuto della comunicazione da indirizzare ai Sindacati (intesi nel senso attribuito finora). Invero, la medesima Guida Operativa suggerisce all’impresa di fornire l’informazione relativa alla descrizione del canalealmeno negli elementi essenziali che lo caratterizzano (ad esempio, in merito alle modalità di segnalazione, alla gestione della segnalazione, alle informazioni che saranno condivise con i lavoratori, anche con la pubblicazione nel proprio sito internet, piuttosto che nell’ambito aziendale interno).”, per poi aggiungere che “Si ritiene che tale informativa debba intervenire prima della delibera di approvazione dell’atto organizzativo”, ove tale atto consiste in un documento sottoposto all’approvazione dell’organo di indirizzo volto a mettere in luce le procedure per il ricevimento delle segnalazioni e per la loro gestione.[18]

Nessuna menzione sul tema, invece, viene fatta all’interno della Direttiva Whistleblowing, che non specifica in nessun punto la necessità, per i soggetti destinatari della disciplina, di inoltrare una comunicazione informativa dell’attivazione dei canali interni di segnalazione alle organizzazioni sindacali, con la conseguenza ulteriore che potrebbe registrarsi l’ennesimo dubbio sull’opera di corretta trasposizione ed implementazione della normativa sovranazionale all’interno del nostro ordinamento. In fin dei conti, la proliferazione delle fonti in materia ha forse messo in secondo piano il vero obiettivo della disposizione ex art. 4 co. I: quello di coinvolgere in maniera effettiva i sindacati aziendali, ove presenti.

Per tutte le ragioni finora evidenziate e sulla scorta della più recente sentenza in tema emanata dal Consiglio di Stato, sembra allora coerente ammettere che, nell’individuazione dei destinatari delle suddette comunicazioni, vadano considerate le organizzazioni o le associazioni sindacali su base provinciale ovvero, ove assenti, su base regionale.

5. Conclusioni

All’esito dell’attività sin qui svolta, ricognitiva per un verso e critica per altro verso, si vogliono ora proporre alcuni ipotetici spunti di riforma.

Tenuto conto delle finalità della normativa in materia di segnalazione, sembrerebbe sensato in primis interpretare estensivamente le disposizioni del Decreto concernenti le modalità di segnalazione, prevedendo dunque che l’incontro diretto non costituisca una strada alternativa, bensì aggiuntiva rispetto alla segnalazione in forma scritta (da garantire mediante modalità informatiche oppure, eventualmente, tramite vie analogiche), ovvero rispetto alla segnalazione in forma orale, effettuata alternativamente mediante sistemi di messaggistica vocale o linee telefoniche appositamente indirizzate a tal fine. In questo modo, il segnalante beneficerebbe di una possibilità in più per effettuare la segnalazione, con ripercussioni positive sia per l’azienda – che potrà adottare le necessarie misure disciplinari nei confronti dei soggetti coinvolti, modificare i Modelli ex D. Lgs. n. 231/2001, ove presenti, nell’ottica di prevenire fenomeni criminosi analoghi a quello in concreto verificatosi, dimostrarsi “reattiva” a fronte di eventuali procedimenti attivati a suo carico – sia per la collettività.

In secondo luogo, sarebbe opportuno migliorare il grado di chiarezza e precisione del linguaggio normativo impiegato nel Decreto in quanto, come si è avuto modo di sottolineare in numerose occasioni, molte delle criticità ravvisabili nella disciplina traggono origine proprio dalla mancanza di specificità del lessico scelto dal legislatore. Si parla di “obbligo di garantire la riservatezza” ma non si specifica fino a che punto, in ipotesi di attivazione di procedimenti disciplinari interni, debba essere mantenuto confidenziale l’oggetto della segnalazione, come a nascondere l’evidenza che è ben possibile risalire all’identità del segnalante a partire dalla conoscenza del contesto della notizia segnalata. O ancora, si è visto come, se da un lato il Decreto affronta il tema dell’informativa ai Sindacati, dall’altro lato non fornisca termini esaurienti per comprendere a quali associazioni o organizzazioni inviare concretamente tale comunicazione, lasciando l’impresa (o, più spesso, il consulente di cui essa si avvale), in balìa dell’incertezza.

Da ultimo, si sono volute evidenziare porzioni della disciplina nazionale in un certo senso discordanti rispetto a quanto previsto sul piano dell’Unione. Trattasi di espressione della libertà di iniziativa dello Stato membro di scegliere i mezzi per raggiungere gli obiettivi fissati a livello comunitario o meno, è indubbio che, in assenza di fonti ulteriori, diventa primario che la disciplina normativa sia completa sotto ogni aspetto.

Infine, bisognerebbe considerare come la non corretta implementazione dei canali interni di segnalazione sia sanzionata da parte dell’ANAC e, per tale motivo, le incertezze interpretative relative alla corretta implementazione del “sistema whistleblowing” comporterebbero anche ulteriori rischi sotto tale profilo.

 

[1] Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (PE/78/2019/REV/1, OJ L 305, 26.11.2019). Sul punto, si precisa che il presente atto è entrato in vigore in data 16 dicembre 2019.

[2] In merito al presente punto, tra le altre, si vedano G. Cossu, “La disciplina del whistleblowing: le novità introdotte dal D.lgs. n.24/2023 attuativo della Direttiva Europea n.1937/2019”, reperibile al link: https://www.anticorruzione.it/-/la-disciplina-del-whistleblowing-le-novit%C3%A0-introdotte-dal-d.lgs.-n.-24/2023-attuativo-della-direttiva-europea-n.-1937/2019 e AA. VV., “Decreto Legislativo 24 / 2023 – Trasposizione Della Direttiva Europea Sul Whistleblowing 1937/2019, Un primo commento di Transparency International Italia”, consultabile al sito: https://www.transparency.it/informati/news/primo-commento-decreto-legislativo-24-2023-whistleblowing. A tal riguardo si precisa che, data l’ampia portata applicativa del Decreto, sia in termini oggettivi che soggettivi, non verranno trattati tutti gli aspetti introdotti dalla nuova normativa, ma solo alcuni di essi.

[3] Per ragioni di completezza, si riportano di seguito i citati settori: bancario, del credito, dell’investimento, dell’assicurazione e della riassicurazione, delle pensioni professionali o dei prodotti pensionistici individuali, dei titoli, dei fondi di investimento, dei servizi di pagamento. Per un ulteriore approfondimento, si veda l’allegato 1 alla Direttiva (UE) 2019/1937, Parte I.B e II.

[4] Vale a dire: appalti pubblici; servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; sicurezza e conformità dei prodotti; sicurezza dei trasporti; tutela dell’ambiente; radioprotezione e sicurezza nucleare; sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali; salute pubblica; protezione dei consumatori; tutela della vita privata e protezione dei dati personali e sicurezza delle reti e dei sistemi informativi.

[5] Ai sensi dell’art. 3, co. V, le misure di protezione di cui al capo III del medesimo Decreto si applicano anche ai seguenti soggetti: al facilitatore (vale a dire, la persona fisica che assiste il segnalante nel processo di segnalazione, operante all’interno del medesimo contesto lavorativo e la cui assistenza deve rimanere riservata); alle persone del medesimo contesto lavorativo della persona segnalante, di colui che ha sporto una denuncia o di colui che ha effettuato una divulgazione pubblica e che sono legate ad essi da uno stabile legame affettivo o di parentela entro il quarto grado; ai colleghi di lavoro della persona segnalante o della persona che ha sporto una denuncia o effettuato una divulgazione pubblica, che lavorano nel medesimo contesto lavorativo della stessa e che hanno con detta persona un rapporto abituale e corrente; agli enti di proprietà della persona segnalante o per i quali le stesse persone lavorano nonché agli enti che operano nel medesimo contesto lavorativo delle predette persone.

[6] A titolo di completezza, le fattispecie a carattere ritorsivo indicate dall’art. 17 co. IV sono: a) il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti; b) la retrocessione di grado o la mancata promozione; c) il mutamento di funzioni, il cambiamento del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio, la modifica dell’orario di lavoro; d) la sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell’accesso alla stessa; e) le note di merito negative o le referenze negative; f) l’adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria; g) la coercizione, l’intimidazione, le molestie o l’ostracismo; h) la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole; i) la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione; l) il mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine; m) i danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o i pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi; n) l’inserimento in elenchi impropri sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che può comportare l’impossibilità per la persona di trovare un’occupazione nel settore o nell’industria in futuro; o) la conclusione anticipata o l’annullamento del contratto di fornitura di beni o servizi; p) l’annullamento di una licenza o di un permesso; q) la richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

[7] AA. VV., “Decreto Legislativo 24 / 2023 – Trasposizione Della Direttiva Europea Sul Whistleblowing 1937/2019, Un primo commento di Transparency International Italia”, cit., p. 41.

[8] ANAC, “Linee guida in materia di protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali. Procedure per la presentazione e gestione delle segnalazioni esterne.”, 12 luglio 2023, reperibili al link: https://www.anticorruzione.it/documents/91439/7c8290da-f1b0-1c1f-8bc0-3904f023f299.

[9] Confindustria, “Nuova Disciplina “Whistleblowing” – Guida Operativa Per Gli Enti Privati”, ottobre 2023, reperibile al link: https://www.confindustria.it/wcm/connect/764634fd-46ef-42cc-adce-999e16ea4485/Guida+Operativa+Whistleblowing.pdf?MOD=AJPERES&CONVERT_TO=url&CACHEID=ROOTWORKSPACE-764634fd-46ef-42cc-adce-999e16ea4485-oJNmhSD.

[10] ANAC, “Linee Guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del dlgs. n. 165/2001 (c.d. whistleblowing)”.

[11] Cons. di Stato, Sez. I, Parere – 24 marzo 2020, n. 615.

[12] Nello stesso senso, si veda anche N. Traverso, Whistleblowing e linee guida ANAC: dubbi interpretativi e nodi irrisolti, in NT+ Diritto, 28 luglio 2023.

[13] Come definito dalle Linee-guida ANAC e dalla Guida Operativa di Confindustria, per “modalità analogica” si intende un sistema basato sulla consegna di due “buste chiuse” che renda possibile, per il segnalante, riportare la comunicazione in forma scritta e segreta.

[14] In termini analoghi, la versione originale in lingua inglese della Direttiva (UE) 2019/1937, di cui si riporta qui il testo integrale dell’art. 9, co. II: “The channels provided for in point (a) of paragraph 1 shall enable reporting in writing or orally, or both. Oral reporting shall be possible by telephone or through other voice messaging systems, and, upon request by the reporting person, by means of a physical meeting within a reasonable timeframe.”.

[15] A tal proposito, si riportano per esteso le disposizioni rilevanti; art. 4, co. III, D. Lgs. n. 24/2023: “Le segnalazioni sono effettuate in forma scritta, anche con modalità informatiche, oppure in forma orale. (…)”; art. 9, co. II, Direttiva (UE) 2019/1937: “I canali previsti al paragrafo 1, lettera a), consentono segnalazioni in forma scritta od orale. (…)”; Linee-guida ANAC, cit., p. 38: “Inoltre, al fine di agevolare il segnalante, a quest’ultimo va garantita la scelta fra diverse modalità di segnalazione: – in forma scritta (…); – in forma orale (…)”; Guida Operativa Confindustria, cit., p. 11: “Al riguardo, anche alla luce delle LG ANAC, si chiarisce che la scelta della modalità attraverso la quale effettuare la segnalazione tra quella scritta od orale, riguarda il segnalante. Per l’impresa, invece, è obbligatorio predisporre sia il canale scritto – analogico e/o informatico – che quello orale, dovendo mettere entrambi a disposizione del segnalante.”.

[16] Cons. di Stato, Sez. III, Sentenza – 26 settembre 2022, n. 8300. Sul punto, si veda altresì il commento di C. Insardà, “Sindacati, il Consiglio di Stato delinea l’associazione “comparativamente più rappresentativa”, in NT+ Diritto, 31 ottobre 2022.

[17] Guida Operativa, cit., p. 13.

[18] Guida Operativa, cit., p. 13.

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