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Vigilanza amministrativa e scopi di sostenibilità. Considerazioni de iure condendo su un ripensamento del sistema di public enforcement in punto di sostenibilità d’impresa

26 Giugno 2025

Valentina Viti, Ricercatrice di Diritto privato, Università degli Studi di Brescia

Di cosa si parla in questo articolo

[*] SOMMARIO: Lo scritto, prendendo le mosse da una analisi dell’attuale coinvolgimento di diverse autorità di settore nel perseguimento di obiettivi di sostenibilità, si propone di vagliare caratteristiche e criticità dei relativi sistemi di public enforcement, per volgere ad una riflessione sull’opportunità di una ristrutturazione dell’odierno assetto della vigilanza amministrativa in punto di sostenibilità d’impresa e di mercato, che si direzioni verso l’istituzione di una nuova Autorità generale.

ABSTRACT: Starting from an analysis of the current involvement of various sectoral authorities in the pursuit of sustainability objectives, this paper aims to examine the characteristics and critical issues of the related public enforcement systems, in order to reflect on the advisability of restructuring the current framework of administrative oversight concerning corporate and market sustainability, potentially moving towards the establishment of a new general Authority.


1. Obiettivi di sostenibilità e attività delle autorità amministrative indipendenti.

I punti di contatto che la sostenibilità[1], nell’ampia e complessa accezione in cui tale concetto viene inteso[2], mostra con l’attività delle autorità amministrative indipendenti sono ad oggi molteplici[3]. La loro manifestazione ha avuto finora prevalentemente luogo nell’ambito di particolari settori di mercato vigilati, rispetto ai quali l’associazione con obiettivi di sostenibilità può ritenersi aver trovato fondamento in due differenti nuclei giustificativi.

In alcuni settori, affidati al governo di amministrazioni indipendenti, si registra, anzitutto, una inestricabile relazione fra caratteristiche del mercato di riferimento e logiche di sviluppo sostenibile, tale per cui il perseguimento di finalità di sostenibilità da parte delle autorità indipendenti competenti si è mostrato immediatamente discendente dalle dinamiche interne allo specifico settore di mercato. È, ad esempio, il caso, come si vedrà meglio a breve, del settore dell’energia elettrica e dell’azione in esso svolta dalla relativa Autorità, l’Arera[4].

In altri settori, invece, il legame con logiche e obiettivi di sostenibilità appare meno condizionato e non direttamente correlato ai connotati intrinseci al particolare mercato di riferimento, in quanto rappresenta il frutto di un’opzione legislativa ispirata alla necessità di valorizzare e sfruttare la strategicità di tali settori nell’indirizzo dei rapporti economici e nella regolazione del mercato e, dunque, per quanto di nostro interesse, nel perseguimento di generali finalità di sostenibilità nello stesso. Come si avrà modo di approfondire, un siffatto percorso, potremmo dire “indiretto”, è quello che negli ultimi anni ha emblematicamente caratterizzato il settore dei mercati finanziari[5].

Le due diverse situazioni giustificative del connubio sostenibilità-autorità amministrative indipendenti, così individuate, saranno oggetto, nei prossimi due paragrafi, di alcune considerazioni che porteranno a delineare, per i due distinti gruppi di ipotesi, una differente ricostruzione e configurazione dei poteri collegati ad obiettivi di sostenibilità esercitabili dalle authorities chiamate in causa, nonché ad evidenziare l’emergere, nel secondo modello operativo illustrato, di alcune non trascurabili discrasie fra gli interventi normativi volti al perseguimento dei suddetti obiettivi e i sistemi di public enforcement all’uopo predisposti. Ne conseguirà una riflessione de iure condendo sull’opportunità di una ristrutturazione dell’attuale sistema di vigilanza amministrativa, al fine di chiedersi se, per una migliore attuazione degli obiettivi di sostenibilità, sia opportuno immaginare l’istituzione di una nuova relativa Autorità, generale e non settoriale, così da definire i principali aspetti su cui un eventuale disegno di ripensamento del sistema dovrà essere chiamato ad intervenire.

2. La sostenibilità quale parte degli scopi programmatici dell’azione di alcune amministrazioni indipendenti. I casi dell’Arera e dell’Autorità per i trasporti.

Prendendo le mosse dal primo dei due menzionati modelli operativi attraverso cui il connubio fra amministrazioni indipendenti e sostenibilità viene a manifestarsi, occorre, innanzitutto, appurare come innegabile risulti la preordinazione a finalità di sostenibilità “sociale”[6] dei poteri attribuiti alle autorità per i servizi di pubblica utilità. Tale preordinazione, evidentemente connessa e giustificata dalla particolare natura dei beni/servizi considerati e dei bisogni correlati[7], ha una chiara ed esplicita attestazione nel riferimento, contenuto nelle leggi istitutive delle relative autorità, alla necessità che l’azione delle medesime sia diretta ad assicurare e promuovere fruibilità e diffusione omogenea sull’intero territorio nazionale di tali servizi in un’ottica di coesione sociale, nonché a garantire e definire livelli adeguati o minimi di qualità degli stessi e condizioni di accesso equo ai medesimi[8].

Nell’esercizio delle funzioni svolte dalle authorities in discorso, i rilevati obiettivi generali di carattere sociale si compongono con il perseguimento di obiettivi di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse, nonché con la considerazione degli obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti i servizi [9].

È infatti ormai spiccata, nel panorama europeo e nazionale, l’integrazione di politiche di sostenibilità ambientale entro l’obiettivo generale di efficienza del settore energetico e di quello dei trasporti. L’inestricabile relazione fra le dinamiche dei mercati energetici e il principio dello sviluppo sostenibile è, in particolare, confermata dal deciso ed ormai irreversibile indirizzo verso obiettivi riconducibili a tale principio espresso dalle politiche energetiche europee degli ultimi anni e dai conseguenti adeguamenti delle discipline nazionali in tema di efficienza energetica e promozione delle energie rinnovabili[10]. Ne è derivata l’attribuzione all’Autorità di settore, l’Arera, di importanti poteri regolatori in materia[11] ed un generale orientamento dell’attività della stessa verso quella che allo stato attuale deve ritenersi una delle finalità rientranti negli scopi programmatici dell’azione della medesima, ovvero la promozione di un uso razionale e sostenibile delle risorse di propria competenza.

Significative sono state negli ultimi anni anche le iniziative delle istituzioni europee in materia di mobilità sostenibile[12]. Il chiaro percorso tracciato verso l’adozione di politiche di decarbonizzazione e di miglioramento della sostenibilità ambientale del settore dei trasporti ha fatto emergere l’indubbia centralità dell’azione dell’ART nell’attuazione delle suddette politiche, intese dalla medesima Autorità come parte integrante del generale obiettivo dell’incremento di efficienza del sistema complessivo della mobilità, cui la stessa è preposta. Sono a tal fine diversi i processi, già intrapresi, diretti ad implementare, soprattutto attraverso l’attività di regolazione dell’authority, l’opzione verso una mobilità c.d. sostenibile e in grado di disvelare il fondamentale ruolo dell’Autorità nell’orientamento e nell’impulso al relativo percorso di transizione[13].

Tali casi paradigmatici consentono di comprendere con maggiore cognizione come, in queste ipotesi, il coinvolgimento dell’authority nel perseguimento di obiettivi di sostenibilità sia strettamente connesso alla natura e alle caratteristiche proprie del settore governato, intrinsecamente interessato da logiche di sostenibilità, e come ciò vada a ripercuotersi sulla ricostruzione e individuazione dei poteri all’uopo esercitabili dall’autorità.

Se, in altri termini, l’obiettivo di sostenibilità rientra in questi casi a pieno titolo negli scopi programmatici dell’attività dell’amministrazione indipendente e, nelle sue varie possibili declinazioni, concorre all’attuazione della missione istituzionale della medesima amministrazione, ad esso potranno essere preordinati tutti i poteri – inclusi i pregnanti poteri di regolazione – di cui, in base alla sua legge istitutiva e ad eventuali successive attribuzioni legislative, l’autorità dispone per il generale perseguimento dei macro-obiettivi alla stessa affidati[14].

3. L’attribuzione di compiti legati ad obiettivi di sostenibilità a sistemi settoriali di public enforcement cui tali obiettivi non sono connaturati. La Consob e la vigilanza sugli obblighi di informativa non finanziaria.

La caratterizzazione del connubio sostenibilità-autorità indipendenti è invece diversa nel secondo modello operativo. Alla base di esso è riscontrabile la scelta legislativa di perseguire obiettivi di sostenibilità nel mercato unico attraverso l’intervento in particolari settori o partizioni di esso, non in quanto tali obiettivi siano a questi settori o partizioni connaturati (come nel precedente modello), bensì in virtù del riconoscimento a questi ultimi di un ruolo strategico nell’indirizzo dei rapporti economici.

È quanto emblematicamente avvenuto con riguardo al settore dei mercati finanziari, che, per la sua strategicità nell’orientare flussi di investimento, con le prime regolamentazioni degli obblighi di informativa societaria non finanziaria, è stato reso veicolo per il perseguimento di generali obiettivi di sostenibilità, pur non potendosi ritenere le logiche di sostenibilità come intrinsecamente connaturate ad esso[15]. Il riferimento è, in particolare, al regolamento (UE) 2019/2088[16], relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, ma anche alla direttiva 2014/95/UE, relativa alla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario da parte di talune imprese, così come recepita nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 254 del 2016, visto che l’ambito di applicazione dell’obbligo comunicativo da essa previsto è stato originariamente circoscritto agli “enti di interesse pubblico” – ovvero a emittenti valori mobiliari, banche e assicurazioni – rispondenti a determinati requisiti dimensionali[17].

Il peculiare percorso, potremmo dire “indiretto”, così seguito per il perseguimento di obiettivi di sostenibilità ha segnato sensibilmente, in queste ipotesi, i tratti espressivi del connubio sostenibilità-amministrazioni indipendenti, comportando particolari riflessi nella costruzione del relativo public enforcement.

La settorialità dei richiamati interventi normativi, nonché il tipo di controllo richiesto dagli stessi (sostanziantesi in una verifica su dati informativi) ha  infatti indotto il nostro legislatore ad affidarne il sistema di vigilanza amministrativa alla già esistente autorità di settore preposta ad obiettivi di trasparenza, la Consob[18], la quale è stata investita dei poteri di vigilanza sugli obblighi di informativa non finanziaria e dei poteri regolatori volti all’attuazione della relativa disciplina, sentite, in quest’ultimo caso, Banca d’Italia e Ivass per i profili di competenza con riferimento ai soggetti da esse vigilati[19]. In tal modo, tuttavia, si è, ad avviso di chi scrive, accettato il rischio di un sostanziale disallineamento tra gli obiettivi perseguiti dalle discipline introdotte ed il sistema di public enforcement così posto a presidio delle stesse. Un disallineamento derivante dal fatto che le finalità di sostenibilità, a cui tali discipline sono preordinate, in quanto non strettamente connesse alle peculiarità del settore vigilato in cui l’intervento è spiegato, non sono corrispondenti ai macro-obiettivi a cui la generale azione della relativa authority è orientata[20]. Occorre, in altri termini, constatare come la Consob sia stata investita di compiti legati al perseguimento di obiettivi di sostenibilità, senza, tuttavia, potersi dire che tali obiettivi rientrino negli scopi programmatici della sua azione, rivolgendosi questi ultimi, in termini sensibilmente diversi, alla garanzia del corretto ed efficiente funzionamento del sistema finanziario e del mercato dei capitali, alla tutela degli investitori e alla salvaguardia della fiducia degli stessi nel medesimo sistema[21].

La rilevata discrasia e non coincidenza fra obiettivi di sostenibilità perseguiti dall’intervento normativo e missione istituzionale dell’authority preposta al suo public enforcement si lascia apprezzare ponendo attenzione, da un lato, all’assenza in capo a tale autorità di specifiche competenze tecnico-specialistiche in materia di sostenibilità, e, dall’altro lato, alla precisa e rigida perimetrazione dei poteri dalla medesima esercitabili in punto di sostenibilità, rimanendo tali poteri limitati ai compiti e agli strumenti alla stessa specificamente attribuiti dalla particolare disciplina presidiata.

4. I più recenti interventi normativi europei in tema di sostenibilità societaria e l’inadeguatezza del mantenimento di un sistema di vigilanza amministrativa affidato ad una autorità di settore.

Se il ricorso a sistemi settoriali di public enforcement a supporto del perseguimento di obiettivi di sostenibilità, pur manifestando nel secondo modello operativo descritto le rilevate criticità, può dirsi essere stato in grado di conservare, fino ad un certo momento, una propria resilienza, seri dubbi circa l’opportunità del mantenimento di un siffatto sistema devono, ad avviso di chi scrive, avanzarsi a fronte di alcuni importanti, più recenti, interventi normativi europei in materia di sostenibilità societaria. Quello che, nel precedente paragrafo, è stato presentato come un percepibile punto di “disallineamento” tra impianti normativi indirizzati a generali obiettivi di sostenibilità del mercato, seppur per il mezzo di specifici settori dello stesso, e sistemi settoriali di public enforcement, a cui tali obiettivi non risultano connaturati, è destinato, infatti, a divenire un vero e proprio punto di “rottura” al cospetto di discipline che, per il perseguimento dei suddetti obiettivi, hanno adottato un approccio diverso, diretto alla predisposizione di regolamentazioni rivolte a soggetti individuati sulla base di criteri trasversali e, dunque, alla considerazione del mercato nel suo complesso e non di suoi specifici settori.

È quanto avvenuto, innanzitutto, con la direttiva (UE) 2022/2464 del 14 dicembre 2022, c.d. Corporate Sustainability Directive o “CSRD”[22], la quale, intervenendo – per mezzo della modifica e integrazione della direttiva 2013/34/UE – ad integrazione e modifica della precedente direttiva 2014/95/UE, ha, fra l’altro, esteso l’ambito di applicazione della normativa sulla rendicontazione di carattere «non finanziario», includendo nel raggio dei destinatari dei relativi obblighi di informativa anche tutte le società che mostrino di raggiungere una determinata dimensione, pur non rientrando tra le società quotate e gli altri enti di interesse pubblico[23].  Che l’indiscutibile rilievo di tale novità consista nell’abbandono da parte del legislatore europeo della logica dell’elezione del settore finanziario quale esclusivo campo di intervento in materia di sostenibilità d’impresa è difficile da negare[24].  Ed è verso questo percorso che si è, da ultimo, nuovamente indirizzato lo stesso legislatore europeo con l’approvazione della direttiva (UE) 2024/1760 del 13 giugno 2024[25], c.d. Corporate Sustainability Due Diligence Directive, con la quale, nel prevedere importanti obblighi di gestione aziendale dei rischi legati alla sostenibilità[26], si sono incentrate le condizioni volte a definire l’ambito applicativo dei medesimi obblighi interamente su criteri di tipo dimensionale, optando per un intervento evidentemente fondato su un approccio trasversale al mercato unico[27].

Rispetto ad una siffatta più recente linea di tendenza, il mantenimento di un sistema di public enforcement affidato ad una autorità settoriale mostrerebbe, ad avviso di chi scrive, evidenti segni di inadeguatezza, segni di cui, peraltro, già si è prospettata una concreta dimostrazione in occasione del recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 2022/2464[28]. In tale sede, infatti, l’opzione per la conservazione in capo alla Consob del presidio della disciplina sulla rendicontazione non finanziaria ha avuto come conseguenza, potremmo dire necessaria, quella di circoscrivere l’ambito di vigilanza dell’Autorità, in relazione a tale disciplina, alle società quotate sulle quali la medesima già esercita un’attività di controllo[29], escludendo dal perimetro della vigilanza amministrativa sulla rendicontazione di sostenibilità quelle società non quotate che, in base alle modifiche apportate dalla CSRD, a tale rendicontazione sono tuttavia assoggettate. Difficile negare la “falla” in tal modo creata nel public enforcement della disciplina in discorso. Di fronte all’estensione dell’ambito applicativo della normativa sull’informativa non finanziaria a soggetti attualmente non sottoposti a vigilanza amministrativa (le società non quotate di grandi dimensione), piuttosto che optare per una evoluzione organizzativa ed operativa del medesimo sistema di vigilanza amministrativa che consentisse di far ricadere nel perimetro della stessa tutti i destinatari della disciplina presidiata, si è preferito rimanere ancorati ad un’ottica conservativa, che, in modo poco rispondente alle nuove esigenze di interesse generale alla base degli obiettivi perseguiti, è destinata a dare luogo ad incompletezze e carenze nella tutela amministrativa della sostenibilità societaria.

5. La necessità del superamento di una prospettiva settoriale del public enforcement nel recepimento della c.d. direttiva Due Diligence.

L’opportunità dello sviluppo di una più ampia riflessione in ordine ad una ristrutturazione del sistema di vigilanza amministrativa in punto di sostenibilità d’impresa rappresenta, allo stato attuale, l’immediata conseguenza della necessità di portare a coerente compimento le indicazioni offerte dalla direttiva Due Diligence.

È vero che quest’ultima lascia agli Stati membri la consueta libertà organizzativa nell’individuare la specifica autorità di controllo preposta al presidio della disciplina, prevedendo all’uopo la possibilità di designare una o più autorità e non escludendo che possa trattarsi delle stesse autorità preposte alla vigilanza delle imprese finanziarie regolamentate[30].

È, tuttavia, altrettanto innegabile che la medesima direttiva vada a prescrivere la predisposizione di un articolato e pervasivo sistema di vigilanza sulla sostenibilità societaria che, ad avviso di scrive, non può ritenersi ammettere incompletezze e carenze operative e, per questo, di fatto impone l’abbandono di una prospettiva settoriale del public enforcement in tema di sostenibilità[31].

Il superamento di una tale prospettiva deve, infatti, ritenersi l’opzione preferibile, se non necessitata. Perseverare nel coinvolgimento della Consob (o di altra autorità di settore) dovrebbe portare – come già accaduto in sede di recepimento della CSRD – ad escludere alcuni destinatari della normativa dal novero dei soggetti vigilati per la sua osservanza, con evidenti lacune nel presidio pubblicistico della disciplina stessa. Né avrebbe alcun senso, al fine di evitare siffatte lacune, ampliare l’ambito soggettivo di esercizio dell’attività di controllo da parte dell’Autorità di settore, perché, in questo caso, si correrebbe il serio rischio di un sostanziale snaturamento delle caratteristiche funzionali della medesima autorità.

Vi sono, invero, ulteriori non trascurabili ragioni in favore della soluzione auspicata, laddove si consideri la caratterizzazione qualitativa degli obblighi imposti dalla Due Diligence e i riflessi da tale caratterizzazione derivanti in ordine al tipo di vigilanza amministrativa richiesta.

Con la direttiva in esame, infatti, il legislatore europeo, nel segno di un importante cambio di passo rispetto alla strategia fino a tale momento seguita in punto di sostenibilità societaria[32], non si è limitato ad imporre alle società considerate obblighi di comunicazione di dati e informazioni sul loro impatto sostenibile. Egli ha altresì previsto un vero e proprio dovere di diligenza orientato ad una gestione aziendale sostenibile, involgente non solo un’attività di individuazione e rendicontazione degli impatti negativi effettivi o potenziali sui diritti umani e sull’ambiente[33], ma anche una più pregnante attività di predisposizione di misure appropriate e di sviluppo di strategie adeguate a prevenire, attenuare o arrestare tali impatti[34]. La peculiare connotazione degli obblighi così imposti non può ritenersi non incidere sulla caratterizzazione qualitativa della relativa attività di vigilanza da parte dell’autorità pubblica.

Quest’ultima non potrà limitarsi a controllare la completezza e attendibilità del dato o dell’informazione comunicata, ma dovrà opportunamente orientarsi verso una verifica avente ad oggetto le misure gestionali adottate e la loro adeguatezza, come può dedursi dalla specificazione dei poteri riconosciuti alle autorità di controllo contenuta nella medesima direttiva[35].

Siffatta attività di vigilanza andrebbe ad allontanarsi marcatamente dalla tradizionale attività di controllo svolta dalla Consob.

Se il recepimento della CSRD ha posto, rispetto all’individuazione di quest’ultima autorità quale authority competente, un problema per così dire “quantitativo”, perché strettamente correlato alla estensione del novero dei soggetti vigilati, il recepimento della direttiva Due Diligence porrebbe, rispetto alla medesima individuazione, anche un problema di natura più marcatamente “qualitativa”, stante l’attribuzione a tale organismo di poteri di controllo di tipo sostanzialmente diverso da quelli allo stesso tradizionalmente attribuiti. Il controllo non potrebbe più limitarsi alla correttezza e trasparenza dei comportamenti, dovendosi estendere all’adeguatezza di una attività societaria organizzativo-gestionale[36].

Lo svolgimento di una siffatta attività di verifica, per la sua maggiore inerenza al merito del tema della sostenibilità, porterebbe, inoltre, ad acuire le problematiche legate alla assenza in capo alla Consob – come in capo alle altre autorità dei mercati finanziari – di specifiche competenze tecnico-specialistiche in materia.

Tali rilievi inducono dunque a confermare la necessità di un superamento dell’attuale carattere settoriale del sistema di public enforcement in punto di sostenibilità d’impresa, aprendo la strada ad una riflessione sulle direttrici di un possibile disegno di ripensamento dello stesso.

6. L’istituzione di una Autorità per la sostenibilità d’impresa e del mercato: spunti di riflessione.

Alle considerazioni finora svolte, poste a fondamento dell’opinione favorevole al superamento di un sistema di public enforcement sulla sostenibilità societaria affidato ad una autorità di settore, va affiancato un ulteriore elemento valutativo in grado di supportare il convincimento circa l’opportunità dell’istituzione di una autorità generale deputata alla vigilanza amministrativa in materia.

A seguito dell’approvazione della direttiva Due Diligence e di quello che sarà il suo recepimento, è necessario prendere atto dell’esistenza di un corpus normativo trasversale in tema di sostenibilità d’impresa, alquanto sostanzioso e di rilievo.

Ciò vale già da solo a giustificare il ricorso al modello di una autorità ad hoc posta a garanzia e presidio di un apparato regolatorio-normativo organico e strutturato, perché tale modello è già ben presente nel nostro come in altri ordinamenti. Ne rappresentano esempi paradigmatici l’istituzione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e del Garante per la privacy, strettamente ed intrinsecamente correlate all’attuazione e al presidio di due specifiche normative di rilievo, quali la normativa antitrust e quella in materia di protezione dei dati personali[37]. L’impianto normativo attualmente esistente in tema di sostenibilità societaria deve, ad avviso di chi scrive, ritenersi poter fondare e giustificare il ricorso ad un siffatto modello di vigilanza amministrativa, incentrato sull’attività di una authority generale (cioè non preposta ad un particolare settore di mercato), munita di una competenza riferita ad uno specifico (e trasversale) complesso normativo.

L’insieme delle riflessioni svolte spinge, allora, ad auspicare l’istituzione nel nostro ordinamento di una nuova autorità: una Autorità per la sostenibilità d’impresa e del mercato.

La sua costituzione, raccogliendo la sfida lanciata dalla direttiva Due Diligence, eleverebbe la tutela della sostenibilità nella gestione societaria e nel mercato ad interesse di per sé presidiato da un sistema di public enforcement, evitando il passaggio, a tratti farraginoso e lacunoso, attraverso sistemi di vigilanza settoriale.

Si tratterebbe di una Autorità che vedrebbe collocata la tutela di obiettivi di sostenibilità nell’ambito della propria missione istituzionale e che, pertanto, sarebbe attributaria di una gamma di poteri più ampiamente strutturati attorno a tali obiettivi e, a tal fine, munita della necessaria competenza tecnico-specialistica in materia[38].

A tale nuova Autorità si andrebbe, innanzitutto, ad assegnare competenza per l’attuazione ed il controllo della normativa di recepimento della direttiva Due Diligence. Ciò comporterebbe chiaramente la necessità di prevedere meccanismi di collaborazione, espressamente prospettati dalla medesima direttiva[39], con quelle autorità di settore – si pensi a Consob e Banca d’Italia – che risultassero interessate, in virtù della qualifica dei soggetti vigilati e della loro competenza rispetto a discipline aventi profili di complementarità con la regolamentazione di cui alla Due Diligence[40].

Ma l’istituzione della nuova amministrazione indipendente potrebbe anche rappresentare l’occasione per vagliare con maggiore accortezza i riparti di competenza fra autorità nella materia in esame e per pensare ad una più ampia razionalizzazione del quadro della vigilanza amministrativa sulla sostenibilità d’impresa, a partire da una migliore implementazione della direttiva 2022/2464 sulla rendicontazione di carattere non finanziario. Si potrebbe, infatti, in merito, rivalutare il punto dell’individuazione dell’autorità attributaria dei poteri di controllo su tale rendicontazione, senza scartare l’eventualità che l’opzione attualmente accolta in favore della Consob venga a modificarsi, indirizzandosi verso la nuova Autorità.

Ferma sul punto la necessità di un coordinamento con la Consob ove la vigilanza riguardi soggetti afferenti al mercato di riferimento della stessa, si riuscirebbe in tal modo a superare le carenze oggi manifestate dal presidio pubblicistico della disciplina sulla rendicontazione non finanziaria, estendendo il relativo sistema di public enforcement a tutti i soggetti destinatari della stessa, anche se non rientranti fra quelli già controllati dall’Autorità summenzionata.

Tale soluzione consentirebbe, inoltre, di valorizzare in modo ancor più efficace la complementarità che la normativa sull’informativa non finanziaria mostra rispetto agli obblighi di due diligence di cui alla direttiva 2024/1760, permettendo ai due apparati normativi di ottimizzare la loro operatività sinergica[41].

L’istituzione della nuova Autorità generale, d’altro canto, porterebbe con sé la non remota possibilità del proporsi di questioni attinenti al riparto di competenze fra questa ed alcune authorities di settore, legate all’eventualità che discipline “orizzontali” presidiate dalla nuova amministrazione presentino punti di contatto, sovrapposizione o contrasto con discipline “verticali” affidate all’attuazione e alla vigilanza di amministrazioni di settore.

Il problema, da tempo emerso e ben noto con riguardo ai regolamenti di competenza di altre autorità generali con autorità settoriali[42], dovrà, di fronte a già presenti indici rivelatori di potenzialità di verificazione[43], essere opportunamente considerato dal nostro legislatore. Non a caso, la questione è prospettata ed affrontata dalla medesima direttiva Due diligence, che, nel § 3 dell’art. 1 [44], detta un criterio risolutivo di possibili conflitti fra le sue norme e quelle di altro atto legislativo dell’Unione, ricalcante il criterio di risoluzione previsto, a fronte di analoga situazione, dall’art. 4, § 3, della direttiva 2005/29 in materia di pratiche commerciali scorrette[45]. L’analogia fra le due previsioni normative potrebbe, allora, legittimare tanto il legislatore italiano, in sede di recepimento della direttiva 2024/1760, quanto l’interprete, in sede di applicazione della relativa disciplina attuativa, ad avvalersi, nella soluzione della questione problematica posta, degli esiti interpretativi cui si è giunti, a seguito di un non poco travagliato percorso, con riguardo alla richiamata disposizione in tema di pratiche commerciali scorrette[46].

Le riflessioni sommariamente svolte in questa parte finale dello scritto non perseguono, però, alcuna pretesa di completezza e intendono solo richiamare alcuni aspetti che andrebbero opportunamente valutati nell’ambito di un disegno di ripensamento del sistema di vigilanza amministrativa in punto di sostenibilità d’impresa e di mercato.

Si tratta di un disegno la cui attuazione senz’altro richiederebbe uno sforzo costruttivo non indifferente. Ad oggi, però, essa sembra rappresentare la direzione verso cui propendere alla luce delle indicazioni provenienti dai più recenti approdi normativi in materia.

 

[*] Lo scritto riproduce, con diverse integrazioni, il testo della Relazione presentata al convegno su “Dottrine generali della sostenibilità. Verso una teoria del «diritto privato sostenibile»?”, tenutosi il 24, 25 e 26 ottobre 2024 presso l’Università degli Studi della Tuscia ed è destinato, con variazioni minime, alla raccolta degli atti del convegno.

[1] Da una analisi delle fonti internazionali, euro-unitarie e nazionali si ritiene di poter riconoscere al concetto normativo della sostenibilità natura di principio dell’ordinamento. Espressamente declinata in tali termini solo nell’art. 37 della CDFUE, la stessa si pone, nei vari trattati e convenzioni che la richiamano e nelle disposizioni costituzionali che ad oggi ad essa si riferiscono (artt. 9 e 41 Cost.), quale “valore”, “obiettivo” volto ad orientare l’attività legislativa, ponendo ad essa limiti e linee di indirizzo. Non manca in dottrina chi preferisce intendere la sostenibilità quale clausola generale dell’ordinamento, si veda, in tal senso, E. Caterini, Sostenibilità e ordinamento civile, Napoli, 2018, pp. 83 ss.; F. Lubian, La sostenibilità come clausola generale: una prospettiva comparata, in Nuova giur. civ. comm., 2024, 3, pp. 738 ss. Dubbi, invece, sulla possibilità di ricondurre la sostenibilità tanto ad un “principio”, quanto ad una “clausola generale” sono espressi da G. Guizzi, La sostenibilità sub specie iuris, in Nuovo diritto civile, 4, 2024, pp. 3 ss., il quale, nell’interrogarsi sul valore giuridico della nozione, prospetta il rischio di incorrere in una formula priva di valore o in una mera espressione di sintesi di un insieme di valori già riconosciuti e tutelati dall’ordinamento. Sui concetti di “principio” e “clausola generale”, cfr., ex multis, P. Rescigno, Sui principi generali del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, p. 380; V. Velluzzi, Le clausole generali. Semantica e politica del diritto, Milano, 2010; S. Patti, Ragionevolezza e clausole generali, Milano, 2013; Id., Principi, clausole generali e norme specifiche nell’applicazione giurisprudenziale, in Giust. civ., 2016, p. 246; A. Gentili, Il diritto come discorso, in G. Iudica e P. Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 2013, pp. 336 ss.; G. Alpa, CESL, diritti fondamentali, principi generali, disciplina del contratto, in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, p. 150.

[2] Il concetto di sostenibilità, così come ricavabile dalle diverse fonti che, a vari livelli, hanno portato all’affermazione del relativo principio, si caratterizza per una intrinseca complessità, derivante dalla rilevanza ed interconnessione entro lo stesso di profili ambientali, sociali ed economici. I diversi aspetti, riconducibili al concetto in discorso, della gestione delle risorse naturali in una prospettiva di lungo periodo attenta al mantenimento delle stesse, all’integrità degli eco-sistemi e alla biodiversità, della crescita e dello sviluppo economico, della tutela dei diritti umani, della condivisione e partecipazione e della lotta alle diseguaglianze e alla povertà in un’ottica di giustizia sociale denotano la complessità contenutistica del termine “sostenibilità”, il quale tende ad implicare e a riassumere in sé un bilanciamento tra necessità non coincidenti, bilanciamento ben espresso dalla formula dello “sviluppo economico e sociale sostenibile” o, più sinteticamente, dello “sviluppo sostenibile”. Sulle origini e sulla affermazione del principio della sostenibilità o dello sviluppo sostenibile in sede internazionale, comunitaria e nazionale cfr., fra gli altri, F. Fracchia, Il principio dello sviluppo sostenibile, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino, 2021, pp. 181 ss.; G. Alpa, Responsabilità degli amministratori di società e principio di «sostenibilità», in Contr. e impr., 2021, p. 728; D. Imbruglia. Mercato unico sostenibile e diritto dei consumatori, in Persona e mercato, 3, 2021, pp. 496 ss.; M. Delsignore, Lo sviluppo sostenibile e la sua evoluzione: da principio privo di cogenza giuridica a modello da realizzare anche per il tramite del diritto, in Lexambiente, 2023, 1, pp. 1 ss.

[3] La letteratura sulle autorità amministrative indipendenti risulta, ad oggi, vastissima. Senza alcuna pretesa di completezza si rinvia, fra gli altri, a A. La Spina e G. Majone, Lo stato regolatore, Bologna, 2000; A. La Spina, Le autorità indipendenti, Bologna, 2008; M. D’Alberti, voce Autorità indipendenti (dir. amm.), in Enc. giur. Treccani, IV, 1995; M. Manetti, voce Autorità indipendenti (dir. cost.), in Enc. giur. Treccani, IV, 1997; Ead., Poteri neutrali e costituzione, Padova, 1994; Ead., Le autorità indipendenti, Roma-Bari, 2007; P. Lazzara, Autorità indipendenti e discrezionalità, Padova, 2001; N. Longobardi (a cura di), Autorità amministrative indipendenti e sistema giuridico-istituzionale, Torino, 2009; F. Merusi, Democrazia e autorità indipendenti, Bologna, 2000; Aa.Vv. (a cura di), Autorità indipendenti e principi costituzionali, Atti del Convegno dell’Associazione Italiana Costituzionalisti, Sorrento 30 maggio 1997, Padova, 1999; F. Bassi e F. Merusi (a cura di), Mercati e amministrazioni indipendenti, Milano, 1993; F.S. Severi (a cura di), Le autorità amministrative indipendenti – Aspetti problematici, Milano, 1998; G. Vesperini e G. Napolitano (a cura di), Le autorità indipendenti: norma, procedimento e giudice, Viterbo, 1998; S.A. Frego Luppi, L’amministrazione regolatrice, Torino, 1999; A. Predieri, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti, Firenze, 1997; Id. (a cura di), Le autorità indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici, Firenze, 1997; Aa.Vv. (a cura di), Regolazione e garanzia del pluralismo. Le autorità amministrative indipendenti, Milano, 1997; G. Amato, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1997, pp. 647 e ss.; S. Niccolai, I poteri garanti della Costituzione e le autorità indipendenti, Pisa, 1996; S. Cassese e C. Franchini (a cura di), I garanti delle regole, Bologna, 1996; M. Passaro, Le amministrazioni indipendenti, Torino, 1996; G. Pericu, Brevi riflessioni sul ruolo istituzionale delle autorità amministrative indipendenti, in Dir. amm., 1996; V. Roppo, Sulla posizione e sul ruolo istituzionali delle nuove autorità indipendenti, in Politica del Diritto, 2000, pp. 159-166; G. Giraudi e S. Righettini, Le autorità amministrative indipendenti. Dalla democrazia della rappresentanza alla democrazia dell’efficienza, Roma-Bari, 2001; F. Grassini (a cura di), L’indipendenza delle autorità, Bologna, 2001; M. Cuniberti, Autorità amministrative indipendenti e Costituzione, in Riv. dir. cost., 2002, pp. 3-82; F. Francario (a cura di), Diritti, interessi e amministrazioni indipendenti, Milano, 2003; P. Cavaleri, P. Duret e G. Dalle Vedove (a cura di), Autorità indipendenti e agenzie, Padova, 2003; M. Clarich, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Bologna, 2005; S. Valentini, Le autorità indipendenti, Milano, 2005; G. Grasso, Le autorità amministrative indipendenti della Repubblica, Milano, 2006; G.C. Di San Luca, Le autorità indipendenti: una ricognizione fra problemi e prospettive di sistemazione, Torino, 2002; M. Zuppetta, Le Autorità amministrative indipendenti: modello superato o consolidato?, Napoli, 2005; R. Chieppa e G.P. Cirillo (a cura di), Le autorità amministrative indipendenti, in G. Santaniello (diretto da), Trattato di diritto amministrativo, Padova, 2010; C. Giordano e A. Napolitano (a cura di), Le autorità amministrative indipendenti. L’evoluzione oltre la contraddizione, Roma, 2019; A. Contieri, M. Immordino e F. Zammartino (a cura di), Le autorità amministrative indipendenti tra garanzia e regolazione, Napoli, 2021; F. Takanen, Le autorità amministrative indipendenti, Padova, 2022.

[4] Per una esemplificazione di questo primo gruppo di casi, cfr., infra, quanto si dirà nel par. 2 dello scritto.

[5] Per tale approfondimento si veda, infra, il par. 3 del presente lavoro.

[6] Sulla complessità del concetto di sostenibilità, volto ad includere anche una accezione “sociale” della stessa, si veda, supra, la nota 2 del presente scritto.

[7] Con particolare riguardo al settore energetico, sottolineando la natura primaria ed esistenziale dei bisogni e degli interessi aventi rilievo nello stesso, S. Zuccarino, Il contratto «conformato» quale statuto normativo del mercato energetico, Napoli, 2021, pp. 24 ss., ritiene l’intervento regolatorio dell’Arera volto «a modellare il contratto al fine di funzionalizzarlo nell’ottica di una economia sociale di mercato e nella dimensione della sostenibilità».

[8] L’art. 2 della l. n. 485 del 1995, istitutiva delle Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico e per le telecomunicazioni, nel comma 12 ricollega espressamente le funzioni attribuite dalla disposizione a tali autorità al perseguimento delle finalità di cui all’art. 1 della medesima legge. Tra queste finalità, il comma 1 di tale ultima norma enuncia quella di «garantire (…) adeguati livelli di qualità nei servizi medesimi in condizioni di economicità e redditività, assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori». L’art. 37 del d.l. n. 201 del 2011 (convertito in legge, con modificazioni, dalla l. n. 214 del 2011), con cui si è istituita, nell’ambito delle attività di regolazione dei servizi di pubblica utilità di cui alla l. n. 481 del 1995, l’Autorità di regolazione dei trasporti, prevede, nel comma 2, che l’Autorità provvede, fra l’altro, a «garantire (…) l’efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle resti autostradali» e a «stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico».

[9] Espresso è, quanto alla definizione del sistema tariffario, il riferimento, contenuto nel comma 1 dell’art. 1 della l. n. 485 del 1995, alla armonizzazione degli «obiettivi economico-finanziari dei soggetti esercenti il servizio con gli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse».

[10] Per una ricognizione delle politiche energetiche orientate nel senso dello sviluppo sostenibile adottate nel diritto internazionale, in quello europeo e nell’ordinamento italiano, cfr., fra gli altri, recentemente F. Vetro, Sviluppo sostenibile, transizione energetica e neutralità climatica, in Riv. ital. dir. pubbl. comunitario, 2022, 1, pp. 53 ss. Si segnalano, fra gli ultimi interventi normativi, la direttiva europea 2023/1791 sull’efficienza energetica e, in ambito nazionale, il decreto-legge n. 181/2023, convertito in legge con la l. n. 11/2024, recante disposizioni in tema di sicurezza energetica e di promozione del ricorso alle fonti rinnovabili di energia.

[11] Entro la funzione di regolazione riconosciuta all’Arera in materia di sviluppo sostenibile vanno richiamati i poteri normativi ad essa attribuiti in relazione alla disciplina di dettaglio di diversi strumenti contemplati nel d.lgs. n. 199 del 2021 in tema di promozione dell’energia da fonti rinnovabili o, ancora, in relazione all’attuazione delle previsioni legislative di cui al decreto-legge n. 162 del 2019 in tema di autoconsumo di energia rinnovabile e comunità energetiche rinnovabili.

[12] Si deve rilevare il forte impulso dato a livello europeo alla transizione verso la mobilità a zero emissioni e la decarbonizzazione, che ha visto, fra i più significativi interventi normativi, l’emanazione del regolamento (UE) 2019/631, con cui si sono imposti limiti per le emissioni delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi, limiti rafforzati con il successivo regolamento (UE) 2023/851; l’emanazione del regolamento (UE) 2023/1804 in materia di utilizzo di combustibili alternativi nel trasporto stradale, con cui si sono fissati obiettivi minimi obbligatori per la realizzazione di infrastrutture di ricarica e rifornimento accessibili al pubblico; l’adozione della direttiva 2023/958/UE, recepita con il d.lgs. n. 147 del 2024, sul contributo del trasporto aereo all’obiettivo di riduzione delle emissioni; l’emanazione del regolamento (UE) 2023/1805 sull’uso di combustibili rinnovabili e a basse emissioni di carbonio nel trasporto marittimo. Per un maggiore approfondimento riguardo alle iniziative europee e nazionali in materia di mobilità sostenibile, cfr., Camera dei deputati, Servizio Studi, XIX Legislatura, La mobilità sostenibile, 14 ottobre 2024, in www.camera.it.

[13] Solo a titolo esemplificativo si può segnalare, fra le altre, la recente delibera Art n. 53 del 2024, recante “Condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto locale su strada connotati da obblighi di servizio pubblico”, nella quale vengono enucleati gli indicatori volti ad individuare e monitorare le condizioni minime di sostenibilità ambientale dei servizi di trasporto pubblico locale. Per riferimenti più generali al ruolo dell’Autorità in tema di mobilità sostenibile si veda l’Intervento del Presidente ART, Nicola Zaccheo, al web event Cittadini, Istituzioni e aziende insieme per una nuova mobilità, in www.autorita-trasporti.it.

[14] Nell’istituire le Autorità per i servizi di pubblica utilità, l’art. 2 della l. n. 481 del 1995, nel suo comma 12, ha previsto che, nel perseguimento delle finalità di cui all’art. 1 della stessa legge, ciascuna autorità svolga una serie di funzioni, fra le quali, in base alla lett. h), quella di emanare «le direttive concernenti la produzione e l’erogazione dei servizi da parte dei soggetti esercenti i servizi medesimi, definendo in particolare i livelli generali di qualità riferibili al complesso delle prestazioni e i livelli specifici di qualità riferiti alla singola prestazione da garantire all’utente». Si è, in questo modo, attribuito a tali amministrazioni indipendenti un potere di regolazione molto ampio, delimitato “funzionalmente” dalle finalità definite, in termini alquanto generali, nel comma 1 dell’art. 1 del testo normativo in discorso, finalità entro le quali non si fatica a ricondurre, nella loro composita accezione, obiettivi di sostenibilità, senza dubbio ad oggi includibili nella «finalità di garantire la promozione (…) dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità», oltre che nell’obiettivo di assicurarne adeguati livelli di qualità e una fruibilità e diffusione omogenea sull’intero territorio nazionale.

[15] Similmente è accaduto con riguardo al settore dei contratti pubblici che, per la sua potenziale strumentalità rispetto al perseguimento di politiche ed interessi orizzontali, ha visto nella disciplina dei Criteri Ambientali Minimi (di cui all’art. 57 del nuovo Codice dei contratti pubblici, il d.lgs. n. 36 del 2023) un mezzo, uno strumento strategico per promuovere la sostenibilità ambientale nell’Unione europea, pur non potendosi ritenere l’obiettivo della sostenibilità ambientale come inestricabilmente legato alle caratteristiche e alle dinamiche del settore. Sul nesso fra disciplina dei contratti pubblici e perseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile si veda A. Maltoni, Contratti pubblici e sostenibilità ambientale: da un approccio “mandatory-rigido” ad uno di tipo “funzionale”?, in CERIDAP, 2023, 3, pp. 64 ss.

[16] Sulla disciplina relativa all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari di cui al regolamento (UE) 2019/2088 del 27 settembre 2019 (il c.d. Sustainable Finance Disclosure Regulation o “SFDR) cfr., fra gli altri, T. Di Marcello, Strategia europea sulla finanza sostenibile, informazione societaria e possibili riflessi sulla gestione della società, in Giur. comm., 2023, 4, pp. 612 ss.

[17] Per l’individuazione dell’ambito di applicazione dell’obbligo comunicativo in discorso e la relativa specificazione del requisito dimensionale si veda l’art. 2 del d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254, che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva 2014/95/UE del 22 ottobre 2014 (c.d. Non-Financial Reporting Directive o “NFRD”). Sulla normativa relativa alla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario, cfr., E. Bellisario, Rischi di sostenibilità e obblighi di disclosure: il d.lgs. n. 254/2016 di attuazione della dir. 2014/95/UE, in Le nuove leggi civili commentate, 2017, I, pp. 19 ss.; S. Bruno, Dichiarazione “non finanziaria” e obblighi degli amministratori, in Riv. soc., 2018, pp. 974 ss.; S. Fortunato, L’informazione non-finanziaria nell’impresa socialmente responsabile, in M. Castellaneta e F. Vessia (a cura di), La responsabilità sociale d’impresa tra diritto societario e diritto internazionale, Napoli, 2019, pp. 115 ss.; M. Maugeri, Informazione non finanziaria e interesse sociale, in Riv. soc., 2019, pp. 1026 ss.; P. Sfameni, Disciplina dell’informazione a carattere non finanziario e mercati regolamentati. Problemi e prospettive, in D. Caterino e I. Ingravallo (a cura di), L’impresa sostenibile. Alla prova del dialogo dei saperi, Lecce, 2020, pp. 197 ss.; Ann. Genovese, I bilanci di sostenibilità dopo la Non Financial Reporting Directive: rilevanza e prospettive, in C. Costa, A. Mirone, R. Pennisi, P.M. Sanfilippo e R. Vigo (a cura di), Studi di diritto commerciale per Vincenzo Di Cataldo. Impresa, società, crisi d’impresa, Torino, 2021, vol. II, t. I, pp. 375 ss.

[18] Allo stesso modo, per l’ipotesi analoga, quanto a modello operativo, del perseguimento di obiettivi di sostenibilità ambientale attraverso la valorizzazione della strategicità del settore dei contratti pubblici (si veda, supra, la nota 15), si è affidata all’Anac l’attività di monitoraggio sull’applicazione dei Criteri Ambientali Minimi nella documentazione progettuale e di gara, nonché la funzione regolatoria volta ad attuare le norme in materia di sostenibilità ambientale degli acquisti pubblici. Tale compito di monitoraggio era attribuito all’Autorità dal comma 9 dell’art. 213 del Codice dei contratti pubblici del 2016, il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50; in assenza di una disposizione analoga nella disciplina riformata contenuta nel nuovo Codice dei contratti pubblici, rimane efficace, fino alla relativa scadenza, il Protocollo di intesa tra il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e l’Anac, sottoscritto il 29 ottobre 2021, con cui si è sancita la collaborazione tra i due Enti per le attività regolatorie e di indirizzo, di monitoraggio e sorveglianza sull’applicazione dei CAM.

[19] Si vedano gli artt. 8 e 9 del d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254. Sul public enforcement della disciplina delle dichiarazioni societarie non finanziarie, si veda R. Santamaria, La vigilanza della Consob sull’informativa non finanziaria, in Riv. trim. dir. ec., 2022, 1, suppl. 2, pp. 265 ss.; Ann. Genovese, La gestione ecosostenibile dell’impresa azionaria. Fra regole e contesto, Bologna, 2023, pp. 163 ss.

[20] Non si ritiene, infatti, che lo scopo proprio delle normative richiamate sia quello di contribuire ad assicurare la trasparenza e correttezza nel sistema finanziario e nei mercati regolamentati, scopo che si allineerebbe ai macro-obiettivi dell’azione della Consob, sostanziandosi piuttosto la finalità di tali interventi normativi nel perseguimento di generali obiettivi di sostenibilità attraverso la valorizzazione e lo sfruttamento della strategicità del settore dei mercati finanziari nell’indirizzo dei rapporti economici.

[21] Gli obiettivi cui è preordinata l’azione della Consob sono definiti nell’art. 5 del t.u.f. quanto alla vigilanza sugli intermediari finanziari, nell’art. 62 del t.u.f. quanto alla vigilanza sui mercati mobiliari, nell’art. 91 del t.u.f. quanto alla vigilanza sugli emittenti. Allo stesso modo, tornando al parallelo, già delineato, supra, nelle note 15 e 18, con l’attribuzione ad Anac di compiti legati al perseguimento di obiettivi di sostenibilità ambientale nell’ambito della disciplina dei CAM, non può dirsi che tali obiettivi rientrino negli scopi programmatici dell’azione dell’Autorità, azione che, in quanto rivolta alla prevenzione della corruzione in tutti gli ambiti dell’attività amministrativa, potrà semmai portare ad includere nella missione istituzionale della medesima autorità obiettivi di sostenibilità “sociale”, ma non obiettivi di sostenibilità propriamente “ambientale”.

[22] Per una analisi della direttiva, Ann. Genovese, L’armonizzazione del reporting di sostenibilità delle imprese azionarie europee dopo la CSRD, Contr. e impr., 1, 2023, pp. 91 e ss.; T. Di Marcello, Strategia europea sulla finanza sostenibile, informazione societaria e possibili riflessi sulla gestione della società, cit., pp. 611-612; M Cossu, Sostenibilità e mercati: la sostenibilità ambientale dell’impresa dai mercati reali ai mercati finanziari, in Banca, borsa e tit. cred., 4, 2023, pp. 558 ss.; F. Salerno, Gli obblighi di “attestazione” della rendicontazione di sostenibilità nella CSRD, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2, 2024, pp. 262 ss.; V. Kurkdjian, Le PMI e le Direttive sulla sostenibilità della supply chain, in Fiscalità&Commercio, 8-9, 2024, pp. 41 e ss. Per un commento riferito alla bozza della proposta di direttiva, successivamente modificata, si veda M. Rescigno, Note sulle «regole» dell’impresa «sostenibile». Dall’informazione non finanziaria all’informativa sulla sostenibilità, in Analisi giuridica dell’economia, 2022, pp. 165 e ss.; R. Santamaria, La vigilanza della Consob sull’informativa non finanziaria, cit., pp. 272 e ss.

[23] Il Considerando n. 18 della CSRD afferma che «Estendere alle imprese di grandi dimensioni senza valori mobiliari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati dell’Unione l’obbligo previsto dalla presente direttiva modificativa di comunicare informazioni sulle questioni di sostenibilità è giustificato principalmente dalle preoccupazioni espresse riguardo agli impatti e alla responsabilità di tali imprese, anche attraverso le loro catene del valore. A tale riguardo, tutte le imprese di grandi dimensioni dovrebbero essere soggette ai medesimi obblighi relativi alla comunicazione al pubblico di informazioni sulla sostenibilità».

[24] Ritiene che l’applicazione della CSRD alle imprese di grandi dimensioni, quand’anche non quotate, rappresenti una delle grandi novità della normativa Ann. Genovese, L’armonizzazione del reporting di sostenibilità delle imprese azionarie europee dopo la CSRD, cit., p. 106, la quale opportunamente sottolinea come la disciplina, in tal modo, faccia «ricadere nel perimetro della vigilanza pubblica anche imprese che non sarebbero altrimenti soggette ad alcuna vigilanza amministrativa», rappresentando un banco di prova per la capacità della vigilanza stessa di evolvere per soddisfare nuove esigenze di interesse generale.

[25] Fra i primi commenti alla direttiva cfr., S. Addamo, Le novità del testo finale della “Corporate Sustainability Due Diligence Directive”: un cambio di passo per la politica di sostenibilità dell’UE?, in Nuove leggi civ. comm., 5, 2024, pp. 1258 ss.; F. Laus, Corporate Sustainability Due Diligence e amministrazione del rischio, in Le Società, 8-9, 2024, pp. 913 ss.; M. Callegari, Sostenibilità, supply chain e intelligenza artificiale, in Giur. it., 5, 2024, pp. 1211 ss.; V. Kurkdjian, Le PMI e le Direttive sulla sostenibilità della supply chain, cit., pp. 42 ss. Si vedano anche i contributi dedicati alla proposta di direttiva, poi modificata, fra i quali, C.G. Corvese, La sostenibilità ambientale e sociale delle società nella proposta di Corporate Sustainability Due Diligence Directive (dalla «insostenibile leggerezza» dello scopo sociale alla «obbligatoria sostenibilità» della due diligence), in Banca impresa società, 3, 2022, pp. 391 ss.; R. Ibba, L’introduzione di obblighi concernenti i fattori ESG a livello UE. Dalla Direttiva 2014/95 alla Proposta di Direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence, in Banca, borsa, tit. cred., 3, 2023, pp. 453 ss.; P. Montalenti, Impresa, sostenibilità e fattori ESG: profili generali, in Giur. it., 5, 2024, p. 1193.

[26] Gli obiettivi generali della direttiva sono esplicitati nel Considerando n. 16, ove si legge che  «La presente direttiva mira ad assicurare che le società attive nel mercato interno contribuiscano allo sviluppo sostenibile e alla transizione economica e sociale verso la sostenibilità attraverso l’individuazione, e, ove necessario, l’attribuzione di priorità, la prevenzione, l’attenuazione, l’arresto, la minimizzazione e la riparazione degli impatti negativi, siano essi effettivi o potenziali, sui diritti umani e sull’ambiente connessi alle attività delle società stesse nonché alle attività delle loro filiazioni e dei loro partner commerciali nelle catene di attività cui le società partecipano, e garantendo che le persone colpite dal mancato rispetto di tale obbligo abbiano accesso alla giustizia e ai mezzi di ricorso».

[27] Si veda, per la precisa individuazione dei menzionati criteri di tipo dimensionale, l’art. 2 della direttiva 2024/1760, volto a definire l’ambito applicativo della normativa.

[28] Sulla base della delega contenuta nella l. 21 febbraio 2024, n. 15, c.d. Legge di delegazione europea 2022-2023, il 6 settembre 2024 è stato approvato il d.lgs. n. 125, di attuazione della direttiva 2022/2464/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022, recante modifica del regolamento 537/2014/UE, della direttiva 2004/109/CE, della direttiva 2006/43/CE e della direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità.

[29] L’art. 13 della l. n. 15 del 2024 ha previsto, fra i principi e criteri direttivi specifici per il recepimento della direttiva 2022/2464, alla lett. b) del suo primo comma, quello di «prevedere che la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), quale autorità nazionale competente ai sensi dell’articolo 24 della direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, disponga dei poteri di vigilanza, di indagine e sanzionatori necessari ad assicurare il rispetto degli obblighi di rendicontazione di sostenibilità previsti dalla direttiva (UE) 2022/2464 nei confronti degli emittenti quotati aventi l’Italia come Stato membro d’origine ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera w-quater), del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, che rientrano nel campo di applicazione della citata direttiva». Il conseguente d.lgs. n. 125 del 2024, di recepimento della CSRD, con la lett. e) del primo comma dell’art. 12 è intervenuto a modifica dell’art. 154-ter del d.lgs. n. 58 del 1998, prevedendo espressamente che la rendicontazione di sostenibilità degli emittenti quotati aventi l’Italia come Stato membro d’origine – come definiti dall’art. 1, comma 1, lettera w-quater) del suddetto decreto – che non siano microimprese, sia inclusa in un’apposita sezione, come tale contrassegnata, della relazione sulla gestione, relazione che a sua volta costituisce uno dei documenti della relazione finanziaria annuale su cui la Consob già esercita le proprie prerogative di vigilanza in attuazione della direttiva (CE) 2004/109, come da ultimo modificata dalla stessa CSRD. Ne deriva che la Consob eserciterà i propri poteri di vigilanza anche con riguardo alla rendicontazione di sostenibilità nei confronti dei soli emittenti quotati aventi l’Italia come Stato membro d’origine che rientrano nel campo di applicazione della CSRD.

[30] L’art. 24 della direttiva Due Diligence prevede, nel suo primo paragrafo, che ciascuno Stato membro designi una o più autorità di controllo incaricate di vigilare sul rispetto degli obblighi previsti dalle disposizioni di diritto nazionale adottate in attuazione della medesima direttiva. Nel caso di designazione di più autorità si prescrive che le rispettive competenze siano stabilite chiaramente e che le stesse autorità cooperino strettamente ed efficacemente tra loro (art. 24. par. 5). Tali autorità, di cui gli Stati membri dovranno garantire l’indipendenza (par. 9), si prevede possano essere rappresentate dalle amministrazioni preposte alla vigilanza delle imprese finanziarie regolamentate (par. 6).

[31] Il sistema di vigilanza amministrativa previsto dalla direttiva in esame trova la propria disciplina negli artt. da 24 a 28 e pone in capo alle autorità di controllo designande rilevanti poteri ispettivi, correttivi e sanzionatori, prospettando l’inserimento delle autorità nazionali entro una rete europea delle autorità di controllo, istituita dalla Commissione e volta ad agevolare la cooperazione fra autorità, nonché il coordinamento e l’allineamento delle prassi regolamentari, investigative, sanzionatorie e di vigilanza sviluppate dalle stesse. Per una illustrazione di tale sistema cfr., F. Laus, Corporate Sustainability Due Diligence e amministrazione del rischio, cit., pp. 923 ss. e, rispetto al testo della Proposta di direttiva, Ann. Genovese, La gestione ecosostenibile dell’impresa azionaria. Fra regole e contesto, cit., pp. 184 ss.; G. Mollo, Autorità di regolazione e Proposta di Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, in Giur. comm., 5, 2024, pp. 1009-1010.

[32] Su tale cambio di passo, ancora rispetto al testo della Proposta di direttiva, cfr. R. Ibba, L’introduzione di obblighi concernenti i fattori ESG a livello UE. Dalla Direttiva 2014/95 alla Proposta di Direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence, cit., pp. 460 ss.

[33] Gli obblighi incombenti sulle società considerate vengono nella direttiva rapportati all’ambito delle attività delle stesse, delle attività delle loro filiazioni e delle attività svolte dai loro partner commerciali nelle catene di attività di tali società (art. 1, par. 1, lett. a). Sugli obiettivi legati ad una supply chain “sostenibile” perseguiti dalla direttiva Due Diligence, cfr. M. Callegari, Sostenibilità, supply chain e intelligenza artificiale, cit., pp.1213 ss.

[34] La analitica specificazione delle azioni in cui deve sostanziarsi e concretizzarsi il dovere di diligenza di cui all’art. 5 della direttiva è contenuta nei successivi artt. da 7 a 16 della medesima direttiva. Per una prima illustrazione in merito, cfr., V. Kurkdjian, Le PMI e le Direttive sulla sostenibilità della supply chain, cit., pp. 42 ss.  Con riferimento al testo della Proposta di direttiva si vedano R. Ibba, L’introduzione di obblighi concernenti i fattori ESG a livello UE. Dalla Direttiva 2014/95 alla Proposta di Direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence, cit., pp. 453 ss.; G. Mollo, Autorità di regolazione e Proposta di Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, cit., pp. 1005 ss.

[35] L’art. 25 della direttiva prevede, fra i poteri riconosciuti alle autorità di controllo per svolgere i compiti loro assegnati, quello di concedere alle società vigilate un congruo periodo di tempo per adottare provvedimenti correttivi in caso di accertamento di una inosservanza delle disposizioni nazionali attuative della direttiva (par. 4), nonché quello di adottare misure provvisorie in caso di rischio imminente di danni gravi e irreparabili (par. 5, lett. c). Difficile non ricondurre siffatti poteri entro una attività di controllo sulla gestione del rischio operata dalle società e sull’adeguatezza delle strategie aziendali e degli assetti organizzativi all’uopo predisposti. Sul punto, cfr., G. Mollo, op. cit., p. 1010, il quale, tuttavia, sottolinea come il controllo sulla adeguatezza degli assetti organizzativi e delle strategie aziendali non possa sconfinare nell’adozione da parte dell’autorità di controllo di «provvedimenti in grado di modificare direttamente l’impatto delle attività d’impresa sull’ambiente e sui diritti umani», in quanto un intervento di tale tipo «si configurerebbe come una decisione di merito (imprenditoriale/amministrativo)», incompatibile con la natura tecnica della discrezionalità delle authorities e propria, invece, dell’attività tipicamente svolta dall’apparato amministrativo dello Stato. La previsione del potere, più invasivo, di adottare misure provvisorie in caso di rischio imminente di danno grave e irreparabile porta F. Laus, Corporate Sustainability Due Diligence e amministrazione del rischio, cit., p. 924 a constatare il riconoscimento dell’esigenza «di garantire un approccio precauzionale e preventivo al rischio che permetta all’autorità di controllo un governo del rischio, frutto di una ponderazione caratterizzata da sufficiente discrezionalità e prudenza adeguata al rischio emergente».

[36] Che la competenza della Consob, nel perseguimento degli obiettivi di cui agli artt. 5, 62 e 91 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, sia relativa alla trasparenza e correttezza dei comportamenti si ricava dalle stesse norme del Tuf, nelle quali, nel riparto delle competenze con la Banca d’Italia, quanto alla vigilanza sugli intermediari finanziari e sui mercati, si specifica che spetta alla Consob vigilare sul rispetto delle norme relative alla trasparenza e alla correttezza dei comportamenti, mentre è la Banca d’Italia competente ad assicurare la sana e prudente gestione da parte degli intermediari finanziari (art. 5, commi 2 e 3; art. 62). Da tale ripartizione di competenze dovrebbe, dunque, discendere, nel caso di intermediari finanziari quali soggetti vigilati, un incardinamento dei poteri di controllo sugli obblighi di gestione sostenibile di cui alla direttiva Due Diligence in capo alla Banca d’Italia e non alla Consob e ciò rappresenterebbe una ulteriore conferma delle difficoltà legate al mantenimento, nel recepimento di tale normativa, di una prospettiva settoriale del relativo public enforcement.

[37] L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è stata istituita con la legge n. 287 del 10 ottobre 1990, recante “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”, quale organismo indipendente chiamato ad applicare e vigilare sulla disciplina antitrust; le sue competenze sono state con il tempo ampliate, estendendosi, fra l’altro, alla repressione delle pratiche commerciali scorrette vietate dal Codice del consumo. Il Garante per la protezione dei dati personali venne istituito con la c.d. legge sulla privacy (l. 31 dicembre 1996, n. 675) e successivamente disciplinato dal d.lgs. n. 196 del 30 giugno 2003, come da ultimo modificato dal d.lgs. n. 101 del 2018, quale autorità indipendente deputata ad attuare e presidiare la normativa in materia di protezione dei dati personali, ad oggi contenuta nel Regolamento (UE) 2016/679, nonché in leggi e regolamenti nazionali.

[38] L’attribuzione da parte di altri ordinamenti dei poteri di controllo sul rispetto di obblighi di due diligence ad autorità generali già esistenti porta ad interrogarsi sulla possibilità che, nel nostro sistema, il public enforcement della direttiva 2024/1760 venga affidato ad una delle autorità generali già operanti, ovvero all’Agcm. Tale interrogativo è stato in qualche modo stimolato dall’esempio dell’ordinamento norvegese, nel quale la normativa di cui al Transparency Act del 2021, volta ad introdurre un obbligo di due diligence sui diritti umani e sul lavoro dignitoso, ha previsto l’attribuzione del relativo sistema di vigilanza amministrativa all’Authority nazionale per i consumatori. L’opportunità di riservare una siffatta competenza all’Agcm, inserendo nella mission dell’Autorità l’ulteriore macro-obiettivo di garantire l’instaurazione di un mercato sostenibile suscita in realtà non poche perplessità. A partire dalla considerazione per cui diversi sono il tipo di competenza tecnico-specialistica e il tipo di intervento di attuazione richiesti a supporto della concorrenzialità del mercato, da un lato, e della sostenibilità dello stesso, dall’altro: in un caso, un approccio che risponde ad una logica di “correzione” del fallimento del mercato, nell’altro, un approccio orientato alla “costruzione” di un’economia sostenibile (cfr. D. Imbruglia, Mercato unico sostenibile e diritto dei consumatori, in Persona e Mercato, 3, 2021, p. 502), che potrebbe richiedere l’attribuzione all’autorità designata di non trascurabili poteri di regolazione. Di rilievo si mostra, inoltre, la riflessione sull’opportunità di assegnare ad una medesima autorità la tutela di interessi che tendono a rapportarsi fra di loro in modo altalenante: concorrenza e sostenibilità, se, a volte, dimostrano di muoversi nella stessa direzione, come nel caso del contrasto al greenwashing (sul punto, cfr. Ann. Genovese, La comunicazione d’impresa sulla sostenibilità e il diritto della concorrenza, in Dialoghi di diritto dell’economia, 6, 2024, pp. 1 ss.), altre volte, invece, possono orientarsi in senso opposto, come emerso in relazione al tema del rapporto fra sostenibilità e divieto di intese restrittive (cfr., fra gli altri, A. De Pra, Sostenibilità e divieto di intese restrittive della concorrenza alla luce della recente normativa europea, in Nuove leggi civ. comm., 3, 2023, pp. 736 ss.). L’esigenza di coordinamento e composizione tra i diversi interessi ed obiettivi, che ne scaturisce, induce a dubitare dell’opportunità di preporre un’unica autorità a presidio degli stessi, ritenendosi maggiormente efficace un sistema incentrato sul confronto e la cooperazione tra due authorities, ciascuna affidataria di uno dei due interessi in discorso, ciò anche alla luce del rischio di “cattura” da parte dell’interesse precedentemente tutelato in cui Agcm potrebbe incorrere.

[39] Il richiamo alla necessità che gli Stati membri provvedano a forme di cooperazione strette ed efficaci fra più autorità di controllo è espressamente previsto nel par. 5 dell’art. 24 della direttiva Due Diligence con riferimento all’ipotesi in cui venga designata più di una autorità di controllo a presidio della normativa di recepimento della medesima direttiva. L’invito si reputa, tuttavia, possa ritenersi esteso anche all’evenienza in cui si opti per l’istituzione di un’unica autorità di vigilanza, chiamata, per ragioni attinenti alla qualifica soggettiva dei controllati e alla contiguità fra normative diverse, ad interfacciarsi con altre amministrazioni indipendenti di settore.

[40] Innegabile è l’esistenza di profili di complementarità fra le attività di Due Diligence di cui alla direttiva in esame e gli obblighi di rendicontazione di cui alla CSRD, attualmente assoggettati alla vigilanza amministrativa della Consob, limitatamente ai soggetti dalla medesima già controllati. Come tendono ad emergere necessità di coordinamento fra le due normative appena prese in considerazione e la disciplina di cui al Reg. (UE) 2019/2088, che, in quanto relativa all’informativa sulla sostenibilità nel solo settore dei servizi finanziari, inerisce alla sfera di vigilanza delle relative autorità di settore.

[41] Evidenzia come sia stata la stessa Commissione, a margine della Proposta della direttiva Due Diligence, a sottolineare il carattere di complementarità di questa disciplina con la normativa sulla rendicontazione non finanziaria Ann. Genovese, La gestione ecosostenibile dell’impresa azionaria. Fra regole e contesto, cit., p. 188.

[42] La vicenda più nota, in tema di riparto di competenze fra autorità generali e autorità di settore, ha riguardato la competenza sulle pratiche commerciali scorrette in materia di comunicazioni elettroniche, rispetto alla quale contrastata è stata l’individuazione, fra l’Agcm e l’Agcom, dell’authority attributaria dei poteri di accertamento e sanzione. Si sono sul punto susseguiti diversi orientamenti giurisprudenziali, intervallati dall’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia e da un conseguente intervento del nostro legislatore con cui si è introdotto nel corpo dell’art. 27 cod. cons. il comma 1bis. Per approfondimenti sulla questione si veda L. Torchia, Una questione di competenza: la tutela del consumatore fra disciplina generale e discipline di settore, in Giorn. dir. amm., 2012, p. 10; P. Fusaro, Il riparto di competenze tra autorità amministrative indipendenti nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, in www.federalismi.it, 7, 2013; M.A. Sandulli, Competenze dell’AGCM e dell’AGCOM dopo l’Adunanza plenaria, in Norma, 3, 2014, pp. 519 ss.; F. Cintioli, La sovrapposizione di competenze delle autorità indipendenti nelle pratiche commerciali scorrette e le sue cause, in www.giustamm.it, 2, 2015; M.S. Bonomi, Tutela del consumatore, pratiche commerciali scorrette e riparto di competenze tra autorità indipendenti, in Giorn. dir. amm., 2016, pp. 793 ss.; V. Mosca, Il riparto di competenze sulla tutela del consumatore all’esame della Corte di Giustizia, in Giorn. dir. amm., 2017, pp. 519 ss.; M. Bertani, Pratiche commerciali scorrette e violazione della regolazione settoriale tra concorso apparente di norme e concorso formale di illeciti, in Nuove leggi civ. comm., 2018, pp. 926 ss. In merito agli ultimi approdi giurisprudenziali sulla vicenda cfr., infra, la nota 46 del presente scritto. La questione del riparto di competenze fra autorità amministrative indipendenti ha avuto anche altre occasioni di emersione; con particolare riguardo al regolamento di competenze fra Banca d’Italia e Agcm, in relazione al rapporto fra la normativa sul credit surcharge di cui alla direttiva PSD2 e la disciplina delle pratiche commerciali scorrette di cui al codice del consumo, nonché fra Banca d’Italia e Garante per la privacy, in relazione al rapporto fra la normativa sul c.d. Open Banking di cui alla direttiva PSD2 e la disciplina del GDPR, si veda M. Rabitti, Il riparto di competenze tra autorità amministrative indipendenti nella Direttiva sui sistemi di pagamento, in M.C. Paglietti e M.I. Vangelisti (a cura di), Innovazione e regole nei pagamenti digitali, Roma, 2020, pp. 81 ss.

[43] Deve, infatti, ad esempio guardarsi con attenzione a possibili profili di contatto e sovrapposizione fra la disciplina sull’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari di cui al Regolamento (UE) 2019/2088 e la normativa sulla rendicontazione non finanziaria risultante dal recepimento della direttiva CSRD. O, ancora, a possibili punti di interferenza fra le disposizioni in materia di fattori ESG di cui alla disciplina europea sulle banche e sulle imprese di investimento, così come revisionata dal c.d. pacchetto bancario UE CRR3/CRD6, di recente approvazione, e, da un lato, quanto al «terzo pilastro», la normativa sull’informativa non finanziaria discendente dalla CSRD, dall’altro lato, quanto al «secondo pilastro», la disciplina di attuazione della direttiva Due Diligence.

[44] Nell’art. 1, par. 3 della direttiva 2024/1760 si legge che «Se una disposizione della presente direttiva contrasta con una disposizione di altro atto legislativo dell’Unione che persegue gli stessi obiettivi e impone obblighi più ampi o più specifici, la disposizione dell’altro atto legislativo dell’Unione in questione prevale per gli aspetti contrastanti e si applica in riferimento a tali obblighi specifici».

[45] Tale disposizione in materia di pratiche commerciali scorrette, poi sostanzialmente trasposta nell’art. 19, comma 3, c. cons., prevede che «in caso di contrasto, le disposizione contenute in direttive o in altre disposizione comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici».

[46] L’approdo cui si è giunti nell’interpretazione dell’art. 19, comma 3, c. cons. ha visto affermarsi, a seguito di annose ed alterne vicende normative e giurisprudenziali, il riferimento al c.d. principio di “incompatibilità”, in base al quale la disciplina speciale di derivazione europea  – e la connessa competenza dell’autorità di settore – potrebbe trovare applicazione solo laddove regoli aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette in modo “contrastante” e, dunque, incompatibile con la disciplina generale. Ne risulta affermata una generale competenza in materia dell’Agcm, il cui intervento risulterà precluso, in favore di quello delle autorità di settore, solo in presenza delle predette condizioni. Per tali esiti interpretativi si veda Corte di Giustizia UE, sentenza n. 54 del 13 settembre 2018, in eur-lex.europa.eu, e, successivamente, in adesione a questa, Cons. Stato, sentenza n. 7296 del 25 ottobre 2019, la cui massima è pubblicata in Giorn. dir. amm., 5, 2021, p. 630, con nota di G. Valenti, Il caso schede SIM e la paventata violazione del ne bis in idem.

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